sabato 14 novembre 2020

Morto Siani, Morto il Giornalismo

 

Qualche settimana fa si è celebrato l'anniversario della tragica morte di Giancarlo Siani, giornalista precario (è il caso di sottolinearlo) assassinato vigliaccamente da un commando di camorra nel 1985 nel cuore di una tiepida notte napoletana. Per arrivare ad assicurare alla giustizia mandanti ed esecutori di quel barbaro omicidio si sono impiegati anni, e nonostante tutto rimangono numerose ombre sulle quali bisogna far luce, considerando quale punto di partenza lo scenario politico-sociale in cui esso maturò (la ricostruzione post-terremoto).

Quest'anno il Covid ci ha almeno risparmiato le sempre più ipocrite celebrazioni del suo ricordo. A distanza di trentacinque anni la condizione lavorativa del povero Siani è diventata la regola per gran parte della categoria giornalistica. In tanti si arrabbattano in cerca di una redazione che pubblichi uno straccio di articolo, possibilmente non aggratis e con una paga quantomeno decente, per ottenere l'agognato tesserino di pubblicista, scarto di un ordine professionale di stampo fascista che reclama somme di denaro non indifferenti per rimanere nel club.

Quali le garanzie di libertà di chi si ritrova a scrivere in tali condizioni? Ovviamente nulle. Ogni possibilità di una libera ricerca viene bloccata sul nascere, facendo calare un silenzio di ghiaccio su inchieste e approfondimenti che meriterebbero ben altra sorte. Anche perché, e stavolta il ragionamento è circoscritto alla realtà napoletana in cui il sottoscritto si trova suo malgrado a vivere (ma può essere esteso a qualunque altro luogo d'Italia), le stanze del potere di questa città rimangono pressoché sconosciute a tutti. Sappiamo ogni cosa dei personaggi che affollano il teatrino politico a cui assistiamo, delle loro dirette Facebook, delle sparate a cui spinge una ricerca di visibilità mediatica ormai fuori controllo

Nulla invece conosciamo di quello avviene sottotraccia, del maledetto "mondo di mezzo" che ribolle al riparo da occhi indiscreti, e che Siani è stato uno dei pochissimi a scoperchiare apertamente e senza tanti fronzoli, senza cercare la mediazione di nessuno né i saggi consigli di chichessia.

Alcune delle domande a cui non si trova risposta per il semplice fatto che (quasi) nessuno le pone:

- Quanto peso dispongono congregazioni religiose come l'Arciconfraternita dei Pellegrini, proprietaria di centinaia di immobili e terreni, nelle scelte politiche dei decisori? Quali sono i membri? 

- Perché gli affidamenti per opere di somma urgenza vedono sempre la partecipazione delle stesse ditte, tutte ben identificabili in quanto provenienti sempre da un medesimo contesto territoriale? 

- Perché accade che giornali importanti dedichino parole commosse quando si verifica la morte di storici personaggi criminali? 

- Quali sono gli individui, e soprattutto le famiglie che si sono arricchite dalla selvaggia turistificazione che ha caratterizzato la città prima della pandemia? E chi sono i personaggi che ora stanno approfittando dell'attuale crisi pandemica?  

In parole povere, come si delinea il potere nella città di Napoli, vero paradigma di città strutturata su base clanica secondo la felice espressione del prof Fabio Armao? Poche e storiche famiglie, camorristiche o meno, che controllano i gangli della sua vita economica, il cui potere ha un impatto fortissimo sulla politica e sulla vita sociale, tanto da non poterne prescindere, neanche da parte di quei soggetti politici che si dichiarano antisistema. Se oggi assistiamo ad una domanda ormai fuori controllo di denaro (ancora più che di beni) necessario a tenere in vita il sistema finanziario globale (F. Armao, Le reti del potere), è chiaro che chi fornisce i flussi di capitali in grado di rispondere a questa domanda è il vero padrone dei processi sociali, non importa se illeciti o meno.

Per questo, e per molto altro, a Siani risparmiamo almeno l'affronto di essere celebrato dalla stessa melassa che fu quantomeno responsabile morale del suo omicidio.