domenica 24 marzo 2024

L'Abisso della Guerra


Ultimamente mi capita di rileggere su questo blog alcuni miei vecchi post di pochi anni fa, nel quale trattavo argomenti che, alla luce degli ultimi accadimenti, sembrano essere reperti di un'altra era geologica. Una percezione che si deve a due aspetti principali: quello legato alle esperienze personali e quello che invece afferisce alla dimensione degli avvenimenti collettivi. 

Tratterò del secondo di questi aspetti, cioè della dimensione degli avvenimenti collettivi. Uno sguardo in retrospettiva ci restituisce un panorama da cui sfuggiva ai più la dimensione "catastrofica" dei cambiamenti in atto nel mondo. Proprio la pandemia del 2020 è stata il primo evento catastrofico che avrebbe dovuto illuminarci sull'insostenibilità del nostro sistema economico e produttivo, ormai in aperto conflitto con la natura, e a cui ha fatto seguito la seconda catastrofe, ossia l'invasione russa dell'Ucraina nel 2022, cioè l'atto che va ad incunearsi nell'apparentemente inattaccabile sfera d'influenza atlantica, con la progressiva militarizzazione del discorso pubblico.

Addestrati allo stato di eccezione delle misure anti-Covid, la guerra ha potuto fare breccia nel nostro quotidiano senza troppi traumi, adottando stavolta uno schema inedito rispetto agli ultimi trent'anni. I conflitti tracimano dal recinto che fino a poco tempo fa l'unipolarismo americano si preoccupava di delineare, quando gli USA ascrivevano a sé l'esclusiva di scatenare le più devastanti operazioni militari in giro per il mondo, lasciando agli avversari il logorante terreno delle proxy war e della guerra asimmetrica. L'invasione scatenata da Putin sancisce invece la fine della logica unipolare, già in profonda crisi dal 2008 in poi, e acuisce quelle faglie geopolitiche mai sopite: da Taiwan al Mar Rosso passando per il Medioriente, dove, in particolar modo, l'America si dimostra incapace di contenere l'alleato israeliano, proiettato verso la soluzione finale ai danni del popolo palestinese.

L'unico argine concreto al tracimare delle guerre è finora rappresentato dall'opposizione delle opinioni pubbliche degli Stati occidentali al diretto coinvolgimento, in cui i pur imperfetti sistemi democratici obbligano gli aspiranti Napoleone nostrani a tenerne conto. In verità, più che di un'opposizione ragionata, si tratta di un sentimento diffuso di contrarietà che si fonda sull'istinto di auto-conservazione dei variegati gruppi sociali. Più i nostri sistemi democratici vengono erosi dall'interno, più aumenta il rischio di un conflitto totale. Non è un caso che, dalle colonne del Sole 24 Ore, qualche "politico europeo di alto rango" auspichi addirittura il verificarsi di un evento simile a quello dell'attacco giapponese alla base americana di Pearl Harbor, il quale spinse gli Stati Uniti nel 1941 ad entrare in guerra contro le potenze dell'Asse. Un evento in grado di avere lo stesso effetto sulle popolazioni europee. Perché, pur chiusi nella torre della loro autoreferenzialità, i ceti dirigenti, nel loro bieco cinismo, sono ben consapevoli che al momento non esiste un'opposizione organizzata alla guerra che possa manifestarsi sui diversi piani (politico, sindacale ecc.), al di là delle sporadiche iniziative (anche molto partecipate) messe in campo soprattutto dal mondo cattolico, e ben può un simile evento creare una breccia nel sentiment di massa, lasciata alla deriva dall'assenza di un forte collante ideologico in grado di coagularsi intorno a solide organizzazioni politiche.

Gli appuntamenti elettorali che verranno, prima in Unione Europea e poi in America, saranno determinanti per tracciare una direzione che - si spera - possa essere diversa da quella totalmente sciagurata verso la quale lorsignori ci stanno portando. 

mercoledì 27 dicembre 2023

Ricordi

Il ricordo di te saranno i fiori, mia cara amica e compagna, come quelli che anelavi sbocciassero nei giorni di primavera, sul Molise, tra i filari rossi del tuo giardino.

Fai buon viaggio
Mariantonia Stefanino ❤️

lunedì 15 agosto 2022

Il Capitalismo Cannibale e i suoi Limiti


Condivido molto Nancy Fraser quando afferma che la visione marxista tradizionale non considera a sufficienza le "condizioni di possibilità di fondo" che sorreggono la nostra esistenza e l'esistenza stessa del capitalismo. 
 
Anzitutto la riproduzione sociale, intesa come l'attività spesso svolta dalle donne al di fuori dell'economia ufficiale, consente la rigenerazione della "forza-lavoro" che è alla base dello sfruttamento capitalistico: far nascere i bambini, nutrirli e farli crescere, istruirli, educarli fino a farli diventare adulti, affinché possano entrare a far parte del mercato del lavoro; ma anche curare i propri compagni e mariti affinché abbiano tutto il necessario per affrontare la giornata di lavoro (biancheria pulita, cibo alla sera ecc). Senza la riproduzione sociale non ci sarebbero lavoratori a sufficienza da cui estrarre il famoso plusvalore.
 
La seconda condizione è la natura non umana, ossia l'ambiente. L'accumulazione capitalistica presuppone la necessità di estrarre le risorse naturali dal pianeta, come gli idrocarburi, le fonti di energia, sfruttare le grandi distese di terra per coltivazioni e allevamenti intensivi. Senza l'ambiente il capitalismo non potrebbe giocare il suo ruolo: il Covid-19 ad esempio, provocato dal nostro distruttivo modello di sviluppo, ha comportato una forte contrazione dell'economia globale, a dimostrazione che le condizioni non economiche possono intaccare la struttura economica. 
 
Ma qual è il punto di tutto questo? E' che oggi il capitalismo non si limita più a sfruttare semplicemente gli shock, come raccontava Naomi Klein nel suo best-seller del 2007 citando l'invasione in Iraq, ma ormai cannibalizza sé stesso, come afferma Nancy Fraser in "Capitalismo Cannibale" (uscirà in lingua inglese il 22 settembre). Ossia il suo imperativo di accumulare e di reinvestire capitali incessantemente per accrescere sè stesso travolge e distrugge la riproduzione sociale, i rapporti familiari, l'ambiente, gli Stati ecc, ossia le sue stesse condizioni di sopravvivenza, come si sottolineava prima. 
 
La sommatoria delle crisi economica, sanitaria, ecologica, politica fanno pensare che ci troviamo davanti ad una crisi generale del sistema capitalistico. Non semplicemente una crisi di settore, come può essere stato lo scoppio della bolla speculativa dei mutui subprima nel 2007-2008, ma qualcosa di epocale. 
 
A questo punto Nancy Fraser prova ad elaborare una soluzione politica a tutto questo, che consiste nella costruzione di un blocco egemonico a sinistra denominato "ecosocialismo democratico globale" in grado di abbracciare, in una forma populista, tutte le varie lotte contro le declinazioni dello sfruttamento capitalista (attivisti ambientalisti, sindacati, i movimenti femministi ecc), ridefinendo e allargando il concetto stesso di "lotta di classe" non solo alla lotta nel luogo di lavoro, ma ad ogni forma di lotta anticapitalista. 
 
Il progetto secondo me è ambizioso e sotto certi aspetti coglie i punti deboli di una sinistra che ancora non è riuscita a darsi un'identità politica dopo lo shock degli anni '90. Aspetto di poter leggere il libro per dare un giudizio più compiuto, tuttavia ho delle riserve che mi fanno essere piuttosto pessimista a riguardo.
 
Chi si definisce marxista sa bene che la lotta contro il capitale è fatta di sangue e merda, e che i popoli, gli individui non imparano a sfidare apertamente il sistema di terrore messo in piedi dalle classi dominanti se non sul terreno della pratica. Purtroppo l'uomo non riesce ad imparare se non vivendo il dolore sulla propria pelle, e questo periodo storico di pax tra le classi ha determinato la pressoché assenza di una forza sociale e politica in grado di opporsi al sistema capitalistico. Gli esperimenti politici solo "dal basso" o solo "dall'alto" non funzionano, ci vuole reciprocità dei due movimenti altrimenti la sconfitta (o peggio la torsione reazionaria) è già definita in partenza. 
 
C'è anche da dire che purtroppo il sistema capitalistico, dinanzi alla crisi epocale che stiamo vivendo, sembra aver trovato la soluzione per anticipare e neutralizzare sul nascere qualsiasi climax rivoluzionario, e che è in fondo sempre la stessa: la guerra. 
 
L'opzione bellica, se da un lato è causa delle crisi capitalistiche (si veda lo shock inflazionistico sui prezzi dell'energia), dall'altro è anche una soluzione, perché distrugge il capitale in sovrapproduzione (in primis il capitale "umano", cioè uomini e donne) e crea ex novo le condizioni per un nuovo ciclo di accumulazione. Ecco così che si acuiscono tra gli Stati le tensioni accumulate negli anni lungo le faglie geopolitiche, dall'Ucraina a Taiwan, in un crescendo il cui epilogo sembra già scritto, in assenza di quella forza controegemonica di cui parla Nancy Fraser. 
 
Questi sono i motivi per cui nutro poca fiducia nella capacità delle attuali generazioni (in particolare la mia, almeno in Occidente) di mettere in piedi quel blocco controegemonico di cui parla Nancy Fraser, e mi auguro che chi verrà dopo di noi sarà in grado di poter avere il coraggio e l'integrità che noi non abbiamo avuto.