lunedì 15 agosto 2022

Il Capitalismo Cannibale e i suoi Limiti


Condivido molto Nancy Fraser quando afferma che la visione marxista tradizionale non considera a sufficienza le "condizioni di possibilità di fondo" che sorreggono la nostra esistenza e l'esistenza stessa del capitalismo. 
 
Anzitutto la riproduzione sociale, intesa come l'attività spesso svolta dalle donne al di fuori dell'economia ufficiale, consente la rigenerazione della "forza-lavoro" che è alla base dello sfruttamento capitalistico: far nascere i bambini, nutrirli e farli crescere, istruirli, educarli fino a farli diventare adulti, affinché possano entrare a far parte del mercato del lavoro; ma anche curare i propri compagni e mariti affinché abbiano tutto il necessario per affrontare la giornata di lavoro (biancheria pulita, cibo alla sera ecc). Senza la riproduzione sociale non ci sarebbero lavoratori a sufficienza da cui estrarre il famoso plusvalore.
 
La seconda condizione è la natura non umana, ossia l'ambiente. L'accumulazione capitalistica presuppone la necessità di estrarre le risorse naturali dal pianeta, come gli idrocarburi, le fonti di energia, sfruttare le grandi distese di terra per coltivazioni e allevamenti intensivi. Senza l'ambiente il capitalismo non potrebbe giocare il suo ruolo: il Covid-19 ad esempio, provocato dal nostro distruttivo modello di sviluppo, ha comportato una forte contrazione dell'economia globale, a dimostrazione che le condizioni non economiche possono intaccare la struttura economica. 
 
Ma qual è il punto di tutto questo? E' che oggi il capitalismo non si limita più a sfruttare semplicemente gli shock, come raccontava Naomi Klein nel suo best-seller del 2007 citando l'invasione in Iraq, ma ormai cannibalizza sé stesso, come afferma Nancy Fraser in "Capitalismo Cannibale" (uscirà in lingua inglese il 22 settembre). Ossia il suo imperativo di accumulare e di reinvestire capitali incessantemente per accrescere sè stesso travolge e distrugge la riproduzione sociale, i rapporti familiari, l'ambiente, gli Stati ecc, ossia le sue stesse condizioni di sopravvivenza, come si sottolineava prima. 
 
La sommatoria delle crisi economica, sanitaria, ecologica, politica fanno pensare che ci troviamo davanti ad una crisi generale del sistema capitalistico. Non semplicemente una crisi di settore, come può essere stato lo scoppio della bolla speculativa dei mutui subprima nel 2007-2008, ma qualcosa di epocale. 
 
A questo punto Nancy Fraser prova ad elaborare una soluzione politica a tutto questo, che consiste nella costruzione di un blocco egemonico a sinistra denominato "ecosocialismo democratico globale" in grado di abbracciare, in una forma populista, tutte le varie lotte contro le declinazioni dello sfruttamento capitalista (attivisti ambientalisti, sindacati, i movimenti femministi ecc), ridefinendo e allargando il concetto stesso di "lotta di classe" non solo alla lotta nel luogo di lavoro, ma ad ogni forma di lotta anticapitalista. 
 
Il progetto secondo me è ambizioso e sotto certi aspetti coglie i punti deboli di una sinistra che ancora non è riuscita a darsi un'identità politica dopo lo shock degli anni '90. Aspetto di poter leggere il libro per dare un giudizio più compiuto, tuttavia ho delle riserve che mi fanno essere piuttosto pessimista a riguardo.
 
Chi si definisce marxista sa bene che la lotta contro il capitale è fatta di sangue e merda, e che i popoli, gli individui non imparano a sfidare apertamente il sistema di terrore messo in piedi dalle classi dominanti se non sul terreno della pratica. Purtroppo l'uomo non riesce ad imparare se non vivendo il dolore sulla propria pelle, e questo periodo storico di pax tra le classi ha determinato la pressoché assenza di una forza sociale e politica in grado di opporsi al sistema capitalistico. Gli esperimenti politici solo "dal basso" o solo "dall'alto" non funzionano, ci vuole reciprocità dei due movimenti altrimenti la sconfitta (o peggio la torsione reazionaria) è già definita in partenza. 
 
C'è anche da dire che purtroppo il sistema capitalistico, dinanzi alla crisi epocale che stiamo vivendo, sembra aver trovato la soluzione per anticipare e neutralizzare sul nascere qualsiasi climax rivoluzionario, e che è in fondo sempre la stessa: la guerra. 
 
L'opzione bellica, se da un lato è causa delle crisi capitalistiche (si veda lo shock inflazionistico sui prezzi dell'energia), dall'altro è anche una soluzione, perché distrugge il capitale in sovrapproduzione (in primis il capitale "umano", cioè uomini e donne) e crea ex novo le condizioni per un nuovo ciclo di accumulazione. Ecco così che si acuiscono tra gli Stati le tensioni accumulate negli anni lungo le faglie geopolitiche, dall'Ucraina a Taiwan, in un crescendo il cui epilogo sembra già scritto, in assenza di quella forza controegemonica di cui parla Nancy Fraser. 
 
Questi sono i motivi per cui nutro poca fiducia nella capacità delle attuali generazioni (in particolare la mia, almeno in Occidente) di mettere in piedi quel blocco controegemonico di cui parla Nancy Fraser, e mi auguro che chi verrà dopo di noi sarà in grado di poter avere il coraggio e l'integrità che noi non abbiamo avuto.

martedì 5 luglio 2022

Perché La Rabbia?


La rabbia non è foriera di nulla. Non è come l'ira, che è quel sentimento in grado di spingere in avanti il corso della Storia quando s'incaglia nelle secche.

La rabbia ti paralizza, non ti consente di arrivare al punto focale di te stesso, soprattutto occulta le sue ragioni concrete. I silenzi, i rifiuti, le ambizioni frustrate, tutte cose che il tuo ego rifiuta di accettare come limiti normali dell'esistente.

La rabbia si presenta a momenti alterni: a volte diventa un torrente che s'ingrossa impetuoso e produce un frastuono che ti rende sordo alle cose del mondo, altre volte invece riduce la sua portata e diventa un ruscello, eppure non scompare mai del tutto, rimane silente, sempre pronta ad ingrossare il letto del fiume alla prossima piena.

La sua compagna più stretta è la frustrazione. Le vedi che vanno a braccetto insieme, come due amiche sceme mentre fanno shopping, accompagnano giorni e notti insolenti, privi di significato.

La rabbia cerca giustificazioni, obiettivi su cui scaricarsi, offusca la visione del mondo e ti allontana dal vero, dalla comprensione di te stesso nel tuo rapporto con gli "altri".

La rabbia pretende vendette impossibili, perché sono continue ed incessanti. Ogni tanto ne soddisfi qualcuna, solitamente perché sono gli eventi a sostituirsi a te, ma ecco che il giorno dopo ricominci daccapo, più nervoso di prima.

La rabbia spinge alla fuga da te stesso, ma non ti molla mai davvero.

venerdì 24 giugno 2022

La Napoli Feroce e Parassitaria che piace al Turista

I vicoli del centro storico invasi dai tavolini: foto tratta da Comitato Vivibilità Cittadina

E' inutile che il senatore Sandro Ruotolo faccia appelli alla legalità
dal ristorante del centro di Napoli il cui proprietario è stato vilmente aggredito da alcuni esponenti della malavita di Forcella, così come è inutile continuare a strombazzare in giro che il fenomeno camorristico sia slegato dal tessuto economico e sociale della città, come se la camorra fosse un tumore che, una volta estirpato, consentirà al corpo sano di riprendersi. La rissa scoppiata per l'accaparramento degli spazi in via dei Tribunali
(anzi, a guardare le immagini sarebbe meglio definirla l'aggressione), ormai trasformati in un enorme bar a cielo aperto, denota una realtà marcatamente tribale, brodo di coltura perfetto per il fenomeno camorristico, il quale a sua volta torna ad inquinare la società con l'enorme disponibilità di denaro liquido di cui l'asfittica economia napoletana necessita come l'aria.

Tavolini occupano un cantiere: foto tratta dal profilo Fb del consigliere Gennaro Esposito

Ed è inutile anche che si tenti di imbellettare questa realtà richiamando usurati valori di solidarietà reciproca e di mutuo supporto che l'animerebbero da secoli, magari rievocando fino alla nausea gli sketch di Totò, Peppino ed Eduardo De Filippo (che, forse qualcuno dimentica, era un iscritto al PCI) o creando brand commerciali fondati su una napoletanità melensa ed irreale. Basta grattare la superficie per rendersi conto che Napoli è a tutti gli effetti una fogna sociale, come tra l'altro emerge dalla denuncia di una giovane 22enne che su TikTok racconta di aver ricevuto un'offerta di lavoro in un negozio di abbigliamento a Secondigliano per 10 ore al giorno a 280 euro al mese. Nel luogo in cui l'ex leader degli ultras era soprannominato Genny 'a carogna, non c'è mica da fare tanto gli indignados dinanzi a cotanta carogneria: sono offerte che a queste latitudini avvengono all'ordine del giorno per le migliaia di senza risorse, a meno che non si è parte di ristretti gruppi sociali la cui affiliazione parentale o amicale elargisce come privilegi quelli che costituzionalmente parlando dovrebbero essere diritti. 

Screenshot tratto da NapoliToday

Nostalgia di Ermanno Rea, trasposto sul grande schermo da Mario Martone, è in realtà l'ultimo di una serie di romanzi che lo scrittore ha dedicato ai diversi segmenti territoriali, sociali e politici della città. Prima di quello ci sono Mistero Napoletano, La Dismissione, Napoli Ferrovia. E ancor prima del travaglio interiore e sentimentale di Felice Lasco quando compie l'errore di restare nel Rione Sanità, è la ferocia dei rapporti sociali in cui è immersa la dimensione partenopea ad emergere con prepotenza dall'opera. L'appartamento dell'anziana madre occupato con la forza, il predominio del clan dell'ex amico Oreste Spasiano detto 'o Malommo sul rione, l'ostilità - ancor prima dell'omertà - da parte degli abitanti del quartiere quando Felice si limita a citare il nome di 'o Malommo, il paternalismo di don Luigi che nella sua "tutela" del rione sostituisce in tutto e per tutto le istituzioni, e che agli occhi della gioventù bruciata del rione appare come l'unico (e illusorio) viatico di speranza, delineano una situazione tangibile che spinge ancora molti napoletani ad abbandonare la città: dati Istat alla mano, tra 2019 e 2020 se ne sono andati in 26mila.

Eppure bisogna ammettere che fa un certo effetto rendersi conto che al turista odierno non fa più schifo o paura la Napoli incivile, sporca, camorrista, come avveniva invece fino a pochi anni fa. Eccolo oggi questo turista che si unisce estasiato ai frizzi e lazzi locali aggiungendoci i suoi, insudiciando i già tracimanti vicoli del centro storico con gli aperitivi a base di spritz e panzarotti. E' il "turismo esperienziale" di cui si fa vanto e promotore il ministro Franceschini quando parla di Napoli "capitale del turismo mondiale nei prossimi dieci anni", la metropoli - Disneyland come qualcuno ha scritto su Facebook. Una nuova corsa all'oro che si appresta a fare il tris da queste parti senza aver fatto davvero tesoro delle due epoche di fallimenti che hanno caratterizzato gli ultimi settant'anni: dapprima la mancata industrializzazione del Mezzogiorno, per poi passare alla mitologia della de-industrializzazione ribattezzata "Rinascimento napoletano", di cui è stato assoluto protagonista l'ex sindaco Antonio Bassolino, almeno finché quella (flebile) speranza non si è rivelata come l'ennesima bolla di sapone. La nuova corsa all'oro - anzi sarebbe meglio chiamarla la nuova drammatica corsa verso il baratro -  sottrae spazi di vita ai residenti e fa schizzare verso l'alto i canoni di affitto del mercato immobiliare, già fortemente monopolizzato da congregazioni religiose e criminalità organizzata.

Questo turista così desideroso di immergersi nel bailamme cittadino sembra suggerirci che forse anche il mondo si sia un po' napoletanizzato, ma non nel senso nobile che ne davano i compianti Mastroianni e De Crescenzo, piuttosto nel senso che la ferocia dei legami economico-sociali tipici di un certo capitalismo parassitario inizia ad essere non così dissimile nel resto d'Italia.