giovedì 30 aprile 2020

Il Totalitarismo Senza Dittatore

Il Consiglio europeo in videoconferenza, foto di Filippo Attili/LaPresse
 Anche in questo caso ringrazio una persona a me cara per i tanti spunti offerti.

Il totalitarismo odierno non rafforza, ma indebolisce i governi. La personalizzazione della politica è la spia del fatto che l'individuo-governante cede il posto ad un potere assolutamente impersonale, al contrario di quanto avveniva con i totalitarismi novecenteschi. Ecco che questo totalitarismo senza dittatore, da cui è promanato appunto uno stato d'eccezione senza sovrano, vede le Regioni trasformarsi in piccole satrapie, in signorie di stampo feudale. Ovviamente anche il loro potere è illusorio, perché si insinua esclusivamente nelle pieghe del declino del governo centrale. In sostanza la politica è totalmente subalterna al capitale.

Ricordo come alle scuole medie e superiori la lettura dei giornali fosse un momento importante della lezione. "Formare i cittadini del futuro attraverso l'informazione", questo era il mantra di una scuola che credeva nell'educazione civica. I faccioni di Prodi e Berlusconi in bella mostra e le vicissitudini della Fiat davano l'idea di un mondo sì al tramonto, ma pur sempre ancorato ad un minimo di stabilità e coerenza. 

Proviamo invece ad aprirli oggi i giornali (cartacei o informatici): seguire la cronaca è diventato tutt'altro che un momento per informarsi, quanto piuttosto un modo per istupidirsi ulteriormente. L'avvento del Covid-19 e la tragedia dei suoi morti ci inchiodano alla violenza di una cronaca invasiva e capillare, non più solo quotidiana, ma scandita negli interstizi delle nostre esistenze, ora per ora, minuto per minuto.

Il dato che emerge è lo spettacolo disarmante offerto dal teatrino della classe politica litigiosa ed insipiente. Il crollo dei partiti storici ha offerto praterie sociali immense ai governanti, i quali hanno potuto ridefinire a proprio vantaggio i rapporti con i propri governati, rendendoli meri destinatari delle loro direttive. Eppure proprio chi governa non sembra essere così immune dalle conseguenze di quel crollo: la guerra di tutti contro tutti a cui assistiamo in questi giorni ne è la dimostrazione. Tra presidenti di regione che si atteggiano a sceriffi o che viceversa aprono tutto in spregio delle direttive di governo, tra sindaci che si fanno riprendere mentre rimproverano i cittadini sorpresi a passeggiare per strada, tra ministri e premier che si affidano ad un numero sempre crescente di task force, emerge un unico ed essenziale dato di fatto: la politica è in uno stato di totale subalternità al contingente più immediato, ma soprattutto ad un'economia capitalistica dal volto feroce che nella sua nascosta intelligenza spinge per poter ripartire e conquistare i nuovi mercati che si aprono con questa crisi, la nomina di Carlo Bonomi alla presidenza di Confindustria è un chiaro segnale in tal senso. Globalizzazione o meno, sicurezza sanitaria o meno, bisogna che la macchina produttiva riprenda a macinare profitti. Analogamente una parte della classe politica spinge per passare all'incasso: si vedano quei governatori che vogliono andare al voto già in estate, facendo proprie le regole di massimizzazione del profitto. In tutto questo non c'è politica, ma solo gestione dell'overdose di paure e tensioni che si sprigionano dalla moltitudine terrorizzata dal virus.

A distanza di due mesi dall'inizio del lockdown possiamo affermare che quel decantato risveglio delle coscienze - vuota espressione molto in voga in alcuni segmenti piccolo-borghesi della società - non si sta verificando e non si verificherà. Presupposto per una progressione culturale, etica e morale è infatti l'esistenza di un discorso e di una pratica che sedimentino nel corpo sociale e si facciano politica ben prima dell'avvento di tragedie collettive come quella attuale. Le rivoluzioni e le guerre tra fine Settecento ed Ottocento avevano la lunga tradizione dell'Illuminismo alle spalle; l'ultima guerra mondiale aveva dietro di sé la pratica socialista e comunista, da cui sono emerse la Resistenza e la conquista dei diritti civili e sociali nei decenni successivi, almeno fino alla comparsa del duo Reagan/Thatcher nel mondo angloamericano e dei loro epigoni nell'Europa continentale. 


Oggi non c'è nulla di tutto quello, ma solo il deserto in cui governati e governanti si illudono di poter contare qualcosa: lo stato di eccezione senza sovrano evocato da Marco Damilano per descrivere il lockdown di queste settimane è la conseguenza di questo stato di cose, la cartina al tornasole di un totalitarismo senza dittatore che produce "governi che si pavoneggiano per una forza che non hanno" e che frammenta lo Stato italiano in un cumulo di regioni-satrapie buone a sfruttare i varchi aperti dalla costituzionalizzazione del federalismo per fare di testa propria. E non è un fenomeno solo italiano: si veda in America come il presidente Trump sia stato costretto dal governatore Cuomo a non trasformare lo Stato di New York in zona rossa dinanzi all'avanzare del coronavirus. Ai toni roboanti non segue spesso la messa in pratica.

Nel confuso bailamme di questi giorni occorre menzionare la dipartita di due importanti riferimenti della cultura italiana: il giornalista Giulietto Chiesa ed il professore Aldo Masullo. La tumultuosità delle cronache e il divieto di svolgere i riti funebri hanno liquidato le loro morti ad una sesta o settima pagina di giornale, subito rimosse. Il pregio di uomini che hanno la forza di strapparci al particolare per ragionare intorno all'universale dovrebbe farsi spazio con forza tra la folla dei personaggi che popolano la cronaca. 

Se questa è la rinascita, mille volte meglio il Medioevo.

domenica 12 aprile 2020

Coronavirus, la Catarsi Che Non c'è


L'arrivo del virus, anzi del vairus, ha fatto entrare di prepotenza nelle nostre case i faccioni di medici e virologi di cui ignoravamo del tutto l'esistenza. Agli stessi si domanda qualunque cosa, di qualcuno abbiamo conosciuto pure la fede calcistica e le velleità adolescenziali. Ilaria Capua è suo malgrado una di questi. Sul Corriere della Sera risponde così alle domande del giornalista sul futuro che ci aspetta:
“Arriveranno grandi cambiamenti sul fronte lavoro che dobbiamo essere pronti ad accogliere con una mentalità nuova, diversa. Il vuoto delle strade e delle piazze che ci separa dalle nostre abitudini del passato fiorirà di nuove sfide e opportunità che dovremo cogliere nella assoluta certezza che saremo noi che dovremo adattarci al coronavirus e non il contrario”.
La risposta di Ilaria Capua è perfettamente in linea con l'arte medica di cui è insigne esponente. Piuttosto fa specie che certe domande vengano rivolte più ai tecnici che non ai politici, a cui teoricamente compete il compito di costruire la società del domani. Si fa presto a dire "arriveranno grandi cambiamenti sul fronte lavoro", "mentalità nuova", "nuove sfide e opportunità". Questo purtroppo lo sappiamo tutti, come sappiamo che i cambiamenti possono essere soltanto traumatici. La maggior parte di noi però non ha la benché più pallida idea di cosa voglia dire tutto questo. 

La politica, appunto, continua ad approcciarsi alla massa con lo stesso metro di sempre: parlate a costoro come se fossero dei bambini, e soprattutto trattateli come bambini anche un po' discoli, a giudicare dalle uscite di sindaci e governatori leggermente esaltati dal ruolo di novelli custodi di questa anomala rivoluzione dei costumi. L'arroganza è debolezza, nasconde più che mostrare. L'assenza di visione è la cifra di una politica abituata solo ad amministrare il contingente. L'unica istituzione che sembra avere una percezione del mondo che verrà è la Chiesa cattolica, pronta ad egemonizzare quegli spazi che le sovranità statali cederanno dinanzi alla recessione economica. Il picco dei contagiati e dei morti per Covid-19 ha infatti coinciso coi giorni che precedono la Pasqua. Il mainstream mediatico è stato così inondato dalle immagini della Passione e della Resurrezione di Cristo, del corpo claudicante di Papa Francesco che si muove in solitudine nella sterminata desolazione di piazza San Pietro mentre diffonde la benedizione Urbi et Orbi. La potenza comunicativa delle immagini era tale che dal Vaticano non sembra si siano fatti scrupoli che un crocifisso ligneo del '400 esposto per l'occasione potesse irrimediabilmente danneggiarsi a causa della pioggia. La società dello spettacolo ha le sue regole e i suoi Rocco Casalino: la sofferenza, il dolore, la catarsi, è tutto un continuo rievocare l'armamentario lessicale evangelico nei telegiornali trasmessi all'ora di punta. Nel dramma della pandemia si rievocano le radici cristiane del nostro Paese, dimenticando che non di rado gli stessi tribunali statali hanno fatto ricorso a queste motivazioni per giustificare l'ingerenza degli organi ecclesiastici nella vita civile. Il premier Giuseppe Conte fa sfoggio della sua formazione cattolicista nello sciorinare riti e liturgie durante l'intervista a Vatican news, ma appare un po' meno cristiano quando i ministri del suo governo PD-LeU-M5S (non i cattivoni della Lega quindi) firmano il decreto che chiude i porti ai migranti col pretesto dell'emergenza coronavirus. Come dire che allo sfoggio dell'armamentario lessicale non fa seguito l'onere caritatevole che impone il messaggio di Gesù, mostrandosi per quel che è: propaganda.

Al netto quindi dei richiami evangelici e del relativo florilegio di tricolori sventolati, tra i profani la confusione regna sovrana. Nel giro di un mese si è passati dal "vivi come credi", "fai avverare i tuoi sogni", "viaggia dove e quando vuoi", allo "state a casa!", "non vi muovete!", "mandiamo i carabinieri col lanciafiamme!" e amenità di questo genere. La torsione dello storytelling capitalistico è stata di un'immediatezza da Tso. Le affollate solitudini riprodotte dalle nuove tecnologie si sono trasformate presto nella materialità opprimente delle mura di casa, e nella tragedia di aver perso per sempre il proprio posto di lavoro o la propria attività commerciale. Ai più giovani si vaticinano scuole ed università quasi esclusivamente on-line, a drammatico completamento della scomparsa di quella carica emancipativa che queste istituzioni avevano ormai perso da tempo; ai più anziani si impone come soluzione l'isolamento domiciliare "almeno fino alla fine dell'anno" secondo la presidente della Commissione Ue Von der Leyen, a conclusione dell'ondata di cinismo collettivo che nel richiamare l'elevata età media dei decessi per coronavirus faceva tirare un sospiro di sollievo. Per molto tempo gireremo con guanti e mascherine obbligatori secondo ordinanze regionali più che statali, dove tutti potremo fregiarci di essere ammalati, dando finalmente un nome e una costituzione a questa ipocondria da "vita senza senso" con cui si conviveva già da un po'.

Che dire poi di chi ciancia di rinascita spirituale del genere umano, della nazione tutta? In effetti il richiamo alla catarsi va in questa direzione. Le centinaia di migliaia di morti non possono non significare un futuro in cui tutti vivremo felici e contenti. Ma non si può confondere il frutto di un processo mentale individuale con le dinamiche di popoli, nazioni, classi: l'inganno dell'attuale dibattito pubblico è proprio questo. Se interrogassimo siriani e yemeniti sapremmo che dalla distruzione della vita violenta ed improvvisa non c'è catarsi, ma solo adattamento e assuefazione alle circostanze. E poi a vedere gli specchi acquei dei nostri litorali mai così limpidi e i cieli sgombri da ferraglia inutile e rumorosa, verrebbe da dire che forse è il pianeta che sta vivendo un momento di rinascita o quantomeno di tregua, a dispetto delle sofferenze umane. L'unica certezza è che questo lockdown presenterà un conto molto amaro ad una società che era già provata dalla crisi finanziaria del 2008. Vecchi e nuovi debiti si accumuleranno sul groppone dei più deboli non appena l'infernale macchina burocratica ripartirà con le sue notifiche e i suoi pignoramenti. Allora vedremo se questo presunto insegnamento ci tratterrà dal pronunciare una bestemmia.