venerdì 11 ottobre 2019

Italia 5 Stelle e l'ombra del Festival dell'Unità


Il comizio di Enrico Berlinguer alla Mostra d'Oltremare
Erano anni che la Mostra d'Oltremare non ospitava una convention politica in grande stile: domani e dopodomani si svolgerà in quegli spazi la kermesse del principale partito uscito vincitore dalle politiche del 2018. Italia 5 Stelle 2019 è l'evento organizzato dal M5S e occuperà una porzione del polo fieristico che vede il suo fulcro nell'Arena Flegrea, luogo in cui si terranno i comizi e gli spettacoli teatrali. Nel Parco Robinson verranno installati i gazebo dove si alterneranno le varie Agorà incentrate su temi specifici (sociale, territorio, economia ecc), mentre lungo i viali alberati limitrofi al Bowling verranno sistemate le postazioni dei rappresentanti istituzionali con cui sarà possibile interloquire. Infine sarà presente il tendone del Villaggio Rousseau nel quale si terranno corsi di formazione incentrati perlopiù sugli enti locali (gli "Open Comuni"), nonché quello del GreenLabs Village dove si svolgeranno eventi dedicati alla tutela dell'ambiente. 

Ecco, in buona sostanza questa è la struttura dell'impalcatura della convention del principale partito italiano. I dubbi però sono tanti: più che un evento politico di respiro nazionale, Italia 5 Stelle 2019 si presenta con un programma piuttosto striminzito, sia per le dimensioni spaziali dell'evento, sia per il brevissimo arco temporale (appena due giorni) nel quale esso si dipanerà. Come farà una forza di governo a trattare materie complesse di politica nazionale e internazionale in una cornice così circoscritta? Semplice: non potrà. Il vero obiettivo sembra piuttosto essere quello di ottenere eco mediatica sufficiente a trasmettere l'immagine del rilancio e provare a ricompattare un movimento che inizia pericolosamente a scindersi al proprio interno, magari attraverso un ritrovarsi comune che stemperi le tensioni in vista dell'appuntamento delle imminenti elezioni regionali campane, territorio (occorre ricordare) che esprime il capo politico e buona parte dell'establishment grillino. 
La mappa di Italia 5 Stelle 2019


L'evento si sforza di ricomprendere l'enormità del tutto e di prospettare il radioso futuro che ci aspetta grazie al progresso della tecnologia, senza avere contezza delle contraddizioni e dei conflitti che agitano il mondo reale. Il risultato è appunto una kermesse dalle dimensioni ridotte. Non sembra un caso questo richiamo continuo e quasi ossessivo al "villaggio", termine probabilmente preso in prestito dal dizionario neoliberista di villaggio globale, e quindi ad un qualcosa che comprenda la velleità di cogliere questo tutto. Il risultato che ne scaturisce è esattamente l'opposto: il villaggio rimanda al carattere della trivialità, dell'esser chiusi in sé stessi, e il mondo si riduce ad un'enorme tribù che non tiene conto della complessità del reale. Anche le Agorà, ridotte a spazi in cui i dibattiti non possono superare l'arco di 50 minuti, non hanno senso alcuno. L'aver rinunciato alla concezione di una società divisa in classi per assumere l'idea del cittadino quale centro dell'azione politica finisce per conferire un'estrema genericità al messaggio politico, ed espunge le tematiche più complesse e divisive dal dibattito. Il tutto si riduce ad una proposta politica che non riesce ad andare oltre alla risoluzione di inefficienze e problematiche di tipo amministrativo, priva della capacità di elaborare la costruzione di una nuova società, quale momento fondativo che dovrebbe invece essere compito primario della Politica con la maiuscola.
Il Villaggio Rousseau

A ben vedere queste critiche non sono affatto nuove, e vengono spesso mosse nei confronti dei partiti di nuova costituzione, soprattutto quelli che millantano l'avvenuto superamento della dicotomia destra-sinistra e il raggiungimento del Nirvana della politica, finalmente depurata dal tema del conflitto sociale. Si tratta di un armamentario critico proveniente perlopiù da settori della sinistra più o meno radicale, certamente fondato sui principi materialistici che caratterizzano (o dovrebbero caratterizzare) il pensiero e l'azione dei gruppi politici che vi si riconducono. Quasi nessuno però sembra rendersi conto che un importante punto di partenza per ogni tipo di analisi o critica è il passato. Se si inizia da questo presupposto, e senza voler rinverdire fasti che giammai ci furono, occorre con tutta onestà ammettere che un enorme patrimonio di intelligenze ed esperienze è caduto nell'oblio più totale: non a caso l'ex parlamentare comunista Mario Tronti ha dedicato a questo tema l'ultimo suo libro, "Il Popolo Perduto". La cancellazione della memoria oggi concerne non solo i fatti del passato lontano, ma perfino del passato prossimo, quello di pochi anni fa o addirittura di pochi mesi fa. L'intera vita viene vissuta come il continuum di una pellicola cinematografica, senza che però intervenga l'addetto al montaggio a mettere la parola "The end". Eppure è solo quando un film finisce che risulta possibile interrogarsi sui contenuti, sul senso e sul messaggio che ne esce fuori. L'oblio oggi si sviluppa come rovesciamento dell'attuale capacità tecnologica di immagazzinare milioni di terabyte di dati, una memoria digitale sterminata che tuttavia sembra privare gli uomini della propria. Con questa operazione di recupero documentale proveremo a dare un po' di filo da torcere alla nuova strategia globale di dominio.

IL FESTIVAL DELL'UNITA' DEL 1976

Mappa del Festival del 1976 (clicca per ingrandire)

Il Festival dell'Unità è uno di questi fatti negati alla nostra memoria. Quello a cui ci riferiamo qui è si tenne alla Mostra d'Oltremare di Napoli nel 1976. Più che una kermesse come Italia 5 Stelle, si trattò di una grande manifestazione nazionale che vide una partecipazione probabilmente non più replicata a queste latitudini, non soltanto in termini numerici, ma anche e soprattutto in termini di apporti e contributi alla vita della città e alla politica italiana. Prima di procedere al racconto di quella esperienza così come emerge dalla letteratura dell'epoca e dagli archivi digitali del quotidiano comunista, si rende necessaria una "excusatio non petita". Non è mia intenzione umiliare chicchessia. Se è vero che ogni epoca sviluppa le sue forme politiche, e che ogni passaggio storico seleziona in maniera darwiniana gli organismi collettivi, ciò che è stato ieri non può riproporsi in maniera identica oggi, né potrà farlo un domani. Ma per tornare alle parole di Tronti, occorre recuperare la memoria quale atto rivoluzionario che dobbiamo non solo al Paese, ma anzitutto a noi stessi.

Arena Flegrea e Teatro Mediterraneo - Prima e Dopo
Arena Flegrea - Prima e Dopo

Il Festival iniziò il 4 settembre di quell'anno e terminò il 19 settembre con il comizio conclusivo dell'allora segretario del PCI Enrico Berlinguer. Lo svolgimento fu anticipato da un grande intervento di riqualificazione della Mostra, allora in stato di totale abbandono. L'intervento che ne scaturì non si limitò ad una semplice operazione di facciata. La federazione napoletana del PCI, nell'ottica della "riappropriazione" delle architetture create dal Fascismo, organizzò le migliaia di volontari accorsi (militanti e non) in squadre suddivise sulla base delle diverse competenze, al fine di procedere al recupero e alla rifunzionalizzazione delle strutture abbandonate della Mostra. A dirigere le operazioni fu un gruppo di ingegneri ed architetti volontari coordinati dall'ex assessore e docente universitario Uberto Siola. Fu così che l'Arena Flegrea venne risistemata con i suoi 12mila posti, le strade interne furono asfaltate, le grandi fontane ripristinate, le reti idriche, elettriche e telefoniche riattivate. L'imponenza di quella manifestazione, oltre all'ovvio valore propagandistico, doveva servire per mandare un segnale chiaro al Paese: dimostrare che il PCI era in grado di incarnare il "partito di governo" dopo l'exploit elettorale del 1976 e la storica conquista di Napoli con il primo sindaco comunista Maurizio Valenzi, incaricandosi di dare centralità alla questione del Mezzogiorno e sfidare nella pratica la concezione lassista della vita pubblica che le classi dirigenti meridionali di stampo monarchico e laurino avevano (e hanno) inculcato in tanta parte di popolo. 

Fontane dell'Esedra - Prima e Dopo
Per avere un'idea di quel mastodontico intervento di recupero si riportano i frammenti più significativi della cronaca di Paese Sera del 3 settembre 1976 a firma di Gianni Rodari:

Quando la federazione napoletana del PCI, dovendo ospitare il Festival nazionale della stampa comunista, in mancanza di altri spazi utilizzabili ed agibili, mise gli occhi sulla Mostra d'Oltremare, ci furono obiezioni di due tipi: una riguardava la sua matrice fascista, un'altra lo stato di abbandono, la quasi impossibilità di recuperare uno spazio adeguato, in breve tempo, in quella "selva oscura" di torri superflue e macchioni impenetrabili. [...] Per farla breve qui si sono incontrati, per trovare la soluzione giusta, la capacità dei comunisti napoletani di considerare le cose fuori dagli schemi ideologici, in presa diretta con la loro funzione di partito di governo, e il discorso degli architetti democratici sulla necessità di avviare la battaglia urbanistica partendo dal concreto, cioè dal recupero del "preesistente", facendo perno in primo luogo sugli spazi collettivi. [...] Migliaia di operai, tecnici, studenti, artigiani, contadini della provincia hanno lavorato gratis prima per ripulire la Mostra d'Oltremare e rimettere in piedi le parti cadenti, poi per attrezzarla; altre migliaia (esattamente diecimila, in due turni quotidiani) lavoreranno per gestire la vita del Festival. Gente che ha rinunciato alle ferie, gruppi organizzati dalle sezioni, volontari isolati. In decine di case del popolare quartiere di Barra si sono passate le sere ad arrotolare uno per uno i settecentomila biglietti per la lotteria; a dirlo si fa presto, ma c'è voluta una pazienza cinese. O napoletana. 

Fu messo in piedi un padiglione dedicato alla "Napoli che produce", suddiviso nei diversi settori in cui articolava il lavoro delle masse: industria, agricoltura, artigianato, territorio, ricerca scientifica, beni culturali.  
Ovunque c'è la denunzia delle cose non fatte e la proposta di come, secondo il Pci, andrebbero fatte, il tutto con una scelta accurata del materiale fotografico e dei prodotti delle imprese napoletane. Parte viva di "Napoli che produce" è la sezione riservata all'amministrazione Valenzi con annessa una sala di proiezione dove, su uno schermo diviso in nove grossi pannelli luminosi, si susseguono diapositive con il racconto della storia di Napoli degli ultimi trent'anni, un racconto che si conclude apologeticamente con il discorso di Berlinguer a piazza Plebiscito e le istanze comuniste dopo il 20 giugno (il Mattino dell'11 settembre 1976)
Non mancarono i momenti di confronto anche aspri tra i movimenti cittadini e i dirigenti del PCI. Proprio durante quei giorni si verificò una violenta carica della polizia ai danni di un gruppo di disoccupati organizzati che protestavano all'esterno del Genio civile. La protesta si spostò nel Festival, dove accanto alla necessità di offrire tutela legale e politica ai manifestanti, nacque un dibattito intorno alle modalità per unire le varie lotte per l'occupazione che si combattevano nella regione, evitando il ricorso all'assistenzialismo. Da un articolo dell'Unità del 15 settembre 1976 si legge: 
Una indicazione giusta e coerente viene dalla piattaforma della « vertenza Campania » portata avanti dal movimento sindacale, viene dai successi anche importanti conquistati sull'onda di una tenace, incalzante iniziativa nei confronti dei poteri locali e delle aziende pubbliche per saldare nuovi obbiettivi di occupazione all'efficienza dei servizi e al pieno sfruttamento di grandi potenzialità. E' per questa strada che si realizza la saldatura tra lotte operaie e strati più vasti della popolazione, che si combatte e si liquida la suggestione di sacche discriminanti di disoccupazione assistita, che si legano gli obiettivi del lavoro a quelli di riforme e di sviluppo. Altre strade sono devianti — ribadisce di lì a poco il segretario nazionale della FGCI, Massimo D'Alema: questione giovanile e disoccupazione di massa esigono forme di lotta che abbiano senso politico e possibilità di sbocchi positivi.
Ma il Festival non si limitava di certo alle sole questioni locali: in realtà esso era incentrato perlopiù sullo scenario internazionale. I vari padiglioni erano dedicati ai Paesi nei quali era presente il partito comunista e dove erano in corso le lotte di liberazione nazionale come in Palestina o a Cuba. Di particolare interesse in quegli anni era il dibattito sull'Eurocomunismo, una corrente di pensiero che coinvolgeva i partiti comunisti italiano, francese e spagnolo intorno all'idea che nei Paesi a capitalismo avanzato fosse possibile realizzare il socialismo attraverso un quadro di riforme economiche e sociali nel rispetto delle regole delle democrazie parlamentari e all'interno dell'ambito europeo, in quanto la prospettiva di un rafforzamento del ruolo dell'Europa appariva inevitabile. Il contrasto con la dottrina del Partito Comunista dell'URSS, fondato viceversa sull'instaurazione del socialismo attraverso la "via nazionale" sulla falsariga della rivoluzione russa del '17, fu altrettanto inevitabile. 


Al netto delle contraddizioni e delle illusioni che anche quel momento storico ha generato, è indubbia l'impossibilità di alcun paragone che le immagini del Festival offrono in relazione alla partecipazione di quel popolo che non a caso Tronti definisce "perduto". La lotta operaia, l'emancipazione della donna, l'imperialismo, la massificazione della cultura sono stati derubricati ad oggetti d'antiquariato. Eppure gli obbrobri politici generati dall'assenza di quel popolo e di quella classe dirigente sono sotto gli occhi di tutti, così come il lento declino dell'Italia che nessun Giuseppi potrà evitare. Per tornare all'oggi, ricordiamo che Italia 5 Stelle si svolge in una Mostra cannibalizzata dalla presenza dei concessionari privati, e avrà il suo fulcro in quell'Arena Flegrea che è oggi concessa al generoso canone di 48mila euro l'anno alle imprese riconducibili alla famiglia del commissario di Bagnoli e consigliere di Cassa Depositi e Prestiti Francesco Floro Flores, il cui manager è oggi Claudio de Magistris, fratello del sindaco Luigi, finito sotto inchiesta per la vicenda delle nozze "trash" di Tony Colombo e Tina Rispoli.

A noi il compito di sfruttare le occasioni che la trama degli eventi ci fornisce per riattivare la memoria perduta.   

Eduardo De Filippo sul palco del Festival


Ps. A completamento dell'articolo, qui sono indicati alcuni dati tratti da il Giorno del 9 settembre 1976:

- all'allestimento e al corretto svolgimento del Festival parteciparono in tutto 16mila napoletani (comunisti e non), di cui l'83% costituito da operai, contadini e tecnici; il 15% da studenti; il 2% da professionisti ed artisti
- per garantire il corretto svolgimento delle manifestazioni furono impegnate 10mila persone
- il flusso giornaliero stimato fu pari a 200mila visitatori al giorno, per un totale di 3 milioni in 15 giorni
- particolarmente partecipati furono gli spettacoli teatrali di Eduardo De Filippo, tornato dopo a Napoli dopo anni di abbandono con il suo "Natale in casa Cupiello"


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Bibliografia tratta dal volume "Quindicigiorni - Il Festival nazionale de l'Unità di Napoli" (1977) edito a cura della Sezione Centrale di Stampa e Propaganda della Direzione del P.C.I.

Prima pagina de l'Unità del 20 settembre 1976

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