lunedì 28 ottobre 2024

La Manovra e la Strategia del Governo Meloni

Camera dei Deputati. Fonte: Camera.it

Dalla prima bozza della legge di bilancio ora alla Camera è già possibile delineare la strategia economica del governo Meloni, che ancora una volta dimostra di conoscere molto bene il lato oscuro di noi italiani. 

Il nuovo patto di stabilità europeo, approvato in maniera sostanzialmente incondizionata anche dall'Italia, reintroduce gran parte delle regole dell'austerity pre-Covid e ci impone un risparmio nei conti pubblici quantificabile, secondo l'Ufficio parlamentare di bilancio, tra gli 11 e i 13 miliardi di euro l'anno fino al 2031, il cui ammontare dovrà arrivare soprattutto da un imponente taglio della spesa pubblica

Per diluire e rimandare il più possibile l'impatto delle nuove regole nella percezione di massa, il governo procede su due fronti. Da un lato stabilizza una lieve detassazione del reddito individuale dei lavoratori dipendenti mediante una serie di misure, tra cui la resa strutturale del taglio del cuneo fiscale, dei nuovi scaglioni di reddito Irpef, nonché l'istituzione di una serie di incentivi per la natalità e di bonus sul salario accessorio. In questo modo si assicura la tenuta della sfera individuale della vita quotidiana di milioni di persone, ossia quella più immediatamente percepibile, e in fondo anche una loro complicità

Dall'altro lato si procede a far calare la scure sulla pubblica amministrazione, che si tradurrà in un ulteriore deficit di servizi per la collettività (scuola, trasporto pubblico locale, servizi sociali ecc). E qui i tagli sono pesanti. Se per i Ministeri il contributo richiesto è pari a oltre 7 miliardi di euro nei prossimi tre anni, per Regioni ed Enti locali la cifra è di 4 miliardi di euro (esclusi gli enti in dissesto o in riequilibrio finanziario). A ciò si aggiunge il tetto del 75% al turn over nella pubblica amministrazione per il 2025, che vuol dire meno posti a bando nei concorsi pubblici. Per le imprese collocate nelle Zone economiche speciali, ossia nel Sud Italia, naufraga la promessa dell'ex ministro Fitto (ora vicepresidente Commissione Ue) del raddoppio delle risorse stanziate per il 2025, sicché la capacità di copertura delle domande di decontribuzione presentate finora resta ferma ad un misero 17%.

Ora è chiaro che le conseguenze di queste misure per tutti saranno pesanti, e in specie per coloro che vanno avanti con redditi di sopravvivenza. Ma la strategia dei tagli indiretti fa sì che, almeno per ora, il cittadino medio non percepisca l'enormità dei sacrifici richiesti e possa andare avanti tranquillo, convinto di galleggiare sulla sua indifferenza per la politica e su una sua presunta capacità di trovare la scappatoia individuale alle avversità economiche, quando è chiaro che in realtà ciò è il frutto di un meccanismo di illusione-concessione del potere. Complicità che ingrossa, più che il consenso alla maggioranza di destra, l'astensionismo dilagante, il miglior alleato di questo governo.

Il punto debole della manovra da un punto di vista comunicativo sembra invece riguardare il comparto sanità, dove i medici hanno dichiarato di essere pronti allo sciopero generale. Sebbene la Meloni abbia provato a far passare il messaggio di un aumento degli stanziamenti nei prossimi anni (e questo è vero in termini assoluti), di fatto ci si trova dinanzi ad un "freno" della curva che aveva avuto un balzo dopo la pandemia, con un ribasso dello 0,4% della spesa sanitaria in rapporto al PIL (si veda l'intervista del prof Emiliano Brancaccio, il quale, oltre ad evidenziare una recessività della manovra perfino maggiore rispetto a quanto richiesto dall'Unione Europea, insiste anche sulla crescente destinazione dei fondi alle strutture private). Dinanzi allo sfacelo della sanità pubblica è più difficile nascondere la polvere sotto al tappeto.

martedì 6 agosto 2024

Il Diritto alla Mobilità Negato

Foto di Gustave Denuncio

Dal lockdown del 2020 in poi è apparso chiaro che il diritto alla mobilità, da sempre propagandato come caposaldo del mondo globalizzato (vedi Airbnb o i fantomatici Erasmus) per la sua capacità di generare grandi profitti, sarebbe divenuto man mano inaccessibile ai più.

Se in quegli anni, infatti, furono le misure di contenimento anti contagio a determinarne le restrizioni in chiave emergenziale,  queste diventano strutturali a causa dell'aumento spropositato dei prezzi. Che si tratti di auto, aereo, treno o nave, si assiste ad un'inflazione inarrestabile.

Il problema è che questa impennata dei costi non sembra scalfire l'Overtourism, alimentato da una crescente moltitudine che si affaccia sul mercato in cerca dell'agognato viaggio esperienziale, anche se breve e sfuggente, dove è possibile risparmiare solo se si approfitta di offerte last minute o con un'ampia programmazione anticipata delle vacanze (a cui si aggiunge il costo delle assicurazioni per coprire le inevitabili disdette). 

Il progressivo venir meno del diritto a spostarsi diventa assai più incisivo se si guarda alla mobilità interna ai territori in cui si abita, specie se motivata da ragioni di lavoro, cura o altra necessità.

Alcuni esempi nella città dove vivo.

Negli ultimi anni il prezzo dei biglietti dei mezzi pubblici a Napoli è progressivamente salito, fino ad arrivare ad € 1,80 per un ticket valevole per 90 minuti, a fronte di disservizi quotidiani. Da ultima rilevazione anche l'RC auto ha subito un ulteriore aumento del 6,2% a livello nazionale rispetto al 2023, che su Napoli vede il primato nazionale annuo di € 583 in media. Non va meglio sul fronte dei taxi, dove da settembre si registrerà un aumento delle tariffe fino al 15%

Ai costi dei trasporti privati e pubblici si accompagnano quelli degli altri beni e servizi che rientrano comunque nell'ambito del diritto alla mobilità in senso lato, poiché chi si sposta deve poter mangiare, riposare, ecc., sperimentando così un costo della vita fuori controllo, senza alcuna forma decente di sostegno al welfare. E purtroppo Napoli si riconferma a luglio prima città in Italia per crescita percentuale dell'inflazione, pari al doppio della media nazionale.

Tutto questo - si ricordi - in un Paese che vede ferma la crescita dei salari da almeno trent'anni.

Alla luce di ciò, l'art. 16 della Costituzione è ancora valido?

sabato 6 luglio 2024

L'Impossibilità del Riformismo

John Maynard Keynes

Il cosiddetto "riformismo" ha ancora una possibilità in questo periodo storico? 

La domanda è d'obbligo, visto il fronte comune che le sinistre provano a costituire davanti all'avanzata della destra estrema in tutto il continente europeo, specie ora che le elezioni legislative in Francia hanno visto primeggiare il RN di Marine Le Pen. 

Si veda l'esempio italiano: gli ultimi governi in senso vagamente riformista sono stati il Conte-1 e il Conte-2, al netto ovviamente del pesante fardello reazionario che soprattutto il primo ha comportato (in primis il Dl Sicurezza). In entrambi i casi abbiamo avuto misure come il Reddito di Cittadinanza, i bonus fiscali, il Recovery Fund ecc., senza ignorare gli aspetti fortemente deficitari che le caratterizzavano.

Eppure proprio l'imperfettibilità di queste misure, unito al fatto che quei governi hanno avuto vita breve per precisa volontà politica, rafforza la convinzione di un'impossibilità del ritorno al riformismo tipico del secondo Novecento. Il naufragio delle recenti esperienze politiche "progressiste" si è sempre verificato in due modi: o con l'arrivo di governi tecnici (vedi Draghi) abilmente messi in piedi grazie a sicari istituzionali (Renzi), oppure con l'elezione di governi di destra tramite mandato "popolare" (in realtà esito di un mix feroce di astensionismo galoppante e sistema elettorale parzialmente maggioritario). 

Tutto ciò dimostra appunto l'impossibilità di una soluzione riformista della più grave crisi generale, anzi direi totale, del capitale. 

Che il sistema attuale lo si chiami "capitalismo cannibale" (Fraser), nel senso che divora gli stessi fondamenti del suo funzionamento, oppure "tecnofeudalesimo" (Varoufakis), sancendo così la morte del capitalismo - dunque del profitto - e un ritorno alla centralità della rendita in stile medievale (protagoniste le Big Tech come Meta, Google, Microsoft ecc.), l'esito non cambia: siamo davanti ad uno spartiacque storico, di cui nessuno sembra assumerne pienamente le conseguenze.  

Alle sinistre borghesi basterà quindi assemblare dei fronti più o meno unitari, sulla base di programmi spesso infarciti di buoni propositi, puntualmente traditi al momento di governare, spingendo ulteriormente l'elettorato a collocarsi tra l'astensione o il voto all'estrema destra? 

E poi in Italia c'è chi davvero crede che sia sufficiente una Elly Schlein a trasformare un coacervo di comitati di affari come il PD, in un partito coeso e sinceramente votato alla causa operaia?

Anche queste sono domande d'obbligo, ma piuttosto retoriche.

domenica 24 marzo 2024

L'Abisso della Guerra


Ultimamente mi capita di rileggere su questo blog alcuni miei vecchi post di pochi anni fa, nel quale trattavo argomenti che, alla luce degli ultimi accadimenti, sembrano essere reperti di un'altra era geologica. Una percezione che si deve a due aspetti principali: quello legato alle esperienze personali e quello che invece afferisce alla dimensione degli avvenimenti collettivi. 

Tratterò del secondo di questi aspetti, cioè della dimensione degli avvenimenti collettivi. Uno sguardo in retrospettiva ci restituisce un panorama da cui sfuggiva ai più la dimensione "catastrofica" dei cambiamenti in atto nel mondo. Proprio la pandemia del 2020 è stata il primo evento catastrofico che avrebbe dovuto illuminarci sull'insostenibilità del nostro sistema economico e produttivo, ormai in aperto conflitto con la natura, e a cui ha fatto seguito la seconda catastrofe, ossia l'invasione russa dell'Ucraina nel 2022, cioè l'atto che va ad incunearsi nell'apparentemente inattaccabile sfera d'influenza atlantica, con la progressiva militarizzazione del discorso pubblico.

Addestrati allo stato di eccezione delle misure anti-Covid, la guerra ha potuto fare breccia nel nostro quotidiano senza troppi traumi, adottando stavolta uno schema inedito rispetto agli ultimi trent'anni. I conflitti tracimano dal recinto che fino a poco tempo fa l'unipolarismo americano si preoccupava di delineare, quando gli USA ascrivevano a sé l'esclusiva di scatenare le più devastanti operazioni militari in giro per il mondo, lasciando agli avversari il logorante terreno delle proxy war e della guerra asimmetrica. L'invasione scatenata da Putin sancisce invece la fine della logica unipolare, già in profonda crisi dal 2008 in poi, e acuisce quelle faglie geopolitiche mai sopite: da Taiwan al Mar Rosso passando per il Medioriente, dove, in particolar modo, l'America si dimostra incapace di contenere l'alleato israeliano, proiettato verso la soluzione finale ai danni del popolo palestinese.

L'unico argine concreto al tracimare delle guerre è finora rappresentato dall'opposizione delle opinioni pubbliche degli Stati occidentali al diretto coinvolgimento, in cui i pur imperfetti sistemi democratici obbligano gli aspiranti Napoleone nostrani a tenerne conto. In verità, più che di un'opposizione ragionata, si tratta di un sentimento diffuso di contrarietà che si fonda sull'istinto di auto-conservazione dei variegati gruppi sociali. Più i nostri sistemi democratici vengono erosi dall'interno, più aumenta il rischio di un conflitto totale. Non è un caso che, dalle colonne del Sole 24 Ore, qualche "politico europeo di alto rango" auspichi addirittura il verificarsi di un evento simile a quello dell'attacco giapponese alla base americana di Pearl Harbor, il quale spinse gli Stati Uniti nel 1941 ad entrare in guerra contro le potenze dell'Asse. Un evento in grado di avere lo stesso effetto sulle popolazioni europee. Perché, pur chiusi nella torre della loro autoreferenzialità, i ceti dirigenti, nel loro bieco cinismo, sono ben consapevoli che al momento non esiste un'opposizione organizzata alla guerra che possa manifestarsi sui diversi piani (politico, sindacale ecc.), al di là delle sporadiche iniziative (anche molto partecipate) messe in campo soprattutto dal mondo cattolico, e ben può un simile evento creare una breccia nel sentiment di massa, lasciata alla deriva dall'assenza di un forte collante ideologico in grado di coagularsi intorno a solide organizzazioni politiche.

Gli appuntamenti elettorali che verranno, prima in Unione Europea e poi in America, saranno determinanti per tracciare una direzione che - si spera - possa essere diversa da quella totalmente sciagurata verso la quale lorsignori ci stanno portando.