giovedì 26 dicembre 2019

Mani Su Bagnoli - Il Gioco Delle Parti

Luigi Pirandello, autore della commedia "Il giuoco delle parti"
La classe dirigente dell'antica Roma era solita occultare al popolo gli scontri di potere al proprio interno. Quei provvedimenti che potevano disvelarne i tratti più reconditi, in primis le sentenze giudiziarie sui personaggi più in vista, spesso non venivano esternati al pubblico, essendo sufficiente per la loro efficacia giuridica la delatio ad aerarium, ossia il loro deposito nell'archivio degli atti pubblici. È in questo quadro di verità nascoste che nasce il celeberrimo "arcana imperii", termine coniato da Tacito per sottolineare gli oscuri disegni del potere che dominavano le dinamiche dell'impero romano.


Uno di questi arcana imperii sembra essere stato svelato durante il convegno sul futuro dell'area ovest di Napoli organizzato da Invitalia nel Castel dell'Ovo. Il professor Michelangelo Russo, preside di architettura dell'università Federico II, ha delineato le prospettive di sviluppo di Bagnoli con un discorso che ha lasciato di stucco i presenti. Secondo Russo infatti "la riqualificazione di Bagnoli è un progetto molto complesso e per completare tutti i lavori, bonifiche e trasformazioni, ci vorranno almeno 35 anni, se non si arriverà a 50 considerata la portata degli interventi". A detta del preside Russo dunque non saranno sufficienti i i 5 anni stimati per la bonifica, come da cronoprogramma del PRARU (Piano di Risanamento Ambientale e di Rigenerazione Urbana). Da queste parti 35 anni vogliono dire almeno il doppio, ed effettivamente ci sembra un'eternità considerati i decenni di paralisi trascorsi finora. Che queste parole abbiano suonato nei timpani degli amministratori locali come un treno che sferraglia lo si capisce dalla sequela di reazioni pubblicate a mezzo stampa. Il commissario Francesco Floro Flores ne ha approfittato per scagliare un'invettiva contro Invitalia, colpevole a suo dire di non averlo invitato al convegno (!) e di aver lanciato il concorso internazionale di idee a Milano invece che a Napoli, snobbando così gli studi di architettura ed ingegneria napoletani (che da decenni aspettano di mettere le mani sull'ex area industriale). I costruttori partenopei sono andati ovviamente nel panico, tanto da redigere una lettera a firma della presidente Federica Brancaccio in cui si chiede al ministro per il sud Giuseppe Provenzano e allo stesso commissario "la sospensione del bando per il concorso di idee lanciato da Invitalia e prorogato al 7 gennaio 2020" e la "realizzazione ad horas di interventi in aree che non necessitano di bonifica e che hanno già la destinazione urbanistica". Ma è soprattutto sui vincoli esistenti che i costruttori chiedono un impegno in tal senso: sono troppi e vanno rimossi (a breve il Comune dovrebbe pubblicare il nuovo piano regolatore), in spregio alla cementificazione selvaggia che ha devastato questi territori. Addirittura Antonio Di Gennaro, in un suo appello alla responsabilità lanciato dalle colonne di Repubblica, a fronte di una serie di critiche pur condivisibili, si spinge ad esaltare il lavoro fatto dall'ACEN, l'associazione costruttori edili napoletani:
Che il piano di rigenerazione urbana di Bagnoli prodotto da Invitalia fosse un involucro vuoto, mestamente privo di contenuti, l’avevano già detto i sindacati (CGIL, CISL e UIL), assieme al WWF e al FAI in un circostanziato documento, ma si sa, quella è gente inconcludente, eternamente scontenta. Sulle pagine di Repubblica poi, l’urbanista Giuseppe Guida aveva osservato che un suo studente del secondo anno avrebbe fatto meglio, ma anche qui, la spocchia accademica non conosce fine. Nel frattempo però la cosa era stata ribadita, nero su bianco, nel parere congiunto rilasciato dai ministeri dell’Ambiente e dei Beni culturali, secondo il quale il piano di Invitalia non era valutabile, perché puramente virtuale (sic!), ma questa volta evidentemente è il muro di gomma della burocrazia a remare contro, i lacci e lacciuoli che lo Sblocca-Italia si era prefisso di recidere e dissolvere. [...] A questa cortina fumogena la Consulta delle costruzioni (organo dell'Acen, ndr) propositivamente oppone il lavoro fatto, le decisioni pubbliche già prese, fino ai progetti approvati e cantierabili, sono trentatré quelli censiti, pienamente coerenti con il quadro delle previsioni urbanistiche vigenti, che potrebbero essere avviati immediatamente, senza attendere la palingenesi di una bonifica senza fine, l’unica grande, costosa opera pubblica che sembra stare a cuore a Invitalia. Alcuni sorprendenti dettagli della quale, sono stati illustrati dai tecnici di quella società nel convegno a Castel dell’Ovo dello scorso 11 dicembre, e qui siamo davvero dalle parti del dottor Stranamore, perché l’idea sarebbe quella di ricollocare in situ, nella stessa area, i materiali provenienti dalla rimozione della colmata (che sarebbe bene a questo punto mettere in sicurezza e lasciare lì dov’è), seppellendo così nuovamente i suoli esistenti; e di procedere alla bonifica dei fondali su uno specchio d’acqua sconfinato, di 14 chilometri quadrati. Insomma, lo sconvolgimento di un ecosistema – mare e terra – che con altri approcci, improntati alla sobrietà più che all’onnipotenza, andrebbe invece guidato, in tempi ragionevoli, verso condizioni di equilibrio e sicurezza. La lettera della Consulta al ministro Provenzano è un appello serio alla responsabilità: davanti a percorsi così spregiudicati e incerti, è necessario che sia il territorio, con le sue istituzioni e le forze economiche e sociali, a ritrovare rapidamente un ruolo e una voce.
Federica Brancaccio e il sindaco de Magistris. Fonte: Facebook
Certo fa sorridere che i vari esponenti del mondo imprenditoriale partenopeo, compresi i loro epigoni, si accorgano soltanto ora del fatto che il piano di rigenerazione urbana di Invitalia fa acqua da tutte le parti, quando fino a pochi mesi fa ne tessevano le lodi, e anzi ne auspicavano la rapida approvazione da parte di Mattarella (arrivata a settembre di quest'anno). In realtà che qualcosa non stesse andando per il verso giusto lo si era capito durante la commissione comunale che si tenne a febbraio, in cui alcuni consiglieri di maggioranza si rizelarono nell'ascoltare dai tecnici di Invitalia che la colmata a mare dovesse essere rimossa e ricollocata in situ. Legittime preoccupazioni ambientaliste? Tutt'altro. Come abbiamo spiegato in un articolo di alcuni mesi fa, la colmata serve a taroccare al ribasso l'indice di fabbricabilità e a giustificare così speculazioni edilizie di stampo laurino in piena zona rossa per rischio vulcanico dei Campi Flegrei (l'ultima scossa di magnitudo 2.8 è di poche settimane fa). E non sorprende neanche più vedere esponenti dei movimenti di lotta allinearsi più o meno implicitamente alle stesse tesi dei costruttori: se Napoli viene più volte indicata come laboratorio politico del Paese, una ragione ci sarà.


Insomma il preside Russo si è preso la responsabilità di dichiarare il vero, ossia che interventi del genere richiedono tempi molto lunghi. Una simile dichiarazione, arrivata tra l'altro a pochi mesi dalle elezioni regionali, da un lato demolisce il dogma della rapidità che la politica aveva imposto giocandosi buona parte del consenso, dall'altro offre un assist alle ragioni del governatore Vincenzo De Luca che sul piano si è messo di traverso ufficializzando il parere negativo della Regione, senza fornire alle conferenze dei servizi tutta la parte infrastrutturale che sarebbe servita a chiudere il quadro. A spingere nuovamente sull'acceleratore ci ha pensato il presidente della Camera Roberto Fico, che si è così inserito nella polemica durante un convegno incentrato sul tema dell'abbandono delle periferie: 
A Bagnoli, a Napoli, ad esempio si è verificato per 30 anni un tradimento da parte della classe politica sulla promessa della bonifica; si sono creati disillusione dei cittadini, distanza dalla politica. Se non riusciamo ad applicare ciò che legiferiamo, la distanza della gente dalla politica aumenta. Ciò che promettiamo deve poi accadere sul territorio".
Ed ecco tornare la questione delle promesse. Ed in effetti bisognerebbe capire a chi la politica ha promesso sul territorio. Di certo non ai suoi abitanti ormai assuefatti da trent'anni di immobilismo. E soprattutto che cosa ha promesso? Di certo non la fantomatica bonifica, visto che non si riesce neanche a rimuovere l'amianto dopo più di un anno dall'avvio delle procedure per il bando di gara, il cui termine è stato prorogato al 2020.

Per capirci qualcosa occorre partire dalle parole di Floro Flores, che ha accusato Invitalia di aver inaugurato il concorso di idee a Milano. L'ex area industriale di Bagnoli è infatti uno dei nodi gordiani prodotti dall'incessante contrattazione tra poteri locali e gruppi affaristici oltre regione per il controllo del territorio e delle sue risorse. Questa contrattazione va avanti a continui stop and go, secondo un gioco delle parti in cui ognuno fa la sua mossa nella piena consapevolezza della reazione dell'avversario. Non è un caso che alle parole di Floro Flores abbiano subito ribattuto prima l'ex commissario Salvo Nastasi, il quale ha accusato l'imprenditore napoletano di aver fomentato una polemica pretestuosa e di aver perso inutilmente tempo, e successivamente l'ex ministro Claudio De Vincenti che delle trattative per arrivare a quel piano è stato il protagonista.

La contrattazione include il ricorso alla corruzione e alla violenza (quest'ultima soprattutto nei momenti più critici) come da tradizione consolidata della nostra classe dirigente. Per capirci di più può essere utile mettere in linea i vari avvenimenti degli ultimi anni. Una prima fase di stallo si verifica con l'incendio doloso di Città della Scienza avvenuto il 4 marzo 2013 e rimasto tutt'oggi senza colpevoli, ma soprattutto con l'inchiesta della Procura di Napoli che un mese dopo inquisisce per disastro ambientale ben ventuno tra politici, tecnici ed amministratori della Bagnolifutura SpA. E' a quel punto che saltano tutti gli accordi e i loro garanti. Segue così un periodo di incertezza nel quale si rende necessario ricostruire quegli equilibri che si erano saldati intorno al piano di Vezio De Lucia approvato dal Comune di Napoli. Le tensioni raggiungono l'apice con gli scontri di piazza seguiti alla frattura tra il sindaco Luigi de Magistris e l'ex premier Matteo Renzi, il quale forte del consenso ottenuto alle europee del 2014 cerca di imprimere sull'area il proprio marchio di fabbrica nominando un commissario ed espropriando l'amministrazione comunale. Quelle tensioni provocano una nuova fase di stallo che si sblocca solo con l'avvicendamento di Renzi e l'arrivo di Gentiloni, che nomina Claudio De Vincenti come ministro alla coesione territoriale a cui viene affidato il dossier Bagnoli. A quel punto la contrattazione riprende e si arriva all'attuale piano di massima, diventato legge con il governo Conte. Il PRARU, che ricalca gran parte del vecchio piano di De Lucia, salva buona parte degli interessi dell'imprenditoria locale. Tuttavia le regole del capitale non conoscono freni, e perciò ad ogni accordo raggiunto i giocatori provano ad accaparrarsi ulteriori quote di potere. E così facendo il litorale definito spiaggia pubblica con delibera comunale viene preso d'assalto dall'insediamento di nuove discoteche e dal parcheggio abusivo, veri business di clan e potentati locali, grazie alle concessioni rilasciate dall'Autoritá portuale (il cui presidente è Pietro Spirito, storicamente legato al PD in Campania) e oggi autorizzate anche dal commissario Floro Flores. Una colonizzazione incentivata dal silenzio delle istituzioni sulle denunce dei residenti che sono costretti a chiudersi in casa per sfuggire al caos che non di rado sfocia in risse ed omicidi. Qualunque prospettiva di recupero non potrà non tener conto della pesante ipoteca posta dai signori della movida che vanno dall'arenile nei pressi del quartiere alla punta di Coroglio, assurti ormai a nuove parti della trattativa.   


Bagnoli diventa così la cartina al tornasole del modo di esercitare il potere della classe dirigente italiana. E chissà se la concomitanza di queste polemiche con la richiesta del pm Stefania Buda di riconfermare in appello le condanne per disastro ambientale già comminate in primo grado dal tribunale di Napoli sia solo una coincidenza. In ballo ci sono anche i quasi 9 miliardi di euro per la rigenerazione urbana che il Governo ha stanziato in legge di bilancio nell'arco 2021 - 2034. 

Cecità dei sudditi e iperveggenza di chi sta in alto?

lunedì 9 dicembre 2019

Le Nuove Lotte Operaie


Pubblico qui l'interessantissimo intervento di Rosario Zanni, membro del sindacato Sì Cobas, durante l'Assemblea Nazionale unitaria delle sinistre di opposizione che si è tenuta sabato scorso a Roma. Zanni parla dell'esperienza della lotta sindacale nel campo della logistica, dei suoi successi e dei suoi limiti. Ho ritenuto perciò di trascrivere il suo intervento, e mi premuro di farlo anche con gli altri contributi della giornata, concordemente con il poco tempo a mia disposizione.
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ROSARIO ZANNI - SI COBAS Innanzitutto un saluto agli organizzatori. Io per i tempi stretti voglio solo dire alcune cose dando un taglio non generale su tutto lo scibile umano, ma soltanto da un punto di vista. 

Sono 10 anni che in Italia si è aperta una nuova fase dello scontro di classe che ha visto come soggettività operaia, nel 90% dei casi, immigrati della logistica. E' stata una lotta estremamente dura, e ci sono stati dei risultati significativi in controtendenza a livello europeo rispetto ai risultati in termini di trattative per l'aumento dei salari, ottenuti attraverso la dura lotta. Dato che c'è la consapevolezza nel sindacato di classe Si Cobas che, in base ai cicli del mercato e della concorrenza, ogni vittoria si può trasformare in un arretramento, è evidente che ci sono stati degli elementi specifici che hanno potuto determinare questi successi. 

Va anzitutto citato il grande lavoro storico fatto da alcuni compagni come Aldo Milani, i quali hanno compreso come in quel settore ci fosse un combinato disposto di due elementi: una soggettività operaia che già aveva attraversato la paura e il terrore dei padroni a livello mondiale; la seconda è che in un settore specifico a bassa composizione organica del capitale c'erano situazioni di immigrati che stavano lì ad aspettare la chiamata sui cellulari per andare a lavorare per 13 o 14 ore al giorno. Quindi immediatamente una condizione in cui, nella crisi capitalistica, la controtendenza alla caduta del saggio di profitto viene data - quale risposta e reazione - anche attraverso l'aumento della estensione della giornata lavorativa e dell'estorsione di plusvalore assoluto, non soltanto di plusvalore relativo come in Leonardo o in Finmeccanica. 

Rispetto a questa condizione dura, il combinato disposto di una soggettività operaia che non aveva null'altro da perdere che le sue catene, e non la logica di "ricostruiamo un qualcosa un po' da classi sociali declassate", ma la spontanea, genuina, immediata esistenza di venditori di braccia in condizione di supersfruttamento capitalistico, dove immediatamente si coniugava la condizione di salariato a quella di immigrato, e dove il comando dispotico del padroncino era immediatamente collegato alla questione razziale e al razzismo. Questa lotta, oltre a determinare dei risultati in termini di battaglie salariali, ha determinato una grande repressione: c'è un maxiprocesso che coinvolge operai, attivisti, sindacali a Modena, 86 sono colpiti da questa inchiesta. C'è quindi una forte repressione che, guardate bene, sta colpendo con i decreti sicurezza, perché questi ultimi sono letteralmente cuciti addosso alla soggettività operaia e immigrata, e a Roma in particolare c'è il problema delle occupazioni delle case. Quindi loro sono immigrati, facchini e occupanti abusivi di case, e hanno cambiato le regole del gioco in termini repressivi per mirare e puntare rispetto agli unici comportamenti attualmente attivi e di lotta vera che il proletariato in Italia sta facendo, cioè sul terreno della resistenza economica del sindacato di classe. 

Ma noi abbiamo la consapevolezza che c'è un limite, ecco perché siamo qui oggi. C'è un limite della lotta economica. Voglio raccontarvi un aneddoto. Dieci anni fa, quando gli immigrati denunciavano gli imbrogli, le buste paga false, tutte le cose illegali che il padrone faceva, tra l'altro violando le proprie stesse leggi padronali, arrivarono i poliziotti (mentre ai padroni se ci sono problemi ci va l'Ispettorato del Lavoro, la Guardia di Finanza, nei nostri scioperi invece ci viene la Digos, la celere, comportamenti un po' differenti), e quando gli immigrati li videro arrivare la prima volta, esclamavano "Ah finalmente, sono arrivati! Così li arresteranno tutti". Perché c'era quel mito forse proveniente da quel fideismo nei confronti dello Stato che molti di loro hanno.

Picchetto degli operai della logistica. Fonte: Facebook
Faccio un inciso personale sulle proposte di nazionalizzazione delle produzioni che sono state fatte in questa sala: se è lo Stato borghese di oggi a nazionalizzare, di che stiamo parlando? C'è un po' di confusione tra programma di classe rivoluzionario e programma minimo, non bisogna sovrapporlo, sennò si cade nel riformismo. Un conto è estendere l'unità e il fronte dei lavoratori sul terreno della resistenza economica, e iniziare a ragionare cosa deve essere marciare divisi ma attaccare insieme. Ma attaccare insieme bisogna capire cosa significa, e significa ampliare questo fronte, costruire nuove narrazioni, raccontare cosa sta accadendo. In questo momento ci sono altri compagni del Si Cobas che stanno andando a parlare con i facchini della Peroni, ci sono situazioni che non raggiungono il mainstreming, la comunicazione pubblica ufficiale, e tanta sinistra anche radicale non è che intercetta frequentemente questi elementi di lotta radicale sul terreno della resistenza e dei diritti

Quindi dicevo: in quella ingenuità dell'immigrato che sperava che la polizia, cioè lo Stato che malamente lo sta accogliendo tra le 13 ore al giorno, le buste paga false, gli insulti ecc., con tutto l'annesso e connesso nazionalpopolare attorno a questo povero cristo, cosa è accaduto? Ebbene è accaduto che l'immigrato ha scoperto un concetto teorico, e lo ha fatto sul terreno della lotta economica e della resistenza per affermare un diritto, non perché stava facendo l'assalto al palazzo d'inverno: che lo Stato è dalla parte dei padroni, non perché glielo andiamo a dire noi con i nostri simboli iconoclasti, con le nostre tradizioni, ma lo ha scoperto nella forma pura della contraddizione del rapporto capitale-lavoro. Cioè il comunismo è un processo materiale reale, non è un'idea che nel tempo si cristallizza, che sopravvive a vecchi cicli di lotta o che può essere riproposta. Se lo si immagina così sembra piuttosto un riciclo di classi declassate, ma non un'attenzione teorica vera sulle nuove tendenze del proletariato in Italia e a livello mondiale, perché poi c'è l'aspetto internazionale che non ho il tempo di affrontare. 

Quindi ben vengano queste iniziative, ma il problema è capire come trasformare sul piano teorico politico-organizzativo l'innalzamento che la classe proletaria nel suo insieme - però anche cercando di non farci condizionare da Toni Negri e da Togliatti con l'idea che siamo tutti lavoratori, tutti sfruttati ecc. Perché esiste un proletariato, ed esistono altre figure di lavoratori che sono sicuramente i fratelli alleabili in un processo più ampio, perché certo la rivoluzione, le rotture non vengono fatte da sole 3, 4 o 5 milioni di persone in Italia, e neanche da 25mila iscritti del Si Cobas.

domenica 1 dicembre 2019

Tra Sardine e Nuove Destre

Piazza Dante ieri sera. Fonte: Piero De Martino - Facebook

Sabato sera erano 10mila in piazza Dante a Napoli, almeno stando alle cifre offerte dai giornalisti presenti. Parliamo delle sardine, il movimento che da diverse settimane tiene banco qui in Italia ed organizza flash-mob nelle principali piazze per protestare contro l'odio e la violenza xenofoba che la Lega sta sdoganando e sfruttando per fare bottino pieno nelle prossime tornate elettorali. Lanciato da un gruppo di ragazzi a Bologna, prova a raccogliere le varie anime della sinistra disperse da una delle più profonde crisi politiche dal dopoguerra in poi. Al di là dei numerosi detrattori che già vanno accusando gli organizzatori di essere legati al PD o a Romano Prodi, secondo il solito canovaccio che vede tutto ciò che nasce da sinistra come frutto di chissà quali massonerie, mentre invece tutto quello che sorge da destra è da considerarsi autentico furor di popolo, provo qui a darne un'analisi scevra da complottismi vari.

Partiamo da un punto fermo. A prescindere da come sia nata l'idea della "sardina", l'impressione è che si tratti di un brand comunicativo capace di raccogliere intorno a sé consensi tanto di un mondo politicamente organizzato, quanto di una massa di persone non legate ad alcun partito o movimento. Questo brand, calato in un contesto sociale liquido e disgregato, viene adottato dagli organizzatori che sono affini, ma non necessariamente "legati", alle realtà politiche localmente più forti: l'area della sinistra Dem in alcuni centri del Nord Italia, la multiforme (e frammentata) realtà della sinistra radicale qui a Napoli. Non esiste insomma un vero e proprio marchio di fabbrica, esiste invece un mondo della sinistra che prova a restituirsi una centralità che aveva perso negli ultimi tempi.
 
Ed è questo bisogno di centralità che sembra essere riuscito a captare questo movimento. In tempi di "desertificazione da social", una piazza piena (o semi-piena) è oro che cola, tanto per la destra quanto per la sinistra, in un Paese economicamente ristagnante e sempre più vecchio, con buona parte della sua gioventù emigrata all'estero. Ieri a Napoli - così come in altre parti d'Italia - era presente una svariata moltitudine: dagli ultrasessantenni cresciuti attraverso i movimenti di contestazione degli anni '60 e '70, ai ventenni/trentenni che provano a riscoprire la partecipazione di piazza senza bandiere di partito. Quindi credo si possa affermare che si tratta di un movimento intergenerazionale

Corteo del Popolo Viola. Fonte: Di Emanuele - Wikipedia
Qualcuno ha richiamato le esperienze del Popolo Viola o dei girotondi per fare dei parallelismi tra quell'esperienza antiberlusconiana e l'attuale antisalvinismo. Sebbene siano innegabili delle analogie, in primis la strategia di capitalizzazione del dissenso, sono differenti però i tempi e le condizioni. L'opposizione alla destra di oggi non è l'opposizione al centrodestra di ieri: questa di oggi è destra pura, per parafrasare Mario Tronti, che ricorre correntemente alle idee di nazione, etnia e religione; è trasversale, perché è riuscita a sdoganare, tra persone di sensibilità differenti, pulsioni che fino a poco tempo fa si aveva il pudore di razionalizzare almeno. Quindi ben vengano le sardine che incassano il risultato (non di poco) di sottrarre il palcoscenico mediatico alle destre, come sottolinea Mattia Santori sulle pagine del Manifesto.

Detto ciò, una disamina approfondita ha il compito di svelare le due facce della medaglia. Ancora una volta la mia "excusatio non petita" prelude ad una forte critica che non bisogna risparmiarsi di fare. Non vi nascondo che gli scontri più duri che ho avuto in questi anni di breve esperienza politica sono proprio con coloro che ieri cantavano "Bella Ciao" o "Je so pazzo" di Pino Daniele, perché su quelle note si sono costruite ricchezze e carriere vergognose.

Occorre dunque fare qualche cenno alla specificità della piazza partenopea. Napoli non è Bologna, Napoli non è Modena. I 10mila di Napoli non sono i 40mila di Firenze. La presenza maggioritaria della middle-class locale, e anche di numerosi esponenti dell'alta borghesia, è qui tendenzialmente escludente alla partecipazione di altre fasce sociali della città. Non perché ciò non avvenga anche altrove, ma perché la particolare conformazione partenopea lo rende molto più evidente. Il celebre pernacchio di Eduardo De Filippo, ieri usato dalla piazza contro Salvini, nasce nello sceneggiato del grande attore come rivendicazione delle classi umili contro l'alterigia del duca Alfonso Maria di Sant'Agata dei Fornai, che si serviva della polizia per sgomberare la strada dai venditori di cianfrusaglie e di piccolo contrabbando che gli impedivano di rientrare a casa con l'auto. Nella piazza di ieri invece era più facile trovare duchi e conti - o figli di - che usavano (male) il pernacchio, quale inedita versione della (finta) vicinanza tra nobili e sottoproletariato sdoganata dai Borbone. Ma almeno lo stereotipo del re lazzarone aveva il pregio di mostrarsi fisicamente vicino al popolo; ieri invece si trattava di una vicinanza solo comunicativa, al sicuro nella scatoletta di piazza Dante.  

La tensione della piazza era più che altro auto-celebrativa, come se si trattasse di un concerto e non di una manifestazione politica. Si celebrava il difficile compito di essere finalmente riusciti a sfuggire dal vortice social e ad affrontare il primo freddo di questi inverni sempre più miti. Molti quasi non ci credevano. La tensione era tutta oppositiva, di proposte concrete ce n'erano ben poche al di là delle pur condivisibili parole d'ordine, un po' perché questo appare essere il limite dei movimenti più recenti, un po' perché mettere in discussione l'esistente vorrebbe dire per molti di quei partecipanti/aderenti (soprattutto politici) far venir meno le fondamenta dei propri patrimoni.

Il rischio è che, così come alcuni girotondi hanno finito di girotondare attorno ai palazzi con l'obiettivo di costruirsi carriere personali senza riuscire ad allontanare il "pericolo berlusconiano", così le attuale sardine finiscano per girotondare attorno alle piazze, manco attorno ai palazzi, quelli ormai saldamente in mano all'antipolitica e alle future destre. Non è un caso che ieri sera fossero presenti diversi personaggi che tenevano un basso profilo, da ciò costretti più dal contesto generale che non da una libera scelta. Non c'erano i "big" Luigi de Magistris e Vincenzo De Luca, i quali si sono limitati a dare un appoggio esterno alla manifestazione. Tra la folla si sono intravisti il presidente del Consiglio comunale Sandro Fucito, il presidente della terza Municipalità Ivo Poggiani - che secondo il Corriere del Mezzogiorno è uno dei papabili candidati a sindaco - i neoassessori Luigi Felaco e Francesca Menna, quest'ultima attorniata dai transfughi (o quasi transfughi) dei 5 Stelle, tra cui la senatrice Paola Nugnes passata con LeU. C'era pure l'ex governatore Antonio Bassolino, che da un po' insieme alla moglie (ed ex parlamentare PD) Anna Maria Carloni calca i movimenti #primalepersone e i FridaysForFuture.

Antonio Bassolino in piazza ieri. Fonte: Facebook
Tutt'intorno a quella piazza continuava a sciamare la vita solita della città. Chi notava le orde di rider costretti a correre tra i vicoli per consegnare i panzarotti delle onnipresenti friggitorie? O le commesse che alle 21 di sabato sera lavavano i pavimenti dei negozi dietro le serrande semichiuse? E che dire dei senzatetto accoccolati tra i rifiuti sotto i ponteggi? Qualcuno avrà forse ricordato che tra giovedì e venerdì il piombo della camorra ha fatto un morto e due feriti? Colpisce la giovane età delle vittime: 29, 23 e 19 anni, coetanei di molti dei partecipanti di quella piazza, eppure di quanto più distante dagli stessi. L'ultimo agguato è avvenuto alle 8:15 di mattina fuori ad un bar poco lontano da piazza Dante, tra i tanti che si apprestavano ad andare a scuola o a lavoro. C'è un mondo che ci si ostina a ricacciare fuori da sé, ma è un mondo che travolgerà quel poco di classe media rimasta dopo gli anni ruggenti keynesiani. L'ultima manifestazione della CGIL a Giugliano contro il lavoro nero è stata un flop: solo 70 persone, tutti studenti delle scuole. Si voleva dare una risposta al caso di un imprenditore manifatturiero che in una fabbrica di Melito aveva rinchiuso in deposito 43 operai non contrattualizzati per sottrarli all'ispezione dei carabinieri. Quel corteo si è mosso nella completa indifferenza e diffidenza della popolazione, così come testimoniato dalle telecamere di Fanpage


Bisogna insomma esser consapevoli che il movimento/momento delle sardine passerà, legate a doppiofilo alle sorti di Matteo Salvini e del fronte sovranista di destra. Sullo sfondo rimarranno i drammi quotidiani di sempre, storie ordinarie di sfruttamento e di ingiustizie affrontate nella più totale solitudine. Che sia l'occasione buona per rendersi conto del mondo di cui facciamo parte? Anche perché non ce ne saranno altre.