giovedì 18 marzo 2021

Mani Su Bagnoli - I Fantasmi del Terremoto (prima parte)

Il campetto dove Jorit ha da poco ultimato la sua opera dedicata al rapper catalano Pablo Hasel, arrestato dalle autorità spagnole, dista poche centinaia di metri in linea d'aria dai suoli di proprietà privata della collina di San Laise. Oltre ai terreni di pertinenza della FBNAI (che abbiamo spiegato essere in realtà un'azienda pubblica di servizi alla persona), esistono ulteriori ettari che hanno subito diversi cambi di proprietà negli ultimi decenni.

IL PIANO CASE SULLA COLLINA DI SAN LAISE

Nel bollettino firmato dal vicesindaco Carmine Piscopo, deus ex machina della delibera sui beni comuni e ideatore del Pua (piano urbanistico attuativo) elaborato per l'ex base Nato, si evince come i terreni appartenessero in origine alla famiglia Salluzzo conti di Corigliano, sui quali vivevano da generazioni diverse famiglie di coloni. Successivamente, all'insaputa dei coloni stessi, i Salluzzo vendevano tutto alla SIMIT Spa, una società con sede legale a Milano, ma gli uffici a Maddaloni nel casertano.

Negli stessi anni - siamo in epoca post-sisma in Irpinia - il commissario straordinario alla ricostruzione, nella persona dell'ex sindaco Carlo D'Amato, aveva deliberato nel 1987 la costruzione e l'acquisto di nuovi alloggi da destinare agli sfollati del terremoto e del bradisismo puteolano, sulla base dei finanziamenti stanziati con la legge n. 94 del 1982 (art. 2). Tra gli interventi finanziati rientrava la realizzazione di ben 910 vani residenziali proprio sui terreni limitrofi alla ex base Nato. 

La nuova cementificazione fu denunciata da alcune interrogazioni parlamentari provenienti da diversi gruppi politici (qui, qui, qui e qui), e la risposta dell'allora ministro all'ambiente Giorgio Ruffolo era sempre la medesima:

Non è stata effettuata alcuna valutazione d'impatto ambientale perché non prevista per legge. L'area oggetto dell'intervento è di solo 20 mila quadrati di cui solo le aree di sedime dei fabbricati, cioè circa 2 mila metri quadrati, non saranno destinate a verde e quindi l'alterazione, in termini percentuali, della quota di verde pro capite è trascurabile.

A quel punto iniziarono gli espropri dei coloni, come previsto dalla legge n. 219 del 1981. Molti furono costretti ad andarsene, qualcun altro riuscì ad opporsi e a rimanere. Alla fine gli alloggi non si fecero più, sia grazie alla resistenza opposta dai coltivatori e dalle associazioni, sia in virtù del cambio di strategia che si registrava verso la fine degli anni '80 da parte della classe dirigente cresciuta sulle rovine del sisma: la gallina dalle uova d'oro non erano più le case, bensì le grandi infrastrutture. Ma di questo occorre parlarne nella seconda parte di questa mini-inchiesta che spero di pubblicare a breve.

I NUOVI PROPRIETARI

L'ex base NATO sulla collina di San Laise

Sempre sulla base dello scritto di Piscopo, i suoli passano nuovamente di proprietà, e precisamente alla Ingegneria e Costruzioni Generali Spa. Scorrendo sul registro imprese risulta trattarsi di un'impresa di costruzioni con sede a Napoli in via Gaetano Filangieri, 72. Da fonti di stampa si apprende poi che l'amministratore risulta essere Rossella Raiola, il cui nome è finito tra le carte dei Panama Papers per il ruolo di director in due società offshore nelle Isole Vergini Britanniche e alle Seychelles. 

Paolo Cirino Pomicino
Nel corso degli anni la ICG2 Spa (acronimo dell'impresa suddetta) ha cambiato più volte sede in quel di Roma, per qualche tempo è transitata anche in via Giosué Carducci 10, nota per essere stata a lungo la location della galassia di società legate all'entourage di Paolo Cirino Pomicino, in particolare facenti capo al suo storico collaboratore Vincenzo Maria Greco, l'ingegnere finito nel 2016 agli arresti domiciliari per il crac di Impresa Spa (il processo è iniziato pochi mesi fa), una delle aziende impegnate nella realizzazione del Tram veloce di Firenze, opera da 257 milioni di euro fortemente voluta dal tandem Verdini - Renzi. L'accusa è di aver svuotato le casse di Impresa, soldi che sarebbero stati utilizzati per le spese personali proprie e dei figli di Greco. Il danno sarebbe pari a 25 milioni di euro, a fronte di un ammontare di debiti pari alla cifra monstre di 700 milioni di euro, in gran parte accumulato nei confronti del fisco e dei dipendenti. In quell'inchiesta fu coinvolto anche l'altro socio di Impresa, Raffaele Raiola, costruttore napoletano impegnato su diversi fronti anche a Napoli, anche lui finito nell'inchiesta giornalistica dei Panama Papers.

Proprio i Greco e la ICG2 erano parte della cordata imprenditoriale interessata alla costruzione della centrale geotermica di Agnano, un progetto che suscitò tante proteste per i rischi connessi alla caldera dei Campi Flegrei, e che venne bloccato dalla Regione solo nel 2017. In quella cordata figuravano molti dei protagonisti del periodo storico della ricostruzione e che in effetti sull'area flegrea non sembrano aver mai mollato la presa.

IL RISCHIO DI SPECULAZIONI E LA FAMIGLIA PETRONE

Tornando alla collina di San Laise, il vicesindaco Piscopo chiarisce che il progetto complessivo di recupero del parco (elaborato tra gli altri dallo stesso Giovanni Grasso, presidente del circolo di Legambiente "Thomas Sankara" che ha ottenuto in concessione i terreni della Fondazione, ne abbiamo parlato qui) è finalizzato ad evitare che si verifichino speculazioni edilizie nei terreni della Ingegneria e Costruzioni Generali Spa. Un intento lodevole, ma che al momento rimane su carta. Sarebbe interessante capire se e come il Piano urbanistico approvato dal Comune preveda misure finalizzate alla tutela di quelle aree, visto e considerato che attualmente rimangono nella piena disponibilità di un'impresa che ha per oggetto sociale "la esecuzione di opere edili di qualsiasi genere per conto proprio, di pubbliche amministrazioni, di enti e di privati, in appalto o in concessione". Una soluzione potrebbe essere l'acquisto da parte dell'ente pubblico, il Comune o la stessa Fbnai, e la concessione alla coltivazione secondo regole e procedure trasparenti e partecipate, senza intermediari privati di sorta.

Occorre poi menzionare un ulteriore elemento che ha il sapore della beffa: il bando di gara emanato da Legambiente, per aprire ai cittadini della municipalità la coltivazione delle terre, impediva di partecipare a chi avesse in proprietà, in concessione o in uso terreni agricoli. Una condizione che, seppur animata dalla migliore delle intenzioni per dare spazio a chi non ha mai coltivato la terra (ma molti dubbi li sollevai sulle modalità con cui quel bando venne pubblicizzato), ha finito per tagliare fuori i pochi coloni non ancora espropriati, ossia coloro che hanno impedito agli avvoltoi del post-terremoto di cementificare la collina.

E come in un puzzle dove ogni tassello trova alla fine il suo posto, sempre a poca distanza dal murales di Jorit ecco spuntare il nuovo quartier generale della Petrone group, potente famiglia di imprenditori napoletani che oltre al settore farmaceutico e dei centri diagnostici, ha esteso i propri interessi nel campo dell'edilizia e in quello della gestione di parcheggi, in qualità di soci di maggioranza delle imprese della Quick No Problem Parking, società leader della sosta privata a Napoli e nel resto d'Italia. Fino a qualche anno fa vicepresidente del CdA di una delle loro aziende farmaceutiche, la Pierrel Spa con sede operativa a Capua, era uno dei protagonisti citati  prima. Indovinate chi? L'ex ministro Paolo Cirino Pomicino, ancora lui (Link).

Per questo non è il caso di scannarsi per un campetto privato, pur se riqualificato dalla mano di Jorit. Da queste lotte di appropriazione tribale del territorio, spacciate come rinascita di un quartiere o come processo spontaneo di mobilitazione, meglio tirarsene fuori. A maggior ragione per quel che dirò nella seconda parte di questa mini-inchiesta.

L'opera di Jorit a Bagnoli

venerdì 26 febbraio 2021

Mani Su Bagnoli - I Terreni dell'ex Base NATO

Un corteo presso l'ex base Nato. Fonte: Bagnoli Libera (Pagina Fb)

L'ex base Nato di Bagnoli
rappresenta oggi un altro grosso affare per chi vuole speculare sul rilancio dell'area occidentale di Napoli. Momentaneamente chiusa la partita sul commissariamento dell'ex area industriale, con buona pace di chi ha fatto proteste fino all'altroieri per poi tacere per sempre, e salvo improvvisi cambi di rotta col nuovo governo Draghi, le mire si sono spostate su quello che una volta era il collegio Costanzo Ciano, una cittadella concepita durante il fascismo per offrire un rifugio ai tanti bambini napoletani che vivevano in condizioni di estremo degrado.

Un ruolo questo che riuscì mai a svolgere a causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale: dapprima utilizzato dalle truppe dell'Asse, dopo l'occupazione americana divenne il principale comando Nato nel Mediterraneo. La FBNAI (Fondazione Banco di Napoli - Assistenza per l'Infanzia) potè ritornare in possesso solo nel 2013 a seguito dello spostamento delle truppe nella nuova base di Lago Patria. 

A dispetto del nome, la Fondazione è in realtà un'azienda pubblica di servizi alla persona controllata da Regione Campania e Comune di Napoli, il cui scopo è appunto l'assistenza ai minori. E già questo dovrebbe servire a far storcere il naso davanti alla progressiva lottizzazione che è stata fatta dopo la dipartita dei militari, attraverso l'insediamento di attività imprenditoriali che hanno sottratto alla fruizione libera e gratuita i vari beni di cui il complesso è composto (come la piscina e i campi sportivi), spesso ottenute dietro canoni di favore. A nulla sono valse le lotte dei comitati e le belle parole spese da sindaco ed assessori sulla democrazia partecipata, sulle decisioni "dal basso" e amenità del genere. O forse no, a qualcosa sono valse, ed è l'aspetto più grottesco di tutta la vicenda che provo a raccontarvi.

Pochi giorni fa è stato pubblicato sul bollettino della Regione il Piano Urbanistico Attuativo, ossia lo strumento urbanistico attraverso il quale indirizzare le attività di riqualificazione della cittadella, grande ben trenta ettari. Sui contenuti di questo piano - ormai giunto in ritardo - mi riprometto di scriverne quanto prima in un altro post, ora vorrei focalizzare l'attenzione sui terreni esterni alla cittadella e di proprietà della stessa Fondazione. Parliamo di una superficie pari ad almeno dieci ettari che si estende sulla collina di San Laise. 

L'ex base NATO sulla collina di San Laise. I terreni di cui si parla sono quelli a nord

Nel 2015 viene stipulata una convenzione tra la Fondazione e Legambiente, in cui l'allora commissario Sergio Sciarelli affida in locazione sei ettari di terreno al canone di 1800 euro annui (ossia a 150 euro al mese), per sei anni. Legambiente, nella persona di Giovanni Grasso, presidente del circolo locale Thomas Sankara, si impegna a realizzare degli orti didattici nell'ambito del progetto "Parco delle AgriCulture Contadine". 

Oltre al solito prezzo ridicolo dietro cui avviene l'ennesima cessione di un bene pubblico, stavolta con il pretesto dell'associazionismo, il progetto AgriCulture non decolla mai davvero, nonostante il vicesindaco Carmine Piscopo ne lodi gli intenti sul bollettino mensile del centro interdipartimentale di urbanistica dell'Università Federico II:

In questo senso, l’affidamento della collina di San Laise dalla Fondazione Banco di Napoli a Legambiente, evitando una pericolosa privatizzazione, per farne agricivismo, orti urbani, passeggiate didattiche, potrebbe configurarsi come un progetto pilota da riproporre per altre aree a destinazione agricola ricadenti nel territorio comunale e per le quali si potrebbero sperimentare nuove forme di perequazione. Un processo questo che nasce dal basso, dalle collettività residenti nell'area, e porterà l’intera collina a diventare il luogo di una collettività ritrovata, in un’area dove si sono per più di 40 anni progettate guerre.

 

Carmine Piscopo
Il problema è che questo agricivismo si trasforma a sua volta nell'ennesima privatizzazione, avendo poco a che fare con una reale fruizione delle aree agricole. Il motivo è presto detto. Come dicevamo, il progetto AgriCulture non decolla, almeno fino a dicembre 2019, quando Legambiente riesce a rientrare in un bando della Regione, in cui si stanzia 1,4 milioni di euro per le realtà del terzo settore. Non sono riuscito a trovare le determine dirigenziali contenenti gli impegni di spesa, ma a leggere l'avviso originario, l'entità del progetto finanziabile non deve eccedere i 20mila euro. Quindi parliamo di ulteriore denaro pubblico che viene distribuito a pioggia su una miriade di progetti e progettini che per la loro frammentazione producono scarso impatto sociale, la cui vera funzione è quella di costruire pratiche di fidelizzazione con la politica. 

Legambiente a sua volta emette un bando il 21 settembre 2020 per la coltivazione di dieci orti per soggetti residenti nella X Municipalità Bagnoli - Fuorigrotta che non abbiano in uso, in concessione, possesso o proprietà altri appezzamenti di terreno, con obbligo di versamento della quota associativa annuale. Il bando viene pubblicato sul sito di Legambiente Campania e sul bollettino regionale, ossia quanto basta per assolvere agli obblighi di comunicazione previsti dalla legge, ma troppo poco per dare una giusta pubblicità a tutti i residenti nella municipalità, che avrebbe avuto bisogno di una più adeguata sponsorizzazione online e soprattutto affissione di manifesti pubblici come si faceva una volta (sull'equivalenza legale della pubblicità digitale ci sarebbe molto da discutere). Ed infatti quando due mesi dopo viene pubblicata sullo stesso sito web la graduatoria dei dieci vincitori, emergono già le prime "stranezze".

Anzitutto la graduatoria non fa alcuna menzione del punteggio ottenuto, né mette a disposizione i documenti presentati dai richiedenti per valutare se i requisiti previsti dal bando siano stati rispettati. Inoltre sembrerebbe che nei primi due posti della graduatoria compaiano due fratelli entrambi operanti nel campo dell'odontotecnica. Fin qui nulla di strano, però desta qualche curiosità il fatto che il laboratorio gestito da uno dei due si trovi in piazza Neghelli 10, nel quartiere Cavalleggeri, ossia allo stesso indirizzo in cui si trova la sede del circolo di Legambiente Thomas Sankara. Anche qui nulla di illegale sia chiaro, però potrebbe rappresentare la "spia" di quella mancata ampia diffusione di cui un bando del genere avrebbe avuto bisogno, se la vicinanza fisica di una sede associativa possa essere stato il viatico per la partecipazione.

Di questa storia si possono a mio avviso evidenziare due elementi.

Il primo è che il moltiplicarsi di tanti passaggi e referenti istituzionali ha annacquato inevitabilmente i meccanismi di pubblicità delle procedure, e quindi la stessa democraticità dell'esito finale. In ambito giuridico esiste infatti una bella differenza tra l'effettiva conoscenza e la mera conoscibilità degli atti, e spesso una normativa non troppo felice consente di alleggerire gli oneri pubblicitari. 

Il secondo, che rappresenta un po' la cifra generale della società odierna, è che dietro la foglia di fico dell'associazionismo, e soprattutto di tutta la narrazione tossica della vitalità della città, dell'auto-organizzazione spontanea dei cittadini, delle "best practices" di governo condiviso del territorio etc., si occultano i reali rapporti di forza esistenti in un determinato contesto territoriale. Cedere ai privati il governo del territorio apre la strada ad un vero e proprio neofeudalesimo, altroché agricivismo di cui parla Piscopo. 

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Nel prossimo articolo proverò a parlare delle ulteriori mire speculative in atto sulla collina di San Laise, a cui le modalità descritte spianano la strada, secondo una logica di spartizione (e convivenza) territoriale di nuovi e vecchi poteri di stampo oikocratico.

mercoledì 10 febbraio 2021

Il Movimento 5 Stelle non è mai esistito

Beppe Grillo ad Imola nel 2015. Fonte: Wikimedia

In questi giorni si fa un gran parlare di quello che dovrebbe fare la principale forza politica presente in Parlamento, ossia il M5S, dinanzi al candidato-premier Mario Draghi. Sostenerlo oppure no? Votare la fiducia? Non votarla? Astenersi? 

La voce dei vertici è univoca: da Luigi Di Maio a Vito Crimi passando per il garante Beppe Grillo, tutti invocanti il senso di responsabilità, si chiede ancora una volta di turarsi il naso e sostenere il governo tecnico dell'ex banchiere insieme a tutti gli altri partiti. Davanti alla prospettiva di non riuscire ad ottenere il consenso necessario degli iscritti sul portale Rousseau, Grillo ha voluto pubblicare un video per provare a convincere i contrari, ricorrendo ad alcuni temi che solleticano da sempre la base pentastellata: ha prima esordito affermando che Draghi abbia un'anima grillina, proponendogli addirittura l'iscrizione ai "meetup", e poi ha messo sul piatto due proposte da inserire nel programma di governo: l'istituzione di un ministero per la transizione ecologica, sul modello francese e spagnolo, e la conservazione del reddito di cittadinanza. Il tutto condensato in 6 minuti a metà strada tra lo show e il paternalismo tipico di chi ammansisce i pargoli mentre gli strappa via il biberon. L'unica (vera) condizione posta da Grillo nel colloquio con Draghi è l'esclusione della Lega dal nascente governo, motivo per cui Berlusconi e Salvini - mica fessi - si sono fatti ritrarre sorridenti a colloquio per mostrarsi maggiormente solidi (credibili è forse troppo) della coalizione Pd-M5S-LeU, dove i dem rimangono appesi al voto di Rousseau più degli stessi grillini.

Alessandro Di Battista. Fonte: Wikimedia

Una parte della base del Movimento rimane comunque in subbuglio, e ulteriore benzina sul fuoco l'ha gettata la decisione dei vertici di rinviare la votazione su Rousseau in attesa di una dichiarazione pubblica di Draghi che renda palesi le linee fondamentali del suo programma di governo (poi di nuovo riprogrammata il 10 febbraio sera, nda). Capopopolo di questa (ennesima) agitazione digitale è Alessandro Di Battista, che insieme ad una nutrita schiera di rappresentanti istituzionali ha ribadito la propria contrarietà alla nascita del nuovo esecutivo. Il repertorio utilizzato dal (fu) Dibba è quello tipico delle origini: no al governo dei banchieri, mai con il mafioso-pluripregiudicato B., noi siamo nati per buttare la casta fuori dal Palazzo, ecc. Argomenti tipici di chi cerca di capitalizzare un dissenso generico, trasversale, diffuso (a giusta ragione) non solo tra la base grillina, ma tra tutta quella fascia di italiani che da dieci anni a questa parte subiscono gli effetti di ben due crisi economiche. Come andrà a finire si vedrà solo nei prossimi giorni, ma è facile immaginare che il Movimento ne uscirà comunque a pezzi.

In realtà il M5S fin dalla sua fondazione si è caratterizzato per essere un'entità amorfa che poggia la sua esistenza su principi confliggenti tra di loro e un programma estremamente scarno. Il suo successo si fonda su un mix tra istanze di rabbioso dissenso alle politiche di austerity e uso del web come formidabile macchina di propaganda; il dirsi né di destra né di sinistra è servito nei primi tempi a raccogliere il consenso tra gli elettori che ormai avevano perso fiducia nei partiti tradizionali, ma nella fase di governo si è tradotto in uno spicciolo e conformante gattopardismo, in cui le piroette tra Lega e PD ne sono stata la dimostrazione più emblematica, per giunta compiute con lo stesso atleta, il dimissionario Giuseppe Conte, vero punto di equilibrio in grado di impedire al Movimento di frantumarsi. La vera forma del M5S è dunque quella di un contenitore in grado di tenere insieme una miriade di fazioni-clan che nascono e si affermano in virtù del loro differente radicamento territoriale, in cui si mescolano il dato tipicamente italiano del campanilismo,come in Campania dove ogni città o paese ha la sua comunità di attivisti o cerchio magico (i Pomigliano Boys di Luigi Di Maio sono al momento più forti) in perenne competizione tra di loro, con il dato globale della logica delle "tribù del web" che animano la società contemporanea, in cui il territorio è definito dal perimetro digitale degli stessi meetup o degli onnipresenti gruppi social (Facebook in primis), e che è stata la caratteristica principale del movimento Q-Anon, quello da cui si è generato poi l'assalto al Campidoglio statunitense. 

Presidio M5S a Napoli nel 2012

Il successo del M5S è dovuto perlopiù al demerito degli altri partiti ormai in coma profondo, e in generale alla profonda crisi della rappresentanza che sembra essere una cifra globale delle democrazie occidentali. E se c'è una cosa che mi sento di testimoniare, avendone fatto parte fin dall'inizio, è che i nostalgici più o meno sinceri che decantano le belle origini grilline manco si parlasse della Genesi biblica (tra cui lo stesso Di Battista) continuano a farsi ingannare dall'immagine che questo movimento dava di sé. All'impatto comunicativo del blog di Beppe Grillo e del gruppo di comunicatori messo in piedi dalla Casaleggio, non faceva riscontro una forza altrettanto radicata nella società: gli elettori erano attratti dai messaggi anticasta dell'epoca, un coacervo di impulsi emozionali che non oltrepassavano il livello dell'epidermide. Era la rabbia di quel ceto medio impoverito dalla crisi, il quale una volta passato di moda il NO alla Kasta!, ha subito dopo iniziato ad inveire contro i migranti che sbarcavano sulle nostre spiagge. E' in quel momento che nasce la complicità con la Lega, ben prima dell'alleanza nel 2018, quando dagli uffici comunicativi del 5 Stelle di Milano e Roma, rispettivamente sedi della Casaleggio e dei gruppi parlamentari, capiscono che il refrain anticasta non tirava più ed occorreva virare sulla reazione istintiva degli italiani contro i migranti: una strategia cinica e di corto respiro, vero alleato della gestione criminale dell'accoglienza, argomento su cui poi i 5 Stelle sono stati inevitabilmente scavalcati dalla Bestia di Salvini, ben più strutturata e coerente col portato reazionario e xenofobo della Lega salviniana. Finchè la pandemia non ha fatto impantanare tutti quanti.


Sergio Mattarella e Giuseppe Conte
Ma il vero motivo del fallimento del M5S è insito nelle sue premesse: l'irruzione che i 5 Stelle hanno compiuto nei palazzi del potere perde ogni sua consistenza quando si pretende in maniera velleitaria di rappresentare gli interessi di una massa indistinta di soggetti, denominati "cittadini", e non gli interessi di una determinata parte sociale, che vanno dai lavoratori, ai disoccupati, ai precari, ai senza fissa dimora, in breve delle persone più fragili. La politica richiede l'esistenza e l'organizzazione di una forza, che diriga le trasformazioni della società, non che si faccia viceversa dirigere, altrimenti il trasformismo e l'opportunismo sono dietro l'angolo. Il reddito di cittadinanza, pur nella sua versione "limitata", ha potuto affermarsi proprio perché per una volta tanto si è stati capaci di rappresentare le difficoltà economiche di milioni di persone. Per il resto si è potuta tenere la barra dritta solo perché l'ex premier Conte ha saputo rappresentare un punto fermo delle diverse coalizioni grazie alle sue capacità comunicative e di mediazione dentro la dimensione clanica che ormai caratterizza la politica: proprio l'assetto politico-istituzionale del Paese, che doveva essere scardinato per passare dall'etica sbandierata alla sostanza dei fatti, non è stato minimamento scalfito, anzi è stato sfruttato dai nuovi arrivati per riempire ancora una volta di persone loro gradite gli staff, gli incarichi dirigenziali, i CdA delle partecipate, in piena logica di lottizzazione come da trent'anni a questa parte (il ministero degli esteri di Di Maio è il più costoso della storia repubblicana).

In conclusione, tranquillizziamo chi oggi decanta i tempi belli di una volta: non c'è stato nessun mito fondativo delle origini, solo un esperimento (sic!) politico non riuscito (o riuscito benissimo, dipende dai punti di vista). E' da qui che mi sento di affermare che il Movimento 5 Stelle non è mai esistito, se non come idea confusionaria che ha ingannato i più ed è stato trampolino di lancio per le carriere personali di tanti altri. Ovviamente in tanti non saranno d'accordo con questo mio pensiero e lo capisco, ma dinanzi all'ultimo insulto alla parte più fragile del Paese, ossia l'abbraccio bipartisan con Draghi, non può esserci conclusione diversa. Questo Paese devastato dalla pandemia merita ben altro che un carrozzone partorito dalla società dello spettacolo.

domenica 7 febbraio 2021

Draghi e la Logica del Debito Buono

A pag. 8 del Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx e Friedrich Engels si legge:

La borghesia non può esistere senza rivoluzionare incessantemente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l'immutato mantenimento del vecchio sistema di produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti. Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti.

In queste righe c'è un passaggio cruciale: la borghesia, ossia la classe dominante, non può esistere senza rivoluzionare in maniera incessante tutti i rapporti di produzione, e quindi tutti i rapporti sociali precedenti. Il capitale non può mai arrestare il proprio processo di accumulazione. Le crisi, lungi dal metterne in pericolo le fondamenta, sono anzi l'occasione per la sua rigenerazione e per far partire nuovi cicli di accumulazione. Anche l'attuale crisi scatenata dal Covid-19 non fa eccezione: come affermava il compianto Giulietto Chiesa, chi spera che l'attuale sistema economico capitalistico possa crollare in virtù delle sue contraddizioni interne si sbaglia di grosso. Il sistema infatti funziona  benissimo, nello spazio che gli è proprio. Smetterà di funzionare solo quando cambierà lo spazio nel quale si trova [...] Dovremmo cominciare a capire che economia e finanza esploderanno non tanto per difetti interni, quanto per il sopraggiungere, ad esempio, di una rottura “esterna”.

Sebbene la pandemia sembri a prima vista rappresentare questa rottura "esterna", in grado di portare al crollo dell'attuale sistema neoliberista che fa dello scambio (diseguale) il suo nucleo centrale, in realtà ci stiamo rendendo conto che non è così: a distanza di un anno dalla sua irruzione nelle nostre vite quotidiane, il Covid sta accelerando le tendenze di trasformazione già insite nel sistema: dall'implementazione dello smart working all'utilizzo massiccio della didattica a distanza, dall'esplosione delle criptovalute alla definizione di un quadro giuridico sempre più "mobile" in grado di adattarsi automaticamente agli sviluppi della malattia (ed in futuro chissà a cos'altro).

 


Le manovre politiche che hanno portato alla dipartita di Giuseppe Conte segnano un punto di svolta nella conduzione delle azioni di governo nella fase pandemica: ancora una volta l'Italia viene eletta come laboratorio privilegiato dei cambiamenti che attraversano l'intero Occidente. L'arrivo di Mario Draghi è la dimostrazione che stavolta il grande capitale ha deciso di scendere direttamente in campo facendosi rappresentare dal suo uomo principale in Europa. Non che le linee guida non siano già state perseguite dai governi politici precedenti - e vedremo come - ma l'eccezionalità della crisi richiede ora di disvelarsi in prima persona, dismettendo temporaneamente la strategia dell'operare da dietro le quinte.

L'informazione italiana si spertifica nel glorificare la persona di Mario Draghi, come a volerci ricordare il perché siamo al 41° posto per la libertà di stampa. L'operazione "responsabili" attuata in maniera disperata dalla ex maggioranza giallorossa ha contribuito a gettare ulteriore discredito sul ceto politico, già profondamente scollato dalla vita reale, e ha spianato la strada all'arrivo dell'ex banchiere, il quale ha le idee chiare su come dovrà essere impostata la politica economica del suo futuro esecutivo. Lo si evince dall'ormai noto rapporto Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid redatto tra gli altri dallo stesso Draghi da parte del Gruppo dei Trenta, uno dei tanti think-tank in cui si riuniscono i membri delle élite bancarie e finanziarie del globo. 


Il presupposto da cui parte il rapporto è che le economie globali si trovano "al bordo di una scogliera" e che "le autorità devono agire urgentemente". Secondo gli estensori, alla crisi di liquidità delle imprese che ha caratterizzato la prima fase pandemica, e che è stata affrontata con l'aumento della spesa pubblica, seguirà una seconda fase caratterizzata da un'ondata di insolvenze. Per contenerne la portata, gli estensori del rapporto ritengono che i governi debbano ridurre l'entità degli aiuti forniti, in quanto la loro elargizione a pioggia determina la nascita di imprese definite "zombie" che rischiano di trascinare il debito pubblico oltre misura, alterando così gli equilibri del mercato. Agire in questo modo rappresenta un azzardo morale, poiche tali finanziamenti maschererebbero agli occhi degli imprenditori l'entità della crisi, determinando negli stessi una sottovalutazione circa le reali capacità produttive delle proprie aziende, spingendoli a fare investimenti sbagliati. 

Calando questo rapporto nel contesto degli interventi attuati negli ultimi mesi dal governo Conte, si tratta di porre uno stop alla miriade di bonus, ristori, cashback etc, insomma a questa forma mascherata di helicopter money, che pure aveva finora consentito se non di ripartire, quantomeno di sopravvivere. A pag. 3 del rapporto si legge chiaramente:

3. Adattarsi alle nuove realtà aziendali, piuttosto che cercare di preservare lo status quo. Il settore delle imprese che emerge da questa crisi non dovrebbe apparire esattamente come era prima a causa degli effetti permanenti della crisi e dell'accelerazione delle tendenze esistenti provocata dalla pandemia, come nel caso della digitalizzazione. I governi dovrebbero incoraggiare le trasformazioni aziendali necessarie o auspicabili e gli aggiustamenti dell'occupazione. Ciò può richiedere una certa quantità di "distruzione creatrice" poiché alcune aziende si rimpiccioliscono o chiudono e se ne aprono di nuove, e i lavoratori dovranno spostarsi tra aziende e settori, con un'adeguata formazione e assistenza temporanea. Tuttavia, anche i governi che sostengono tale adattamento in linea di principio potrebbero dover adottare misure per gestire i tempi della distruzione creatrice per tenere conto degli effetti a catena di cambiamenti eccessivamente rapidi, così come per i le situazioni di insolvenza che potrebbero sopraffarli.

La nuova strategia dei governi, secondo Draghi, dovrà quindi incentrarsi su interventi selettivi, finalizzati a supportare le imprese che presentino adeguate prospettive di redditività, lasciando invece morire tutte quelle imprese non in grado di adeguarsi alle nuove esigenze del mercato. E' il fondamento della distruzione creativa, che viene esplicitamente richiamata nel rapporto: l'espressione è dell'economista austriaco Joseph Schumpeter, che proprio dall'analisi dei testi di Marx sviluppa questa concezione, definendola come quel processo evolutivo dell’economia capitalistica, nel quale innovazioni tecnologiche e gestionali trasformano il ciclo produttivo, scompaginando l’equilibrio dei mercati ed eliminando le imprese incapaci d’innovare. Un meccanismo che detto così sembra essere perfettamente funzionale, in realtà è puro darwinismo sociale che condanna milioni di persone a precarietà e disoccupazione, ed è il pilastro dell'economia capitalistica e del suo tumultuoso procedere. 

La novità - ma neanche tanto - è che i protagonisti del nuovo processo di centralizzazione del capitale nelle mani di quei pochi ritenuti capaci di far ripartire gli investimenti (perché questa è la sostanza della politica poc'anzi delineata) saranno propri gli Stati, che dalla funzione di stato sociale diventeranno nuovamente i custodi e i sicari dell'ordine neoliberista. Una funzione questa che già s'intravedeva in alcune delle precedenti politiche del governo Conte, come evidenziato da Domenico Moro su l'Ordine Nuovo, e che con tutta probabilità saranno ulteriormente implementate dal governo Draghi. 

Il decreto rilancio del giugno scorso identifica ancora una volta nella Cassa Depositi e Prestiti, ossia nella depositaria del risparmio postale degli italiani, lo strumento mediante il quale lo Stato dovrà gestire gli interventi selettivi citati nel rapporto. Questi interventi dovranno avvenire non più mediante l'accesso al credito garantito dallo Stato come accaduto finora, bensì attraverso la partecipazione diretta statale nelle aziende identificate dal decreto come "strategiche" o con "prospettive di reddività". Il nome dell'operazione è Patrimonio Destinato: trattasi di 44 miliardi di euro frutto degli apporti allocati dal Ministero dell'economia che andranno a sostenere le imprese con un fatturato minimo di 50 milioni di euro all'anno, e ogni intervento autorizzato dalla CdP non dovrà essere inferiore a 100 milioni di euro. Trattasi pertanto di paletti estremamente selettivi che escludono la maggior parte delle piccole e medie imprese che si trovano in difficoltà. Queste partecipazioni inoltre non dovranno comportare poteri di controllo in favore della CdP, e quindi dello Stato, limitando quindi il suo ruolo a erogatore del denaro drenato dal pubblico senza alcuna contropartita in termini di gestione aziendale. Infine si stabilisce che l'accesso agli aiuti dovrà rispettare determinati requisiti e una valutazione compiuta dai soggetti individuati nei successivi decreti attuativi. 

E qui si apre un'ulteriore dilemma: chi, e sulla base di quali parametri, dovrà decidere quali sono le imprese meritevoli di essere salvate e quali no? Il rapporto del G-30 suggerisce che questi soggetti siano le banche e gli investitori stessi, in quanto hanno l’expertise per valutare la redditività delle aziende e sicuramente subiscono minori pressioni politiche. Ossia, come sentenzia Moro, senza dover rispondere agli elettori, che ne subiranno le conseguenze. Analizzando lo schema del decreto attuativo all'esame delle Camere, all'art. 26 possiamo infatti leggere

E' questa la logica del debito buono. Se esiste un debito buono, deve esistere anche un debito cattivo, e per i membri del G-30 quest'ultimo è rappresentato dalla liquidità fornita a pioggia dai governi. Un piano che come al solito finge di ignorare che il libero mercato di cui ci si preoccupa tanto di salvaguardare non è affatto equo e prevedibile, è anzi una giungla pericolosissima. Anzitutto le imprese definite in maniera dispregiativa zombie non scompariranno di per sé, ma saranno fagocitate dal sistema bancario nel momento in cui non saranno in grado di ripagare i prestiti ottenuti: questo vuol dire che ci saranno licenziamenti, famiglie rovinate, piccole proprietà espropriate, e lo Stato dovrà comunque sostenere tutto ciò con gli ammortizzatori sociali. Inoltre si ignora, o si finge di ignorare, che l'interruzione della liquidità per le piccole e medie imprese non considerate "redditizie" farà ulteriormente deviare la domanda di denaro dai sistemi legali a quelli criminali, e quindi l'usura praticata dalle mafie. In altri termini siamo dinanzi al pericolo di una spoliazione senza precedenti, forse peggiore di quella praticata ai tempi della bolla immobiliare americana, in cui ci rimetteremo due volte: come parte debole della società e come Paese.

Eppure l'ampio consenso di cui gode il futuro governo Draghi ci restituisce una situazione nella quale non esistono alternative all'ulteriore rapina di risorse pubbliche a cui stiamo per assistere inermi, o almeno non esistono nell'ambito dell'attuale sistema come affermava Giulietto Chiesa. Affermazione elementare la sua, ma proprio per questo terribilmente veritiera. E' tempo di rielaborare un'alternativa socialista a questo sistema dopo trent'anni di prese in giro, dalla "Terza via" al capitalismo dal volto umano. Paccottiglia che è servita (e serve tuttora) solo a gonfiare carriere vergognose.