mercoledì 21 marzo 2018

A chi chiederemo giustizia?


A chi chiederemo giustizia?

Per le piccole e grandi ingiustizie della vita di tutti i giorni. Per quei 400 euro di reddito di inclusione che se arrivano è un miracolo, per l'operaio che giunge alle soglie dei 60 anni senza tutele e senza pensione, per i genitori che piangono i propri figli sbandati, persi, vittime e/o carnefici, per chi disperato approda ai lidi di un mondo in declino.

Forse la chiederemo alle forze dell'ordine, i cui vertici sono le menti e gli esecutori delle torture al G8 di Genova.

O forse la chiederemo alla magistratura, i cui vertici condannano le parole di un pm che si è limitato a dire la verità.

Forse la chiederemo ai nuovi uomini politici che già odorano di vecchio. All'imprenditore che straparla di palloncini e democrazie sul web(be), al polentone che aizza la folla contro i negri col Vangelo in mano, a chi si affretta a cercare l'accordo coi nemici giurati di ieri, al vegliardo che governava col manganello nella destra e col rosario macchiato dalla punciuta nella sinistra.

E in ultimo forse la chiederemo a Dio. Ancora una volta cercheremo nel Creatore di tutti i tempi e tutto l'universo la giusta ricompensa per una vita di stenti... quando non saremo più.

E soprattutto di chi sono le responsabilità?

Sono le nostre? Noi poveri ingenui, immaturi, emotivi, irascibili. O sono le loro, cinici, calcolatori, voltagabbana, egoisti.

Dov'è quel proletariato pronto a vendicare secoli di schiavitù? Accetterà ancora una volta di farsi traghettare placido verso le sponde di un nuovo mondo già costruito e pronto per noi?

Dinanzi ai vecchi e nuovi traghettatori carichi di promesse, bisognerebbe avere la forza di tapparsi le orecchie per una volta.

giovedì 8 marzo 2018

Governo, si aprono le danze


La fase attuale di contrattazione politica per la creazione di un Governo non è questione dell'ultim'ora: lo dimostra l'automatismo con cui si stanno verificando alcuni eventi, dall'estromissione di Renzi dalla guida del PD al richiamo di Sergio Mattarella alla "responsabilità". Ciò ci consegna uno scenario che è stato ampiamente previsto dalle forze politiche, il cui suggello si è avuto con l'approvazione del Rosatellum bis, ossia la legge elettorale che ha consegnato il Paese al tripolarismo. Il successo elettorale di M5S e Lega ha accelerato i tempi tecnici di attuazione del disegno.

In realtà i contatti sull'asse M5S-Lega-PD vanno avanti da anni, come dimostra il primo grande accordo tra partiti che si realizzò nel 2015, quando PD e M5S trovarono la quadra per la nomina dei giudici della Consulta, organo tutelare della Costituzione, contravvenendo ai risultati delle votazioni interne indette dal partito di Grillo. L'affrancamento del comico genovese dalla guida del Movimento - così come l'allontanamento di Matteo Renzi - è servito per consentire il riavvicinamento di due mondi che si sono sempre scornati (almeno pubblicamente), ma affini su numerosi punti dei rispettivi programmi politici. Analogamente le "prove tecniche" di accordo di governo sembrano essersi registrate anche a livello locale (ad esempio gli accordi tematici tra M5S e Lega in quel di Laives in Trentino o i presunti accordi su nomine di enti esterni tra M5S e PD in Regione Campania).

Tuttavia proprio la velocità degli eventi potrebbe far crollare il disegno come un castello di carte. Gli accordi - c'è poco da fare - vertono sulle poltrone e sui grandi temi che stanno a cuore ai potentati nazionali ed internazionali, senza contare il peso che la fazione conservatrice del Vaticano, incarnata dalla Cei (Conferenza Episcopale Italiana), continua ad esercitare sulla politica italiana. Dietro l'intreccio di telefonate, incontri, ambasciate, comunicati stampa di questi giorni c'è infatti la volontà di realizzare quell'equilibrio di cose che l'ex amministratore delegato di Sma Campania, Lorenzo Di Domenico, in colloquio con l'ex narcos dei rifiuti Nunzio Perrella ha memorabilmente sintetizzato in una delle conversazioni registrate da Fanpage: "Dobbiamo saziarci tutti quanti". La fame è tanta. In ballo ci sono i posti chiave nei ministeri, i sottosegretari, le nomine parlamentari, i vertici degli enti controllati dallo Stato, i collaboratori, e nessun partito è esente da questa logica (la propaganda la lasciamo agli ingenui). In questo lavorìo sotterraneo è fisiologico che tante cose non verranno attuate, ma è pur vero che il successo elettorale vincola i partiti a realizzare - anche solo in parte - quelle promesse sbandierate in campagna elettorale, in primis il reddito di cittadinanza voluto dai 5 Stelle, se si vorranno evitare tracolli repentini e la rabbia di chi oggi si mette in fila ai Caf convinto di ricevere da subito il sussidio bramato (anche se questa notizia sembra esser stata smentita dalla consulta nazionale dei Caf, è facile immaginare lo scontento popolare che dovesse seguire all'impossibilità di attuare la misura agevolativa).

Sta di fatto che finora la prima mossa concreta l'ha fatta il premier Paolo Gentiloni, il quale ieri ha congelato le nomine dei vertici dell'intelligence su parere favorevole del Copasir, dando seguito a quanto stabilito a fine febbraio. Dietro questa scelta è possibile elaborare due ipotesi: o il decreto è frutto del primo accordo post-elettorale tra M5S e PD (come ipotizza Salvini), oppure si vuole costringere la controparte a trattare fin da subito i futuri nomi da imporre (se questi non sono stati ancora decisi). Ad ogni modo stride l'opposizione di Angelo Tofalo (M5S), unico tra i suoi compagni di partito a votare contro il parere favorevole del Copasir.

Insomma con la balcanizzazione del Parlamento, la XVIII legislatura della Repubblica italiana registra un ritorno alla famigerata Prima Repubblica: semmai dovesse giungersi ad un accordo per formare l'Esecutivo, bisognerà contrattare di volta in volta tutte le questioni che vi si presenteranno. E resistere cinque anni non sarà facile.