Camera dei Deputati. Fonte: Camera.it
Dalla prima bozza della legge di bilancio ora alla Camera è già possibile delineare la strategia economica del governo Meloni, che ancora una volta dimostra di conoscere molto bene il lato oscuro di noi italiani.
Il nuovo patto di stabilità europeo, approvato in maniera sostanzialmente incondizionata anche dall'Italia, reintroduce gran parte delle regole dell'austerity pre-Covid e ci impone un risparmio nei conti pubblici quantificabile, secondo l'Ufficio parlamentare di bilancio, tra gli 11 e i 13 miliardi di euro l'anno fino al 2031, il cui ammontare dovrà arrivare soprattutto da un imponente taglio della spesa pubblica.
Per diluire e rimandare il più possibile l'impatto delle nuove regole nella percezione di massa, il governo procede su due fronti. Da un lato stabilizza una lieve detassazione del reddito individuale dei lavoratori dipendenti mediante una serie di misure, tra cui la resa strutturale del taglio del cuneo fiscale, dei nuovi scaglioni di reddito Irpef, nonché l'istituzione di una serie di incentivi per la natalità e di bonus sul salario accessorio. In questo modo si assicura la tenuta della sfera individuale della vita quotidiana di milioni di persone, ossia quella più immediatamente percepibile, e in fondo anche una loro complicità.
Dall'altro lato si procede a far calare la scure sulla pubblica amministrazione, che si tradurrà in un ulteriore deficit di servizi per la collettività (scuola, trasporto pubblico locale, servizi sociali ecc). E qui i tagli sono pesanti. Se per i Ministeri il contributo richiesto è pari a oltre 7 miliardi di euro nei prossimi tre anni, per Regioni ed Enti locali la cifra è di 4 miliardi di euro (esclusi gli enti in dissesto o in riequilibrio finanziario). A ciò si aggiunge il tetto del 75% al turn over nella pubblica amministrazione per il 2025, che vuol dire meno posti a bando nei concorsi pubblici. Per le imprese collocate nelle Zone economiche speciali, ossia nel Sud Italia, naufraga la promessa dell'ex ministro Fitto (ora vicepresidente Commissione Ue) del raddoppio delle risorse stanziate per il 2025, sicché la capacità di copertura delle domande di decontribuzione presentate finora resta ferma ad un misero 17%.
Ora è chiaro che le conseguenze di queste misure per tutti saranno pesanti, e in specie per coloro che vanno avanti con redditi di sopravvivenza. Ma la strategia dei tagli indiretti fa sì che, almeno per ora, il cittadino medio non percepisca l'enormità dei sacrifici richiesti e possa andare avanti tranquillo, convinto di galleggiare sulla sua indifferenza per la politica e su una sua presunta capacità di trovare la scappatoia individuale alle avversità economiche, quando è chiaro che in realtà ciò è il frutto di un meccanismo di illusione-concessione del potere. Complicità che ingrossa, più che il consenso alla maggioranza di destra, l'astensionismo dilagante, il miglior alleato di questo governo.
Il punto debole della manovra da un punto di vista comunicativo sembra invece riguardare il comparto sanità, dove i medici hanno dichiarato di essere pronti allo sciopero generale. Sebbene la Meloni abbia provato a far passare il messaggio di un aumento degli stanziamenti nei prossimi anni (e questo è vero in termini assoluti), di fatto ci si trova dinanzi ad un "freno" della curva che aveva avuto un balzo dopo la pandemia, con un ribasso dello 0,4% della spesa sanitaria in rapporto al PIL (si veda l'intervista del prof Emiliano Brancaccio, il quale, oltre ad evidenziare una recessività della manovra perfino maggiore rispetto a quanto richiesto dall'Unione Europea, insiste anche sulla crescente destinazione dei fondi alle strutture private). Dinanzi allo sfacelo della sanità pubblica è più difficile nascondere la polvere sotto al tappeto.