giovedì 26 dicembre 2019

Mani Su Bagnoli - Il Gioco Delle Parti

Luigi Pirandello, autore della commedia "Il giuoco delle parti"
La classe dirigente dell'antica Roma era solita occultare al popolo gli scontri di potere al proprio interno. Quei provvedimenti che potevano disvelarne i tratti più reconditi, in primis le sentenze giudiziarie sui personaggi più in vista, spesso non venivano esternati al pubblico, essendo sufficiente per la loro efficacia giuridica la delatio ad aerarium, ossia il loro deposito nell'archivio degli atti pubblici. È in questo quadro di verità nascoste che nasce il celeberrimo "arcana imperii", termine coniato da Tacito per sottolineare gli oscuri disegni del potere che dominavano le dinamiche dell'impero romano.


Uno di questi arcana imperii sembra essere stato svelato durante il convegno sul futuro dell'area ovest di Napoli organizzato da Invitalia nel Castel dell'Ovo. Il professor Michelangelo Russo, preside di architettura dell'università Federico II, ha delineato le prospettive di sviluppo di Bagnoli con un discorso che ha lasciato di stucco i presenti. Secondo Russo infatti "la riqualificazione di Bagnoli è un progetto molto complesso e per completare tutti i lavori, bonifiche e trasformazioni, ci vorranno almeno 35 anni, se non si arriverà a 50 considerata la portata degli interventi". A detta del preside Russo dunque non saranno sufficienti i i 5 anni stimati per la bonifica, come da cronoprogramma del PRARU (Piano di Risanamento Ambientale e di Rigenerazione Urbana). Da queste parti 35 anni vogliono dire almeno il doppio, ed effettivamente ci sembra un'eternità considerati i decenni di paralisi trascorsi finora. Che queste parole abbiano suonato nei timpani degli amministratori locali come un treno che sferraglia lo si capisce dalla sequela di reazioni pubblicate a mezzo stampa. Il commissario Francesco Floro Flores ne ha approfittato per scagliare un'invettiva contro Invitalia, colpevole a suo dire di non averlo invitato al convegno (!) e di aver lanciato il concorso internazionale di idee a Milano invece che a Napoli, snobbando così gli studi di architettura ed ingegneria napoletani (che da decenni aspettano di mettere le mani sull'ex area industriale). I costruttori partenopei sono andati ovviamente nel panico, tanto da redigere una lettera a firma della presidente Federica Brancaccio in cui si chiede al ministro per il sud Giuseppe Provenzano e allo stesso commissario "la sospensione del bando per il concorso di idee lanciato da Invitalia e prorogato al 7 gennaio 2020" e la "realizzazione ad horas di interventi in aree che non necessitano di bonifica e che hanno già la destinazione urbanistica". Ma è soprattutto sui vincoli esistenti che i costruttori chiedono un impegno in tal senso: sono troppi e vanno rimossi (a breve il Comune dovrebbe pubblicare il nuovo piano regolatore), in spregio alla cementificazione selvaggia che ha devastato questi territori. Addirittura Antonio Di Gennaro, in un suo appello alla responsabilità lanciato dalle colonne di Repubblica, a fronte di una serie di critiche pur condivisibili, si spinge ad esaltare il lavoro fatto dall'ACEN, l'associazione costruttori edili napoletani:
Che il piano di rigenerazione urbana di Bagnoli prodotto da Invitalia fosse un involucro vuoto, mestamente privo di contenuti, l’avevano già detto i sindacati (CGIL, CISL e UIL), assieme al WWF e al FAI in un circostanziato documento, ma si sa, quella è gente inconcludente, eternamente scontenta. Sulle pagine di Repubblica poi, l’urbanista Giuseppe Guida aveva osservato che un suo studente del secondo anno avrebbe fatto meglio, ma anche qui, la spocchia accademica non conosce fine. Nel frattempo però la cosa era stata ribadita, nero su bianco, nel parere congiunto rilasciato dai ministeri dell’Ambiente e dei Beni culturali, secondo il quale il piano di Invitalia non era valutabile, perché puramente virtuale (sic!), ma questa volta evidentemente è il muro di gomma della burocrazia a remare contro, i lacci e lacciuoli che lo Sblocca-Italia si era prefisso di recidere e dissolvere. [...] A questa cortina fumogena la Consulta delle costruzioni (organo dell'Acen, ndr) propositivamente oppone il lavoro fatto, le decisioni pubbliche già prese, fino ai progetti approvati e cantierabili, sono trentatré quelli censiti, pienamente coerenti con il quadro delle previsioni urbanistiche vigenti, che potrebbero essere avviati immediatamente, senza attendere la palingenesi di una bonifica senza fine, l’unica grande, costosa opera pubblica che sembra stare a cuore a Invitalia. Alcuni sorprendenti dettagli della quale, sono stati illustrati dai tecnici di quella società nel convegno a Castel dell’Ovo dello scorso 11 dicembre, e qui siamo davvero dalle parti del dottor Stranamore, perché l’idea sarebbe quella di ricollocare in situ, nella stessa area, i materiali provenienti dalla rimozione della colmata (che sarebbe bene a questo punto mettere in sicurezza e lasciare lì dov’è), seppellendo così nuovamente i suoli esistenti; e di procedere alla bonifica dei fondali su uno specchio d’acqua sconfinato, di 14 chilometri quadrati. Insomma, lo sconvolgimento di un ecosistema – mare e terra – che con altri approcci, improntati alla sobrietà più che all’onnipotenza, andrebbe invece guidato, in tempi ragionevoli, verso condizioni di equilibrio e sicurezza. La lettera della Consulta al ministro Provenzano è un appello serio alla responsabilità: davanti a percorsi così spregiudicati e incerti, è necessario che sia il territorio, con le sue istituzioni e le forze economiche e sociali, a ritrovare rapidamente un ruolo e una voce.
Federica Brancaccio e il sindaco de Magistris. Fonte: Facebook
Certo fa sorridere che i vari esponenti del mondo imprenditoriale partenopeo, compresi i loro epigoni, si accorgano soltanto ora del fatto che il piano di rigenerazione urbana di Invitalia fa acqua da tutte le parti, quando fino a pochi mesi fa ne tessevano le lodi, e anzi ne auspicavano la rapida approvazione da parte di Mattarella (arrivata a settembre di quest'anno). In realtà che qualcosa non stesse andando per il verso giusto lo si era capito durante la commissione comunale che si tenne a febbraio, in cui alcuni consiglieri di maggioranza si rizelarono nell'ascoltare dai tecnici di Invitalia che la colmata a mare dovesse essere rimossa e ricollocata in situ. Legittime preoccupazioni ambientaliste? Tutt'altro. Come abbiamo spiegato in un articolo di alcuni mesi fa, la colmata serve a taroccare al ribasso l'indice di fabbricabilità e a giustificare così speculazioni edilizie di stampo laurino in piena zona rossa per rischio vulcanico dei Campi Flegrei (l'ultima scossa di magnitudo 2.8 è di poche settimane fa). E non sorprende neanche più vedere esponenti dei movimenti di lotta allinearsi più o meno implicitamente alle stesse tesi dei costruttori: se Napoli viene più volte indicata come laboratorio politico del Paese, una ragione ci sarà.


Insomma il preside Russo si è preso la responsabilità di dichiarare il vero, ossia che interventi del genere richiedono tempi molto lunghi. Una simile dichiarazione, arrivata tra l'altro a pochi mesi dalle elezioni regionali, da un lato demolisce il dogma della rapidità che la politica aveva imposto giocandosi buona parte del consenso, dall'altro offre un assist alle ragioni del governatore Vincenzo De Luca che sul piano si è messo di traverso ufficializzando il parere negativo della Regione, senza fornire alle conferenze dei servizi tutta la parte infrastrutturale che sarebbe servita a chiudere il quadro. A spingere nuovamente sull'acceleratore ci ha pensato il presidente della Camera Roberto Fico, che si è così inserito nella polemica durante un convegno incentrato sul tema dell'abbandono delle periferie: 
A Bagnoli, a Napoli, ad esempio si è verificato per 30 anni un tradimento da parte della classe politica sulla promessa della bonifica; si sono creati disillusione dei cittadini, distanza dalla politica. Se non riusciamo ad applicare ciò che legiferiamo, la distanza della gente dalla politica aumenta. Ciò che promettiamo deve poi accadere sul territorio".
Ed ecco tornare la questione delle promesse. Ed in effetti bisognerebbe capire a chi la politica ha promesso sul territorio. Di certo non ai suoi abitanti ormai assuefatti da trent'anni di immobilismo. E soprattutto che cosa ha promesso? Di certo non la fantomatica bonifica, visto che non si riesce neanche a rimuovere l'amianto dopo più di un anno dall'avvio delle procedure per il bando di gara, il cui termine è stato prorogato al 2020.

Per capirci qualcosa occorre partire dalle parole di Floro Flores, che ha accusato Invitalia di aver inaugurato il concorso di idee a Milano. L'ex area industriale di Bagnoli è infatti uno dei nodi gordiani prodotti dall'incessante contrattazione tra poteri locali e gruppi affaristici oltre regione per il controllo del territorio e delle sue risorse. Questa contrattazione va avanti a continui stop and go, secondo un gioco delle parti in cui ognuno fa la sua mossa nella piena consapevolezza della reazione dell'avversario. Non è un caso che alle parole di Floro Flores abbiano subito ribattuto prima l'ex commissario Salvo Nastasi, il quale ha accusato l'imprenditore napoletano di aver fomentato una polemica pretestuosa e di aver perso inutilmente tempo, e successivamente l'ex ministro Claudio De Vincenti che delle trattative per arrivare a quel piano è stato il protagonista.

La contrattazione include il ricorso alla corruzione e alla violenza (quest'ultima soprattutto nei momenti più critici) come da tradizione consolidata della nostra classe dirigente. Per capirci di più può essere utile mettere in linea i vari avvenimenti degli ultimi anni. Una prima fase di stallo si verifica con l'incendio doloso di Città della Scienza avvenuto il 4 marzo 2013 e rimasto tutt'oggi senza colpevoli, ma soprattutto con l'inchiesta della Procura di Napoli che un mese dopo inquisisce per disastro ambientale ben ventuno tra politici, tecnici ed amministratori della Bagnolifutura SpA. E' a quel punto che saltano tutti gli accordi e i loro garanti. Segue così un periodo di incertezza nel quale si rende necessario ricostruire quegli equilibri che si erano saldati intorno al piano di Vezio De Lucia approvato dal Comune di Napoli. Le tensioni raggiungono l'apice con gli scontri di piazza seguiti alla frattura tra il sindaco Luigi de Magistris e l'ex premier Matteo Renzi, il quale forte del consenso ottenuto alle europee del 2014 cerca di imprimere sull'area il proprio marchio di fabbrica nominando un commissario ed espropriando l'amministrazione comunale. Quelle tensioni provocano una nuova fase di stallo che si sblocca solo con l'avvicendamento di Renzi e l'arrivo di Gentiloni, che nomina Claudio De Vincenti come ministro alla coesione territoriale a cui viene affidato il dossier Bagnoli. A quel punto la contrattazione riprende e si arriva all'attuale piano di massima, diventato legge con il governo Conte. Il PRARU, che ricalca gran parte del vecchio piano di De Lucia, salva buona parte degli interessi dell'imprenditoria locale. Tuttavia le regole del capitale non conoscono freni, e perciò ad ogni accordo raggiunto i giocatori provano ad accaparrarsi ulteriori quote di potere. E così facendo il litorale definito spiaggia pubblica con delibera comunale viene preso d'assalto dall'insediamento di nuove discoteche e dal parcheggio abusivo, veri business di clan e potentati locali, grazie alle concessioni rilasciate dall'Autoritá portuale (il cui presidente è Pietro Spirito, storicamente legato al PD in Campania) e oggi autorizzate anche dal commissario Floro Flores. Una colonizzazione incentivata dal silenzio delle istituzioni sulle denunce dei residenti che sono costretti a chiudersi in casa per sfuggire al caos che non di rado sfocia in risse ed omicidi. Qualunque prospettiva di recupero non potrà non tener conto della pesante ipoteca posta dai signori della movida che vanno dall'arenile nei pressi del quartiere alla punta di Coroglio, assurti ormai a nuove parti della trattativa.   


Bagnoli diventa così la cartina al tornasole del modo di esercitare il potere della classe dirigente italiana. E chissà se la concomitanza di queste polemiche con la richiesta del pm Stefania Buda di riconfermare in appello le condanne per disastro ambientale già comminate in primo grado dal tribunale di Napoli sia solo una coincidenza. In ballo ci sono anche i quasi 9 miliardi di euro per la rigenerazione urbana che il Governo ha stanziato in legge di bilancio nell'arco 2021 - 2034. 

Cecità dei sudditi e iperveggenza di chi sta in alto?

lunedì 9 dicembre 2019

Le Nuove Lotte Operaie


Pubblico qui l'interessantissimo intervento di Rosario Zanni, membro del sindacato Sì Cobas, durante l'Assemblea Nazionale unitaria delle sinistre di opposizione che si è tenuta sabato scorso a Roma. Zanni parla dell'esperienza della lotta sindacale nel campo della logistica, dei suoi successi e dei suoi limiti. Ho ritenuto perciò di trascrivere il suo intervento, e mi premuro di farlo anche con gli altri contributi della giornata, concordemente con il poco tempo a mia disposizione.
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ROSARIO ZANNI - SI COBAS Innanzitutto un saluto agli organizzatori. Io per i tempi stretti voglio solo dire alcune cose dando un taglio non generale su tutto lo scibile umano, ma soltanto da un punto di vista. 

Sono 10 anni che in Italia si è aperta una nuova fase dello scontro di classe che ha visto come soggettività operaia, nel 90% dei casi, immigrati della logistica. E' stata una lotta estremamente dura, e ci sono stati dei risultati significativi in controtendenza a livello europeo rispetto ai risultati in termini di trattative per l'aumento dei salari, ottenuti attraverso la dura lotta. Dato che c'è la consapevolezza nel sindacato di classe Si Cobas che, in base ai cicli del mercato e della concorrenza, ogni vittoria si può trasformare in un arretramento, è evidente che ci sono stati degli elementi specifici che hanno potuto determinare questi successi. 

Va anzitutto citato il grande lavoro storico fatto da alcuni compagni come Aldo Milani, i quali hanno compreso come in quel settore ci fosse un combinato disposto di due elementi: una soggettività operaia che già aveva attraversato la paura e il terrore dei padroni a livello mondiale; la seconda è che in un settore specifico a bassa composizione organica del capitale c'erano situazioni di immigrati che stavano lì ad aspettare la chiamata sui cellulari per andare a lavorare per 13 o 14 ore al giorno. Quindi immediatamente una condizione in cui, nella crisi capitalistica, la controtendenza alla caduta del saggio di profitto viene data - quale risposta e reazione - anche attraverso l'aumento della estensione della giornata lavorativa e dell'estorsione di plusvalore assoluto, non soltanto di plusvalore relativo come in Leonardo o in Finmeccanica. 

Rispetto a questa condizione dura, il combinato disposto di una soggettività operaia che non aveva null'altro da perdere che le sue catene, e non la logica di "ricostruiamo un qualcosa un po' da classi sociali declassate", ma la spontanea, genuina, immediata esistenza di venditori di braccia in condizione di supersfruttamento capitalistico, dove immediatamente si coniugava la condizione di salariato a quella di immigrato, e dove il comando dispotico del padroncino era immediatamente collegato alla questione razziale e al razzismo. Questa lotta, oltre a determinare dei risultati in termini di battaglie salariali, ha determinato una grande repressione: c'è un maxiprocesso che coinvolge operai, attivisti, sindacali a Modena, 86 sono colpiti da questa inchiesta. C'è quindi una forte repressione che, guardate bene, sta colpendo con i decreti sicurezza, perché questi ultimi sono letteralmente cuciti addosso alla soggettività operaia e immigrata, e a Roma in particolare c'è il problema delle occupazioni delle case. Quindi loro sono immigrati, facchini e occupanti abusivi di case, e hanno cambiato le regole del gioco in termini repressivi per mirare e puntare rispetto agli unici comportamenti attualmente attivi e di lotta vera che il proletariato in Italia sta facendo, cioè sul terreno della resistenza economica del sindacato di classe. 

Ma noi abbiamo la consapevolezza che c'è un limite, ecco perché siamo qui oggi. C'è un limite della lotta economica. Voglio raccontarvi un aneddoto. Dieci anni fa, quando gli immigrati denunciavano gli imbrogli, le buste paga false, tutte le cose illegali che il padrone faceva, tra l'altro violando le proprie stesse leggi padronali, arrivarono i poliziotti (mentre ai padroni se ci sono problemi ci va l'Ispettorato del Lavoro, la Guardia di Finanza, nei nostri scioperi invece ci viene la Digos, la celere, comportamenti un po' differenti), e quando gli immigrati li videro arrivare la prima volta, esclamavano "Ah finalmente, sono arrivati! Così li arresteranno tutti". Perché c'era quel mito forse proveniente da quel fideismo nei confronti dello Stato che molti di loro hanno.

Picchetto degli operai della logistica. Fonte: Facebook
Faccio un inciso personale sulle proposte di nazionalizzazione delle produzioni che sono state fatte in questa sala: se è lo Stato borghese di oggi a nazionalizzare, di che stiamo parlando? C'è un po' di confusione tra programma di classe rivoluzionario e programma minimo, non bisogna sovrapporlo, sennò si cade nel riformismo. Un conto è estendere l'unità e il fronte dei lavoratori sul terreno della resistenza economica, e iniziare a ragionare cosa deve essere marciare divisi ma attaccare insieme. Ma attaccare insieme bisogna capire cosa significa, e significa ampliare questo fronte, costruire nuove narrazioni, raccontare cosa sta accadendo. In questo momento ci sono altri compagni del Si Cobas che stanno andando a parlare con i facchini della Peroni, ci sono situazioni che non raggiungono il mainstreming, la comunicazione pubblica ufficiale, e tanta sinistra anche radicale non è che intercetta frequentemente questi elementi di lotta radicale sul terreno della resistenza e dei diritti

Quindi dicevo: in quella ingenuità dell'immigrato che sperava che la polizia, cioè lo Stato che malamente lo sta accogliendo tra le 13 ore al giorno, le buste paga false, gli insulti ecc., con tutto l'annesso e connesso nazionalpopolare attorno a questo povero cristo, cosa è accaduto? Ebbene è accaduto che l'immigrato ha scoperto un concetto teorico, e lo ha fatto sul terreno della lotta economica e della resistenza per affermare un diritto, non perché stava facendo l'assalto al palazzo d'inverno: che lo Stato è dalla parte dei padroni, non perché glielo andiamo a dire noi con i nostri simboli iconoclasti, con le nostre tradizioni, ma lo ha scoperto nella forma pura della contraddizione del rapporto capitale-lavoro. Cioè il comunismo è un processo materiale reale, non è un'idea che nel tempo si cristallizza, che sopravvive a vecchi cicli di lotta o che può essere riproposta. Se lo si immagina così sembra piuttosto un riciclo di classi declassate, ma non un'attenzione teorica vera sulle nuove tendenze del proletariato in Italia e a livello mondiale, perché poi c'è l'aspetto internazionale che non ho il tempo di affrontare. 

Quindi ben vengano queste iniziative, ma il problema è capire come trasformare sul piano teorico politico-organizzativo l'innalzamento che la classe proletaria nel suo insieme - però anche cercando di non farci condizionare da Toni Negri e da Togliatti con l'idea che siamo tutti lavoratori, tutti sfruttati ecc. Perché esiste un proletariato, ed esistono altre figure di lavoratori che sono sicuramente i fratelli alleabili in un processo più ampio, perché certo la rivoluzione, le rotture non vengono fatte da sole 3, 4 o 5 milioni di persone in Italia, e neanche da 25mila iscritti del Si Cobas.

domenica 1 dicembre 2019

Tra Sardine e Nuove Destre

Piazza Dante ieri sera. Fonte: Piero De Martino - Facebook

Sabato sera erano 10mila in piazza Dante a Napoli, almeno stando alle cifre offerte dai giornalisti presenti. Parliamo delle sardine, il movimento che da diverse settimane tiene banco qui in Italia ed organizza flash-mob nelle principali piazze per protestare contro l'odio e la violenza xenofoba che la Lega sta sdoganando e sfruttando per fare bottino pieno nelle prossime tornate elettorali. Lanciato da un gruppo di ragazzi a Bologna, prova a raccogliere le varie anime della sinistra disperse da una delle più profonde crisi politiche dal dopoguerra in poi. Al di là dei numerosi detrattori che già vanno accusando gli organizzatori di essere legati al PD o a Romano Prodi, secondo il solito canovaccio che vede tutto ciò che nasce da sinistra come frutto di chissà quali massonerie, mentre invece tutto quello che sorge da destra è da considerarsi autentico furor di popolo, provo qui a darne un'analisi scevra da complottismi vari.

Partiamo da un punto fermo. A prescindere da come sia nata l'idea della "sardina", l'impressione è che si tratti di un brand comunicativo capace di raccogliere intorno a sé consensi tanto di un mondo politicamente organizzato, quanto di una massa di persone non legate ad alcun partito o movimento. Questo brand, calato in un contesto sociale liquido e disgregato, viene adottato dagli organizzatori che sono affini, ma non necessariamente "legati", alle realtà politiche localmente più forti: l'area della sinistra Dem in alcuni centri del Nord Italia, la multiforme (e frammentata) realtà della sinistra radicale qui a Napoli. Non esiste insomma un vero e proprio marchio di fabbrica, esiste invece un mondo della sinistra che prova a restituirsi una centralità che aveva perso negli ultimi tempi.
 
Ed è questo bisogno di centralità che sembra essere riuscito a captare questo movimento. In tempi di "desertificazione da social", una piazza piena (o semi-piena) è oro che cola, tanto per la destra quanto per la sinistra, in un Paese economicamente ristagnante e sempre più vecchio, con buona parte della sua gioventù emigrata all'estero. Ieri a Napoli - così come in altre parti d'Italia - era presente una svariata moltitudine: dagli ultrasessantenni cresciuti attraverso i movimenti di contestazione degli anni '60 e '70, ai ventenni/trentenni che provano a riscoprire la partecipazione di piazza senza bandiere di partito. Quindi credo si possa affermare che si tratta di un movimento intergenerazionale

Corteo del Popolo Viola. Fonte: Di Emanuele - Wikipedia
Qualcuno ha richiamato le esperienze del Popolo Viola o dei girotondi per fare dei parallelismi tra quell'esperienza antiberlusconiana e l'attuale antisalvinismo. Sebbene siano innegabili delle analogie, in primis la strategia di capitalizzazione del dissenso, sono differenti però i tempi e le condizioni. L'opposizione alla destra di oggi non è l'opposizione al centrodestra di ieri: questa di oggi è destra pura, per parafrasare Mario Tronti, che ricorre correntemente alle idee di nazione, etnia e religione; è trasversale, perché è riuscita a sdoganare, tra persone di sensibilità differenti, pulsioni che fino a poco tempo fa si aveva il pudore di razionalizzare almeno. Quindi ben vengano le sardine che incassano il risultato (non di poco) di sottrarre il palcoscenico mediatico alle destre, come sottolinea Mattia Santori sulle pagine del Manifesto.

Detto ciò, una disamina approfondita ha il compito di svelare le due facce della medaglia. Ancora una volta la mia "excusatio non petita" prelude ad una forte critica che non bisogna risparmiarsi di fare. Non vi nascondo che gli scontri più duri che ho avuto in questi anni di breve esperienza politica sono proprio con coloro che ieri cantavano "Bella Ciao" o "Je so pazzo" di Pino Daniele, perché su quelle note si sono costruite ricchezze e carriere vergognose.

Occorre dunque fare qualche cenno alla specificità della piazza partenopea. Napoli non è Bologna, Napoli non è Modena. I 10mila di Napoli non sono i 40mila di Firenze. La presenza maggioritaria della middle-class locale, e anche di numerosi esponenti dell'alta borghesia, è qui tendenzialmente escludente alla partecipazione di altre fasce sociali della città. Non perché ciò non avvenga anche altrove, ma perché la particolare conformazione partenopea lo rende molto più evidente. Il celebre pernacchio di Eduardo De Filippo, ieri usato dalla piazza contro Salvini, nasce nello sceneggiato del grande attore come rivendicazione delle classi umili contro l'alterigia del duca Alfonso Maria di Sant'Agata dei Fornai, che si serviva della polizia per sgomberare la strada dai venditori di cianfrusaglie e di piccolo contrabbando che gli impedivano di rientrare a casa con l'auto. Nella piazza di ieri invece era più facile trovare duchi e conti - o figli di - che usavano (male) il pernacchio, quale inedita versione della (finta) vicinanza tra nobili e sottoproletariato sdoganata dai Borbone. Ma almeno lo stereotipo del re lazzarone aveva il pregio di mostrarsi fisicamente vicino al popolo; ieri invece si trattava di una vicinanza solo comunicativa, al sicuro nella scatoletta di piazza Dante.  

La tensione della piazza era più che altro auto-celebrativa, come se si trattasse di un concerto e non di una manifestazione politica. Si celebrava il difficile compito di essere finalmente riusciti a sfuggire dal vortice social e ad affrontare il primo freddo di questi inverni sempre più miti. Molti quasi non ci credevano. La tensione era tutta oppositiva, di proposte concrete ce n'erano ben poche al di là delle pur condivisibili parole d'ordine, un po' perché questo appare essere il limite dei movimenti più recenti, un po' perché mettere in discussione l'esistente vorrebbe dire per molti di quei partecipanti/aderenti (soprattutto politici) far venir meno le fondamenta dei propri patrimoni.

Il rischio è che, così come alcuni girotondi hanno finito di girotondare attorno ai palazzi con l'obiettivo di costruirsi carriere personali senza riuscire ad allontanare il "pericolo berlusconiano", così le attuale sardine finiscano per girotondare attorno alle piazze, manco attorno ai palazzi, quelli ormai saldamente in mano all'antipolitica e alle future destre. Non è un caso che ieri sera fossero presenti diversi personaggi che tenevano un basso profilo, da ciò costretti più dal contesto generale che non da una libera scelta. Non c'erano i "big" Luigi de Magistris e Vincenzo De Luca, i quali si sono limitati a dare un appoggio esterno alla manifestazione. Tra la folla si sono intravisti il presidente del Consiglio comunale Sandro Fucito, il presidente della terza Municipalità Ivo Poggiani - che secondo il Corriere del Mezzogiorno è uno dei papabili candidati a sindaco - i neoassessori Luigi Felaco e Francesca Menna, quest'ultima attorniata dai transfughi (o quasi transfughi) dei 5 Stelle, tra cui la senatrice Paola Nugnes passata con LeU. C'era pure l'ex governatore Antonio Bassolino, che da un po' insieme alla moglie (ed ex parlamentare PD) Anna Maria Carloni calca i movimenti #primalepersone e i FridaysForFuture.

Antonio Bassolino in piazza ieri. Fonte: Facebook
Tutt'intorno a quella piazza continuava a sciamare la vita solita della città. Chi notava le orde di rider costretti a correre tra i vicoli per consegnare i panzarotti delle onnipresenti friggitorie? O le commesse che alle 21 di sabato sera lavavano i pavimenti dei negozi dietro le serrande semichiuse? E che dire dei senzatetto accoccolati tra i rifiuti sotto i ponteggi? Qualcuno avrà forse ricordato che tra giovedì e venerdì il piombo della camorra ha fatto un morto e due feriti? Colpisce la giovane età delle vittime: 29, 23 e 19 anni, coetanei di molti dei partecipanti di quella piazza, eppure di quanto più distante dagli stessi. L'ultimo agguato è avvenuto alle 8:15 di mattina fuori ad un bar poco lontano da piazza Dante, tra i tanti che si apprestavano ad andare a scuola o a lavoro. C'è un mondo che ci si ostina a ricacciare fuori da sé, ma è un mondo che travolgerà quel poco di classe media rimasta dopo gli anni ruggenti keynesiani. L'ultima manifestazione della CGIL a Giugliano contro il lavoro nero è stata un flop: solo 70 persone, tutti studenti delle scuole. Si voleva dare una risposta al caso di un imprenditore manifatturiero che in una fabbrica di Melito aveva rinchiuso in deposito 43 operai non contrattualizzati per sottrarli all'ispezione dei carabinieri. Quel corteo si è mosso nella completa indifferenza e diffidenza della popolazione, così come testimoniato dalle telecamere di Fanpage


Bisogna insomma esser consapevoli che il movimento/momento delle sardine passerà, legate a doppiofilo alle sorti di Matteo Salvini e del fronte sovranista di destra. Sullo sfondo rimarranno i drammi quotidiani di sempre, storie ordinarie di sfruttamento e di ingiustizie affrontate nella più totale solitudine. Che sia l'occasione buona per rendersi conto del mondo di cui facciamo parte? Anche perché non ce ne saranno altre.

venerdì 11 ottobre 2019

Italia 5 Stelle e l'ombra del Festival dell'Unità


Il comizio di Enrico Berlinguer alla Mostra d'Oltremare
Erano anni che la Mostra d'Oltremare non ospitava una convention politica in grande stile: domani e dopodomani si svolgerà in quegli spazi la kermesse del principale partito uscito vincitore dalle politiche del 2018. Italia 5 Stelle 2019 è l'evento organizzato dal M5S e occuperà una porzione del polo fieristico che vede il suo fulcro nell'Arena Flegrea, luogo in cui si terranno i comizi e gli spettacoli teatrali. Nel Parco Robinson verranno installati i gazebo dove si alterneranno le varie Agorà incentrate su temi specifici (sociale, territorio, economia ecc), mentre lungo i viali alberati limitrofi al Bowling verranno sistemate le postazioni dei rappresentanti istituzionali con cui sarà possibile interloquire. Infine sarà presente il tendone del Villaggio Rousseau nel quale si terranno corsi di formazione incentrati perlopiù sugli enti locali (gli "Open Comuni"), nonché quello del GreenLabs Village dove si svolgeranno eventi dedicati alla tutela dell'ambiente. 

Ecco, in buona sostanza questa è la struttura dell'impalcatura della convention del principale partito italiano. I dubbi però sono tanti: più che un evento politico di respiro nazionale, Italia 5 Stelle 2019 si presenta con un programma piuttosto striminzito, sia per le dimensioni spaziali dell'evento, sia per il brevissimo arco temporale (appena due giorni) nel quale esso si dipanerà. Come farà una forza di governo a trattare materie complesse di politica nazionale e internazionale in una cornice così circoscritta? Semplice: non potrà. Il vero obiettivo sembra piuttosto essere quello di ottenere eco mediatica sufficiente a trasmettere l'immagine del rilancio e provare a ricompattare un movimento che inizia pericolosamente a scindersi al proprio interno, magari attraverso un ritrovarsi comune che stemperi le tensioni in vista dell'appuntamento delle imminenti elezioni regionali campane, territorio (occorre ricordare) che esprime il capo politico e buona parte dell'establishment grillino. 
La mappa di Italia 5 Stelle 2019


L'evento si sforza di ricomprendere l'enormità del tutto e di prospettare il radioso futuro che ci aspetta grazie al progresso della tecnologia, senza avere contezza delle contraddizioni e dei conflitti che agitano il mondo reale. Il risultato è appunto una kermesse dalle dimensioni ridotte. Non sembra un caso questo richiamo continuo e quasi ossessivo al "villaggio", termine probabilmente preso in prestito dal dizionario neoliberista di villaggio globale, e quindi ad un qualcosa che comprenda la velleità di cogliere questo tutto. Il risultato che ne scaturisce è esattamente l'opposto: il villaggio rimanda al carattere della trivialità, dell'esser chiusi in sé stessi, e il mondo si riduce ad un'enorme tribù che non tiene conto della complessità del reale. Anche le Agorà, ridotte a spazi in cui i dibattiti non possono superare l'arco di 50 minuti, non hanno senso alcuno. L'aver rinunciato alla concezione di una società divisa in classi per assumere l'idea del cittadino quale centro dell'azione politica finisce per conferire un'estrema genericità al messaggio politico, ed espunge le tematiche più complesse e divisive dal dibattito. Il tutto si riduce ad una proposta politica che non riesce ad andare oltre alla risoluzione di inefficienze e problematiche di tipo amministrativo, priva della capacità di elaborare la costruzione di una nuova società, quale momento fondativo che dovrebbe invece essere compito primario della Politica con la maiuscola.
Il Villaggio Rousseau

A ben vedere queste critiche non sono affatto nuove, e vengono spesso mosse nei confronti dei partiti di nuova costituzione, soprattutto quelli che millantano l'avvenuto superamento della dicotomia destra-sinistra e il raggiungimento del Nirvana della politica, finalmente depurata dal tema del conflitto sociale. Si tratta di un armamentario critico proveniente perlopiù da settori della sinistra più o meno radicale, certamente fondato sui principi materialistici che caratterizzano (o dovrebbero caratterizzare) il pensiero e l'azione dei gruppi politici che vi si riconducono. Quasi nessuno però sembra rendersi conto che un importante punto di partenza per ogni tipo di analisi o critica è il passato. Se si inizia da questo presupposto, e senza voler rinverdire fasti che giammai ci furono, occorre con tutta onestà ammettere che un enorme patrimonio di intelligenze ed esperienze è caduto nell'oblio più totale: non a caso l'ex parlamentare comunista Mario Tronti ha dedicato a questo tema l'ultimo suo libro, "Il Popolo Perduto". La cancellazione della memoria oggi concerne non solo i fatti del passato lontano, ma perfino del passato prossimo, quello di pochi anni fa o addirittura di pochi mesi fa. L'intera vita viene vissuta come il continuum di una pellicola cinematografica, senza che però intervenga l'addetto al montaggio a mettere la parola "The end". Eppure è solo quando un film finisce che risulta possibile interrogarsi sui contenuti, sul senso e sul messaggio che ne esce fuori. L'oblio oggi si sviluppa come rovesciamento dell'attuale capacità tecnologica di immagazzinare milioni di terabyte di dati, una memoria digitale sterminata che tuttavia sembra privare gli uomini della propria. Con questa operazione di recupero documentale proveremo a dare un po' di filo da torcere alla nuova strategia globale di dominio.

IL FESTIVAL DELL'UNITA' DEL 1976

Mappa del Festival del 1976 (clicca per ingrandire)

Il Festival dell'Unità è uno di questi fatti negati alla nostra memoria. Quello a cui ci riferiamo qui è si tenne alla Mostra d'Oltremare di Napoli nel 1976. Più che una kermesse come Italia 5 Stelle, si trattò di una grande manifestazione nazionale che vide una partecipazione probabilmente non più replicata a queste latitudini, non soltanto in termini numerici, ma anche e soprattutto in termini di apporti e contributi alla vita della città e alla politica italiana. Prima di procedere al racconto di quella esperienza così come emerge dalla letteratura dell'epoca e dagli archivi digitali del quotidiano comunista, si rende necessaria una "excusatio non petita". Non è mia intenzione umiliare chicchessia. Se è vero che ogni epoca sviluppa le sue forme politiche, e che ogni passaggio storico seleziona in maniera darwiniana gli organismi collettivi, ciò che è stato ieri non può riproporsi in maniera identica oggi, né potrà farlo un domani. Ma per tornare alle parole di Tronti, occorre recuperare la memoria quale atto rivoluzionario che dobbiamo non solo al Paese, ma anzitutto a noi stessi.

Arena Flegrea e Teatro Mediterraneo - Prima e Dopo
Arena Flegrea - Prima e Dopo

Il Festival iniziò il 4 settembre di quell'anno e terminò il 19 settembre con il comizio conclusivo dell'allora segretario del PCI Enrico Berlinguer. Lo svolgimento fu anticipato da un grande intervento di riqualificazione della Mostra, allora in stato di totale abbandono. L'intervento che ne scaturì non si limitò ad una semplice operazione di facciata. La federazione napoletana del PCI, nell'ottica della "riappropriazione" delle architetture create dal Fascismo, organizzò le migliaia di volontari accorsi (militanti e non) in squadre suddivise sulla base delle diverse competenze, al fine di procedere al recupero e alla rifunzionalizzazione delle strutture abbandonate della Mostra. A dirigere le operazioni fu un gruppo di ingegneri ed architetti volontari coordinati dall'ex assessore e docente universitario Uberto Siola. Fu così che l'Arena Flegrea venne risistemata con i suoi 12mila posti, le strade interne furono asfaltate, le grandi fontane ripristinate, le reti idriche, elettriche e telefoniche riattivate. L'imponenza di quella manifestazione, oltre all'ovvio valore propagandistico, doveva servire per mandare un segnale chiaro al Paese: dimostrare che il PCI era in grado di incarnare il "partito di governo" dopo l'exploit elettorale del 1976 e la storica conquista di Napoli con il primo sindaco comunista Maurizio Valenzi, incaricandosi di dare centralità alla questione del Mezzogiorno e sfidare nella pratica la concezione lassista della vita pubblica che le classi dirigenti meridionali di stampo monarchico e laurino avevano (e hanno) inculcato in tanta parte di popolo. 

Fontane dell'Esedra - Prima e Dopo
Per avere un'idea di quel mastodontico intervento di recupero si riportano i frammenti più significativi della cronaca di Paese Sera del 3 settembre 1976 a firma di Gianni Rodari:

Quando la federazione napoletana del PCI, dovendo ospitare il Festival nazionale della stampa comunista, in mancanza di altri spazi utilizzabili ed agibili, mise gli occhi sulla Mostra d'Oltremare, ci furono obiezioni di due tipi: una riguardava la sua matrice fascista, un'altra lo stato di abbandono, la quasi impossibilità di recuperare uno spazio adeguato, in breve tempo, in quella "selva oscura" di torri superflue e macchioni impenetrabili. [...] Per farla breve qui si sono incontrati, per trovare la soluzione giusta, la capacità dei comunisti napoletani di considerare le cose fuori dagli schemi ideologici, in presa diretta con la loro funzione di partito di governo, e il discorso degli architetti democratici sulla necessità di avviare la battaglia urbanistica partendo dal concreto, cioè dal recupero del "preesistente", facendo perno in primo luogo sugli spazi collettivi. [...] Migliaia di operai, tecnici, studenti, artigiani, contadini della provincia hanno lavorato gratis prima per ripulire la Mostra d'Oltremare e rimettere in piedi le parti cadenti, poi per attrezzarla; altre migliaia (esattamente diecimila, in due turni quotidiani) lavoreranno per gestire la vita del Festival. Gente che ha rinunciato alle ferie, gruppi organizzati dalle sezioni, volontari isolati. In decine di case del popolare quartiere di Barra si sono passate le sere ad arrotolare uno per uno i settecentomila biglietti per la lotteria; a dirlo si fa presto, ma c'è voluta una pazienza cinese. O napoletana. 

Fu messo in piedi un padiglione dedicato alla "Napoli che produce", suddiviso nei diversi settori in cui articolava il lavoro delle masse: industria, agricoltura, artigianato, territorio, ricerca scientifica, beni culturali.  
Ovunque c'è la denunzia delle cose non fatte e la proposta di come, secondo il Pci, andrebbero fatte, il tutto con una scelta accurata del materiale fotografico e dei prodotti delle imprese napoletane. Parte viva di "Napoli che produce" è la sezione riservata all'amministrazione Valenzi con annessa una sala di proiezione dove, su uno schermo diviso in nove grossi pannelli luminosi, si susseguono diapositive con il racconto della storia di Napoli degli ultimi trent'anni, un racconto che si conclude apologeticamente con il discorso di Berlinguer a piazza Plebiscito e le istanze comuniste dopo il 20 giugno (il Mattino dell'11 settembre 1976)
Non mancarono i momenti di confronto anche aspri tra i movimenti cittadini e i dirigenti del PCI. Proprio durante quei giorni si verificò una violenta carica della polizia ai danni di un gruppo di disoccupati organizzati che protestavano all'esterno del Genio civile. La protesta si spostò nel Festival, dove accanto alla necessità di offrire tutela legale e politica ai manifestanti, nacque un dibattito intorno alle modalità per unire le varie lotte per l'occupazione che si combattevano nella regione, evitando il ricorso all'assistenzialismo. Da un articolo dell'Unità del 15 settembre 1976 si legge: 
Una indicazione giusta e coerente viene dalla piattaforma della « vertenza Campania » portata avanti dal movimento sindacale, viene dai successi anche importanti conquistati sull'onda di una tenace, incalzante iniziativa nei confronti dei poteri locali e delle aziende pubbliche per saldare nuovi obbiettivi di occupazione all'efficienza dei servizi e al pieno sfruttamento di grandi potenzialità. E' per questa strada che si realizza la saldatura tra lotte operaie e strati più vasti della popolazione, che si combatte e si liquida la suggestione di sacche discriminanti di disoccupazione assistita, che si legano gli obiettivi del lavoro a quelli di riforme e di sviluppo. Altre strade sono devianti — ribadisce di lì a poco il segretario nazionale della FGCI, Massimo D'Alema: questione giovanile e disoccupazione di massa esigono forme di lotta che abbiano senso politico e possibilità di sbocchi positivi.
Ma il Festival non si limitava di certo alle sole questioni locali: in realtà esso era incentrato perlopiù sullo scenario internazionale. I vari padiglioni erano dedicati ai Paesi nei quali era presente il partito comunista e dove erano in corso le lotte di liberazione nazionale come in Palestina o a Cuba. Di particolare interesse in quegli anni era il dibattito sull'Eurocomunismo, una corrente di pensiero che coinvolgeva i partiti comunisti italiano, francese e spagnolo intorno all'idea che nei Paesi a capitalismo avanzato fosse possibile realizzare il socialismo attraverso un quadro di riforme economiche e sociali nel rispetto delle regole delle democrazie parlamentari e all'interno dell'ambito europeo, in quanto la prospettiva di un rafforzamento del ruolo dell'Europa appariva inevitabile. Il contrasto con la dottrina del Partito Comunista dell'URSS, fondato viceversa sull'instaurazione del socialismo attraverso la "via nazionale" sulla falsariga della rivoluzione russa del '17, fu altrettanto inevitabile. 


Al netto delle contraddizioni e delle illusioni che anche quel momento storico ha generato, è indubbia l'impossibilità di alcun paragone che le immagini del Festival offrono in relazione alla partecipazione di quel popolo che non a caso Tronti definisce "perduto". La lotta operaia, l'emancipazione della donna, l'imperialismo, la massificazione della cultura sono stati derubricati ad oggetti d'antiquariato. Eppure gli obbrobri politici generati dall'assenza di quel popolo e di quella classe dirigente sono sotto gli occhi di tutti, così come il lento declino dell'Italia che nessun Giuseppi potrà evitare. Per tornare all'oggi, ricordiamo che Italia 5 Stelle si svolge in una Mostra cannibalizzata dalla presenza dei concessionari privati, e avrà il suo fulcro in quell'Arena Flegrea che è oggi concessa al generoso canone di 48mila euro l'anno alle imprese riconducibili alla famiglia del commissario di Bagnoli e consigliere di Cassa Depositi e Prestiti Francesco Floro Flores, il cui manager è oggi Claudio de Magistris, fratello del sindaco Luigi, finito sotto inchiesta per la vicenda delle nozze "trash" di Tony Colombo e Tina Rispoli.

A noi il compito di sfruttare le occasioni che la trama degli eventi ci fornisce per riattivare la memoria perduta.   

Eduardo De Filippo sul palco del Festival


Ps. A completamento dell'articolo, qui sono indicati alcuni dati tratti da il Giorno del 9 settembre 1976:

- all'allestimento e al corretto svolgimento del Festival parteciparono in tutto 16mila napoletani (comunisti e non), di cui l'83% costituito da operai, contadini e tecnici; il 15% da studenti; il 2% da professionisti ed artisti
- per garantire il corretto svolgimento delle manifestazioni furono impegnate 10mila persone
- il flusso giornaliero stimato fu pari a 200mila visitatori al giorno, per un totale di 3 milioni in 15 giorni
- particolarmente partecipati furono gli spettacoli teatrali di Eduardo De Filippo, tornato dopo a Napoli dopo anni di abbandono con il suo "Natale in casa Cupiello"


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Bibliografia tratta dal volume "Quindicigiorni - Il Festival nazionale de l'Unità di Napoli" (1977) edito a cura della Sezione Centrale di Stampa e Propaganda della Direzione del P.C.I.

Prima pagina de l'Unità del 20 settembre 1976

sabato 21 settembre 2019

Posillipo, ovvero del Capitalismo di Rapina

Fonte: Wikipedia
Di trasmissioni televisive dedicate alla criminalità napoletana se ne sono viste a centinaia, con i loro racconti di storie di delinquenza da strada vissuti all'ombra di rioni sgangherati che sembrano usciti da un racconto sulla guerra nei Balcani. Eppure non è negli occhi di uno scippatore appena maggiorenne che si potrà mai cogliere il vero senso della parola "rapina". Ci sono posti dove i riflettori preferiscono perlopiù concentrarsi sugli scenari naturali che fanno da sfondo a mielose soap opera di respiro nazionale. Posillipo è uno di questi. Si tratta di un quartiere che s'inerpica a ovest lungo l'omonima collina, aggredita dal cemento degli anni d'oro di Achille Lauro. Tra parchi condominiali sorvegliati da guardie giurate e cancelli blindati che impediscono l'accesso al mare, almeno il 90% della fascia costiera è stata sottratta alla fruizione pubblica. Le scogliere e le spiagge appartengono di fatto ai proprietari delle ville collocate sugli speroni tufacei, mentre quei tratti di litorale rimasti accessibili sono gestiti dagli stabilimenti che chiedono spesso cifre da capogiro. Si tratta di una città nella città, sconosciuta alla maggior parte dei napoletani.

Come tutti i quartieri-bene delle grandi metropoli, i custodi dei segreti di queste immense proprietà sono le migliaia di lavoratori stranieri che quotidianamente si recano a servire nelle case dei signori. Il 140 è l'unico bus che attraversa la strada principale, costantemente affollato nelle ore di punta da un esercito di colf, badanti, governanti che come formiche operose si svegliano di buon mattino per arrivare in questi luoghi. Buona parte di loro non ha contratto, in tanti instaurano con i padroni relazioni di una vita, i più fortunati riescono ad ottenere qualche lascito, nella speranza che i familiari di turno non li sommergano di cause giudiziarie costringendoli a rinunciare a tutto. Un sistema collaudato che consente all'alta borghesia di votarsi a quell'isolamento indispensabile per mandare avanti gli affari e ad evitare il più possibile la dispersione dei patrimoni. Impossibile avere un'idea chiara dell'identità degli abitanti. Le attività commerciali sono piccole, legate soprattutto ai beni alimentari e per la cura della casa. Tutto votato alla discrezione, quale necessità del capitalismo di rapina che regna sovrano in queste terre.

Posillipo sta lì a ricordarci come i miti della nostra civiltà siano tutt'altro che solidi: il mito di chi ce la fa, il mito del self-made man. Un'imponente produzione ideologica che crolla davanti a quelle cancellate e a quelle telecamere erette contro il mondo da cui è necessario difendersi.

venerdì 28 giugno 2019

Mani Su Bagnoli - Nessuno Disturbi il Manovratore

L'isolotto di Nisida. Fonte: Facebook
Preoccupatevi quando nessuno si preoccupa. Si potrebbe riassumere con questa frase l'accelerazione impressa alla bonifica e alla rigenerazione urbana di Bagnoli, ex area industriale ad ovest della città di Napoli. Le ultime sedute delle commissioni comunali sul tema hanno infatti trasmesso un'unità d'intenti senza precedenti tra le forze politiche, eccetto qualche voce critica sollevata dai consiglieri Matteo Brambilla (M5S) e David Lebro (La Città). L'ordine è avanzare, costi quel che costi. Trent'anni di stallo e di finte bonifiche sono più che sufficienti a liquidare ogni dubbio come diatriba politica, un termine caro al commissario di governo Francesco Floro Flores, a cui sta a cuore la rapidità dell'opera sopra ogni cosa. 

La definizione del PRARU come "virtuale" nel decreto n. 47 del 2019
Il PRARU (Programma per il Risanamento Ambientale e la Rigenerazione Urbana) è stato approvato nella Conferenza dei servizi del 14 giugno scorso nonostante il dissenso espresso dalla Regione Campania, ente il cui parere favorevole è invece fondamentale in virtù delle sue competenze in materia di fondi europei ed infrastrutture. E proprio sul piano infrastrutturale il PRARU appare monco, tanto da essere uno dei motivi che spinse il ministro Sergio Costa a bollarlo come "meramente virtuale" nel decreto di rilascio della valutazione d'impatto ambientale (pag. 10). L'unica cosa che sembra interessare è la destinazione d'uso dei suoli, in particolare quelli economicamente più appetibili, e lo sfruttamento della linea costiera a fini turistici e ricreativi. Tutti gli altri aspetti legati alla tutela dell'ambiente, del territorio e del tessuto sociale sono orpelli, aspetti secondari di un programma che valorizza anzitutto la profittabilità dell'operazione Bagnoli. Sono diversi i segnali in tal senso.

Non è un caso se anche il ministro Costa, apparentemente (e giustamente) inflessibile nelle sue considerazioni, abbia poi deciso di cedere dinanzi alle richieste di "chiarimenti" da parte del commissario, escludendo la necessità di una nuova procedura di valutazione d'impatto ambientale (VAS) per la localizzazione delle opere urbanistiche sui suoli individuati nel piano, contraddicendo il decreto emesso a febbraio che invece la prescriveva come doverosa

I due pareri contrastanti emessi dal Ministero dell'ambiente
Non è un caso se il commissariato di governo non si sia sentito in dovere di richiedere viceversa chiarimenti circa le tantissime altre prescrizioni formulate da Costa: dalla rimozione della colmata alla bonifica degli arenili e dei fondali, dall'adeguamento dei collettori fognari all'impatto delle nuove linee stradali e ferroviari sull'ecosistema naturale. Si tratta delle fasi più importanti del piano dal punto di vista ambientale, eppure sembrano pressoché ignorate dalla struttura commissariale. 

Non può essere frutto del caso l'annullamento delle gare per la progettazione disposto dal Consiglio di Stato, che ha rappresentato l'occasione per il "cambio di strategia" annunciato da Floro Flores e finalizzato a parcellizzare in lotti la bonifica, iniziando laddove è possibile estrarre maggior plusvalore, ossia il litorale di Coroglio e l'isolotto di Nisida. I fondi a disposizione del commissariato per la bonifica e la rigenerazione sono al momento pari a 470 milioni di euro, a fronte di un fabbisogno totale di 1,8 miliardi di euro. In attesa della registrazione della delibera del CIPE sulla tranche più consistente pari a 320 milioni di euro approvata il 4 aprile scorso, ma non ancora pubblicata in Gazzetta Ufficiale, occorre partire il prima possibile prima che una crisi di governo mescoli ancora una volta le carte in tavola.

Non è un caso che l'attenzione del commissariato di governo si concentri ora sulla realizzazione delle nuove residenze temporanee destinate agli abitanti del borgo di Coroglio, le cui case verranno espropriate in vista della riqualificazione. Al termine dei lavori i proprietari avranno la possibilità di rientrare in via preferenziale previo pagamento di una somma di denaro che al momento non risulta quantificabile in maniera precisa (che i vertici di Invitalia, l'agenzia responsabile per la progettazione ed esecuzione delle bonifiche, assicurano aggirarsi intorno al 5-10%).  

La caserma "Battisti" di Fuorigrotta in stato di abbandono. Ospiterà il carcere per donne e minori
Non è un caso che pochi giorni fa i ministri Trenta e Bonafede abbiano firmato a Napoli un protocollo d'intesa che prevede l'apertura di un carcere per donne e minori nell'ex caserma "Battisti" di Fuorigrotta, quale probabile preludio per la chiusura dell'attuale riformatorio di Nisida e l'ingresso dei capitali privati sull'isolotto. Nell'area in cui insisterà il carcere sono previste nel PRARU le nuove residenze da realizzarvi, ed è facile immaginare che il valore delle case si deprezzerà col collocamento dei detenuti. Quale immobiliarista sceglierà di investire in quell'area? E' chiaro che ancora una volta è il litorale di Coroglio a fungere da centro nevralgico dei futuri investimenti.

L'area cerchiata in rosso indica la caserma "Battisti"
Non è un caso che il presidente dell'Autorità Portuale, Pietro Spirito - uomo legato al PD e in particolare all'ex ministro alle infrastrutture Delrio - a cui spetta il rilascio delle concessioni demaniali nell'area congiuntamente col commissario, abbia chiesto quali siano le ricadute giuridiche della proroga di ulteriori 15 anni per le concessioni autorizzata dal governo Conte, visto che ad oggi il litorale di Bagnoli è preda di locali e discoteche che organizzano serate a tambur battente, molti dei quali titolari di tali concessioni. Una situazione che non può non porre una pesante ipoteca sulla futura spiaggia pubblica istituita dal Comune nel 2012.
Le richieste del presidente dell'Autorità Portuale in merito alle concessioni demaniali


Non è un caso se l'assessore all'urbanistica Carmine Piscopo possa affermare oggi che la moneta urbanistica con cui ripagare la realizzazione del parco pubblico e il recupero del paesaggio marino e costiero è la stessa già prevista nei piani urbanistici precedenti, che passa attraverso la riconferma dell'indice di fabbricabilità pari a 0,68 mc/mq, al cui valore apparentemente basso - è bene ricordare - si giunse all'epoca ricomprendendo aree assolutamente non edificabili, tra cui il costone di Posillipo e la colmata da rimuovere. Solo così si è potuto giustificare l'inserimento di ben 200 mila metri cubi di nuove residenze, per un totale di oltre 2 milioni di metri cubi previsti in piena zona rossa per il rischio vulcanico dei Campi Flegrei.  

Francesco Gaetano Caltagirone
Non è un caso se il commissariato abbia dichiarato di voler concludere un accordo transattivo con l'imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone, proprietario della Cementir, mandando a farsi benedire il principio "chi inquina paga" sbandierato per anni dal sindaco de Magistris e dai vertici governativi 5 Stelle: ancora una volta lo Stato rischia di accollarsi gli oneri di bonifica dell'inquinamento prodotti dal privato.

Non è un caso se Floro Flores affermi di aver parlato con l'ANAC presieduta da Raffaele Cantone per chiedere maglie più larghe nei controlli al fine di garantire le ricadute occupazionali sul territorio. Cosa significhi ciò e quali siano le effettive competenze dell'Autorità nazionale anticorruzione in materia occupazionale non è ben chiaro. Il richiamo ai posti di lavoro sembra essere funzionale alle imminenti elezioni regionali, su cui si gioca buona parte della partita con il governatore Vincenzo De Luca, e al rinnovato interesse nazionale per la realizzazione delle "Grandi Opere" il cui frutto più evidente è dato dal decreto Sblocca Cantieri.

Non è un caso se gli esponenti nazionali più importanti di Lega e M5S, ma anche del PD che sul territorio ha tanti, troppi interessi, abbiano deciso di silenziare tutta l'operazione. Un sostanziale consociativismo che delinea una perfetta continuità tra voleri passati e presenti. Il ruolo di Cassa Depositi e Prestiti nell'affaire Bagnoli rimane oscuro, tenuto conto che il commissario Floro Flores ne è uno dei consiglieri di amministrazione. Non è tanto peregrina l'ipotesi che la cassaforte del risparmio postale possa essere utilizzata come strumento per costruire e gestire grandi infrastrutture (ad esempio il porto turistico di Nisida) attraverso un partenariato pubblico-privato, o come garanzia per gli ingenti investimenti privati previsti nel PRARU (pari a 600 milioni di euro). Sul punto si scontrano due visioni dell'economia assolutamente antitetiche. Una cosa è l'idea di uno Stato che metta al centro la gestione pubblica dell'economia attraverso propri organismi di investimento e controllo, un'altra cosa è uno Stato che ricorre alle proprie riserve per cedere ulteriori quote di pubblico sottoforma di finanziamenti a pioggia o di partecipazione alla costruzione di opere pubbliche che verranno poi affidate alla gestione delle grandi imprese private a canoni irrisori: quest'ultimo modello economico si chiama "outsourcing", e ha consentito ad imprenditori come lo stesso Floro Flores di ottenere l'Arena Flegrea e lo Zoo - beni gestiti dalla Mostra d'Oltremare SpA, di proprietà di Comune, Regione, Città Metropolitana e Camera di Commercio - ad un canone annuo rispettivamente di 48mila euro e 30mila euro (qui l'elenco completo), a fronte di guadagni enormemente superiori.

In questo Paese è ancora consentito usare la parola tradimento?

- Il Comunicato Stampa delle commissioni consiliari del 26 giugno