martedì 15 novembre 2016

Napoli città dell'Accoglienza

Fonte: Lettera43


"Vedere una Napoli così accogliente nei confronti dei migranti che scappano dalle guerre ci rende orgogliosi di essere napoletani". Così dichiarò il sindaco Luigi de Magistris, quando ad ottobre scorso sbarcarono oltre cento minori stranieri non accompagnati e furono accolti da un grande slancio di generosità da parte dei cittadini, che letteralmente "inondarono" di beni il centro di accoglienza di Marechiaro.

Se la Napoli "del popolo" è una Napoli accogliente, non altrettanto si può dire della Napoli "istituzionale", quella composta dai servizi che gli organi istituzionali devono erogare presso i cittadini più bisognosi (specie con gli ultimi tagli al Welfare).

Ed è soprattutto nelle assemblee dei movimenti e dei gruppi che svolgono volontariato presso gli ultimi della nostra città, che il dibattito sull'accoglienza si sviluppa e nascono le idee.

Io e Fabio abbiamo provato a sintetizzare alcune di queste (e altre) idee in una bozza di mozione consiliare per la città di Napoli, concernente la tematica dell'accoglienza nella sua accezione più ampia, ed è una proposta che avanziamo a tutte le forze politiche che si dicono in prima linea nel campo del supporto agli ultimi della società, senza alcun pregiudizio ideologico e/o culturale, né di razza o religione, né di lingua, sesso o di nazionalità.

Consideratelo una sorta di canovaccio.


martedì 18 ottobre 2016

  SCHIAVI 2.0    - Il Centro di Accoglienza

Foto di Fabio D'Auria
Le otto ragazze nigeriane ospitate dal centro di accoglienza sono sedute sul divano della camera di ingresso. Sono arrabbiate e iniziano a raccontare la loro storia. Non hanno documenti di identità né l'assistenza sanitaria, nonostante si trovino in Italia da 3 mesi. Una di loro è incinta e non è mai andata in ospedale. Ad ascoltarle c'è il gestore, un ragazzone robusto alto quasi due metri, appassionato di boxe e arti marziali, a giudicare dal suo profilo Facebook. Improvvisamente l'uomo perde la pazienza e inizia ad inveire violentemente nei confronti di una di loro: "'Mò basta, stai dicendo un sacco di bugie! Mò m'e rutt 'o cazzE fà 'o cess 'e capit? Fà 'o cess!". I toni si surriscaldano. Una delle ragazze si alza e afferra una busta della spesa con della frutta dentro, la getta per terra e grida in inglese: "Questo l'ho comprato col mio pocket money (2,50 € al giorno, ndr), non ci danno cibo e dobbiamo vedercela da soli, è normale questo?". Si chiama Fatima (i nomi sono di fantasia), è magrolina, ha la pelle segnata da ferite da taglio e macchioline nere.
Alla discussione si aggiunge anche la madre del gestore, una donna sui sessant'anni: "Sta busciarda zozzosa, l'avimme data sempe a magnà e si lamenta pure! Da quando ce stanno chesti ttre, 'e vvedite, amm passat'e guaje! 'E francesi steveno sempe accussì quiete!".

E' questa la vita quotidiana in uno dei tanti Centri di Accoglienza Straordinari (CAS) della provincia di Napoli, dove cooperative improvvisate stanno continuando a macinare milioni sulla pelle dei migranti. Questo è un centro particolare, potremmo dire "a conduzione familiare", in cui i due proprietari, madre e figlio, hanno messo a disposizione di una cooperativa parte del loro appartamento, ospitandovi ben 11 migranti (8 donne, 2 uomini e un minorenne di 14 anni) in sessanta metri quadri. Il clima di sottomissione dovuto alla convivenza forzata è rinchiuso nelle quattro mura di una anonima casa, lontano dagli occhi indiscreti di cittadini e associazioni.

Una donna nigeriana assiste in disparte. Si chiama Terry e zoppica vistosamente, ha una caviglia gonfia. Con un gesto delle mani mima l'infortunio che si è procurata: "Mi sono fratturata durante il viaggio in Libia, l'osso mi era uscito di fuori e si è ricomposto da solo. Sono in Italia da tre mesi, ma finora nessuno mi ha portato in ospedale". Poche ore prima era in strada a chiedere l'elemosina insieme ad altre ragazze del centro. "Con il solo pocket money non ce la facciamo. Le scarpe e i vestiti sono gli stessi da quando siamo sbarcate a Lampedusa". La cooperativa dovrebbe assicurare uno stock di abiti e operatori qualificati, ma i diritti sono roba per anime belle.

Il ragazzino di 14 anni è ivoriano, ha le cuffiette nelle orecchie e non spiaccica una parola. Gli chiediamo se frequenta la scuola, ma subito si intromette il gestore: "Certo che va a scuola, comincia domani!". Il ragazzino lo guarda interdetto e con la testa accenna un "no". "Comme! 'A scola ccà vicino, inizi lunedì". Il giorno cambia, il ragazzino annuisce e si rinchiude nel suo silenzio. La mamma è vicino a lui, ma non sembra interessarsi della condizione depressiva del figlio.

L'impressione è che le difficili condizioni di vita abbiano fatto saltare tutti i punti di riferimento per chi ha sfidato più volte la morte per arrivare in Italia. Eppure la situazione di questo centro non è di certo tra le peggiori...

Fine Prima Parte

venerdì 7 ottobre 2016

La Natura Anarchica del Potere


In alcune interviste di Pier Paolo Pasolini che è possibile rintracciare su Youtube, il poeta e regista torna a soffermarsi sulla questione del Potere, un argomento che ricorre spesso nei suoi romanzi e in generale nella sua poetica. In particolare, egli afferma:


Affermare che il Potere è anarchico per definizione, vuol dire che esso non può essere codificato, ossia sottoposto a norme che ne regolamentano preventivamente la portata e le modalità di esercizio, e dunque lo limitano. Qualora vi fosse uno statuto, un codice o un regolamento, non potremmo più parlare di potere nel vero senso della parola, bensì di qualcos'altro, poiché il Potere non può essere regolamentato e non può avere limiti secondo la definizione data da Pasolini.

Proviamo ora ad analizzare le implicazioni che un'affermazione del genere comporta.

Ipotizziamo l'esistenza di una comunità di individui in cui non vi sono apparati coercitivi e vige un ordine naturale tra gli uomini che può fare a meno di regole scritte. In questa condizione il Potere è distribuito presso tutti i membri, in quanto una comunità siffatta è anarchica in assenza di apparati coercitivi che la dominano. Il Potere può qui definirsi propriamente "del popolo".

Se invece analizziamo la nostra società attuale, fondata su regole scritte e su una struttura fortemente gerarchizzata, sperimentiamo come il Potere non sia distribuito ugualmente presso tutti, ma risieda in un vertice che siamo soliti raffigurare alla sommità di una piramide sociale, e può di volta in volta corrispondere con uno o più enti o soggetti differenti a seconda dell'immaginario collettivo e delle fasi storiche. Tuttavia i "poteri" da noi conosciuti sono solo quelli visibili, e i poteri visibili sono tutti regolamentati sulla base di un principio giuridico per cui "ogni potere deve essere a sua volta limitato". Ad esempio, un potere come la Corte costituzionale può sindacare le leggi approvate da un altro potere, il Parlamento, soltanto se violano le disposizioni costituzionali, per cui:

a) Potere del Parlamento limitato dall'istituzione della Corte costituzionale;
b) Potere della Corte costituzionale limitato dalla norma che vieta di sindacare ogni legge approvata dal Parlamento, ma solo quelle in apparente contrasto con la Costituzione.

Il potere visibile per eccellenza è quello dello Stato. Il potere statuale è limitato da numerose norme volte a tutelare i cittadini dagli abusi degli apparati coercitivi. Gli organismi che siamo soliti identificare come "poteri", ad esempio una grossa azienda dell'industria alimentare o un consesso scientifico composto dai vertici di alcune università, sono tutti sottoposti a norme volte a regolamentarne il potere. La stessa massoneria, la quale viene identificata (spesso non a torto) come uno dei poteri occulti più forti nel nostro Paese, è dotata di un codice volto a regolamentare le procedure iniziatiche dei membri e la loro azione nei confronti dei cd. pagani (qui quello del Grande Oriente d'Italia), e comunque sottoposta a limitazioni dalla legge Anselmi.

Tale quadro ci conduce a due considerazioni:

- E' logico supporre che chi vuole detenere un Potere assoluto, non ammetta di essere sottoposto ad alcuna limitazione. Da qui la natura necessariamente anarchica del Potere, ossia non limitata da alcuna forza esterna o interna formale.

- La nostra non è una società anarchica, esistono gerarchie e stratificazione sociale. Però ci viene detto che ogni potere, per esistere legalmente e legittimamente, deve essere necessariamente limitato.

Ora, la contraddizione ci sembra evidente. Una società gerarchica presuppone il Potere, e questo Potere non è distribuito presso tutti i membri ma solo presso alcuni. Se esso ha natura anarchica, l'ordinamento giuridico obbligando ogni organismo o gruppo d'interesse a essere sottoposto a norme, di fatto lo delegittima. Ma se la società è gerarchica esso deve esistere necessariamente, e per non essere limitato deve essere svincolato dalle norme, e per essere svincolato dalle norme non deve essere visibile, bensì necessariamente occulto.

Il chi, il dove e il come intorno al Potere sono domande che esulano dal tema stringente di questo post e che lascio alla libera ricerca e ragionamento di ognuno.

lunedì 19 settembre 2016

Mondo di Mezzo Partenopeo


Il centro commerciale di Zumpano, alle porte di Cosenza, è il simbolo dell'inchiesta che due giorni fa ha portato al fermo di nove persone indiziate per concorso esterno in associazione camorristica, reimpiego di capitali illeciti e intestazione fittizia di beni. Tra gli arrestati spicca il nome di Carlo Simeoli, imprenditore edile accusato di aver riciclato denaro per conto del clan Polverino. In un filone d'inchiesta precedente, allo stesso imprenditore fu sequestrato un parcheggio di 120 box auto a via Aniello Falcone, a Napoli, i cui lavori furono inaugurati in pompa magna dai vertici delle istituzioni cittadine e dal simbolo della lotta antiracket Tano Grasso, nella cui associazione sarebbe stato iscritto lo stesso Carlo Simeoli (secondo quanto dichiarato da alcuni indagati). Il valore dei sequestri eseguiti dalla Guardia di Finanzia si aggirava intorno al miliardo di euro.


Carlo Simeoli
Di queste vicende me ne occupai già un tre anni fa, quando scrissi questa inchiesta sui parcheggi per conto di AgoraVox. Da quella emerse come la variante al Piano regolatore di Napoli approvata nel 2004, contenesse una disciplina urbanistica fortemente speculativa in materia di attrezzature pubbliche (tra cui i parcheggi), un affare su cui subito si gettarono imprenditori legati a doppio filo con la politica e, in certi casi, con la camorra (come è stato poi confermato dalle inchieste giudiziarie). Disciplina che il Comune si appresta oggi ad estendere anche all'area occidentale della città, con una nuova variante sulle attrezzature che sostituisce quella del 1998 e apre le porte all'iniziativa dei privati, rischiando di creare ulteriore speculazione in un'area già infiammata dallo scontro in atto sul commissariamento di Bagnoli da parte del Governo.

Il generale Giuseppe Mango
In realtà l'intreccio è ben più complesso rispetto a quanto emerso dagli organi di stampa e si perde nei meandri di quel "mondo di mezzo" che da Mafia Capitale in poi ha sostituito con una velatura di noir in piú quella banale "fascia grigia" in cui gravitano i cd. colletti bianchi. La Procura ha infatti iscritto nel registro degli indagati il generale della GdF Giuseppe Mango, il quale avrebbe rivelato notizie relative alle indagini ad un amico avvocato, tal Roberto Guida, noto in città per essere il difensore di Fabio Cannavaro nei processi relativi al presunto riciclaggio di denaro sporco del clan Lo Russo in alcune società partecipate dallo stesso (in cui l'ex calciatore è stato ascoltato come teste e non risulta coinvolto) e alla violazione dei sigilli apposti alla villa dei fratelli Cannavaro per abuso edilizio (per cui Fabio è stato condannato a 10 mesi di reclusione insieme ad alcuni familiari). Proprio nell'inchiesta è coinvolto anche Giovanni De Vito, ex commercialista di Cannavaro e di altri personaggi famosi, nonché Roberto Imperatrice, imprenditore nel campo della ristorazione, già amministratore delegato della Sebeto SpA, la holding che controlla importanti marchi internazionali tra cui Rossopomodoro e Anema e Cozze (estranei alle indagini).

Raffaele Iovine (a destra)
Agli arresti domiciliari è finito anche Raffaele Iovine, imprenditore e docente universitario di Storia e letteratura presso l'Istituto Studi Filosofici, il quale secondo l'accusa avrebbe utilizzato le proprie conoscenze nelle istituzioni per "ripulire" l'immagine della Belvedere Immobiliare (la società proprietaria dei box auto al Vomero) dai sospetti di infiltrazioni camorristiche. Iovine è titolare di una serie di strutture ricettive tra cui l'hotel Neapolis nel centro storico, ed è entrato nel mirino dei centri sociali napoletani da quando la confraternita dei Servi di Gesù aveva manifestato l'intenzione di cedergli in fitto uno stabile in piazza Miraglia per realizzarvi un B&B, operazione commerciale poi stoppata dall'occupazione dell'edificio a marzo scorso da parte di un gruppo di famiglie insieme agli attivisti della campagna "Magnammece 'o pesone". Iovine è anche presidente dell'associazione Pietrasanta Polo Culturale che gestisce in comodato d'uso la chiesa di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, da cui nel 2011 fu lanciata una giornata "antiracket" a cui partecipò proprio Iovine insieme a Tano Grasso e all'allora sottosegretario agli interni Mantovano. A giugno 2015 Iovine finì ai domiciliari insieme ai De Vita per essere stato referente di un presunto giro di fatture false che portarono all'arresto dell'ex sindaco di Casavatore e all'iscrizione dei parlamentari Marco Pugliese e Antonio Milo nel registro degli indagati.
 
Lo stabile occupato di piazza Miraglia
Un quadro dal quale si evince come, se è vero che gli aspetti penali sono tutti da verificare, le relazioni si muovano in una realtà liquida dove è impossibile scindere lecito e illecito, in cui l'ordinamento non riesce a fare prevenzione ma interviene solo con la repressione, spesso in maniera inefficiente e a danno già fatto, quando l'ambiente sociale è pesantemente compromesso. Questo caleidoscopico mondo di mezzo partenopeo è la rappresentazione dell'inattualità delle parole del cardinale Crescenzio Sepe, che stamattina in occasione del miracolo di San Gennaro ha tuonato "contro la malattia purulente della criminalità organizzata", come se il fenomeno criminale camorristico fosse un tumore a sé confinato nelle zone contese dai clan e dai loro colletti bianchi di riferimento, e non il manifestarsi di una rete di relazioni che si ramifica in ogni grado della scala sociale, incentivate dall'enorme disponibilità di capitali che vengono immessi dai gruppi criminali.

Occorre quindi una nuova narrazione dei fatti che consenta di cogliere i dettagli e le sfumature di un fenomeno criminale in costante evoluzione che ormai è pienamente inserito nella vita economica, sociale e politica di tutti i giorni.

sabato 3 settembre 2016

Gli Amici di Partito

Funerali di Aldo Moro

Chiunque partecipi alla vita di una forza politica di tipo istituzionale (ossia che partecipa alle elezioni), si sentirà spesso appellare sé stesso o gli altri come "amico". "Stasera è con noi l'amico Osvaldo", "passo la parola all'amico Leonardo", e così via.

L'elargizione di tale parolina è spesso un riflesso incondizionato, soprattutto da parte di chi ha un'esperienza politica piuttosto consolidata, ma altre volte denota un atteggiamento che nasconde la volontà di comprare la fiducia del prossimo. Un partito, o anche un movimento politico, è un luogo in cui l'individuo viene a contatto con una realtà che altrimenti gli sarebbe sconosciuta, sviluppa una rete di relazioni che può consentirgli di costruire rapporti di potere tali da portarlo alla massima soglia in base alla forza del partito e del proprio carisma.

Ovviamente la scalata al potere non è indenne da imprevisti, il calcolo errato è sempre dietro l'angolo, dunque occorre avere un buon numero di "amici" in grado di soccorrere nel momento del bisogno in cambio di qualcosa.

Il partito è anche quel luogo dove siete costretti a condividere un percorso comune anche con persone con cui avete rotto ogni tipo di rapporto. E questo può rappresentare un problema, se avete intenzione di arrivare in alto.

Qualora vi trovaste in una situazione di difficoltà durante un incarico pubblico, state certi che qualche amico di partito cercherà di avere la vostra testa, mentre vi difende pubblicamente. La Storia insegna che le vicende politiche possono condurre gli individui a desiderare l'eliminazione finanche fisica di un collega di partito scomodo. Ovviamente nessuno dirà pubblicamente "io voglio la tua rovina" o addirittura "io voglio la tua morte", ma in cuor proprio questo desiderio può albergare.

Da ciò ne deriva che un avversario politico non ha bisogno di infiltrare i ranghi del partito avverso, egli è consapevole che la scalata al potere genera una moltitudine di persone insoddisfatte pronte a sbranare i vertici non appena questi si saranno indeboliti, dando vita a faide interne. I vertici sono a loro volta consapevoli che i nemici più agguerriti non sono i propri avversari politici, bensì gli amici di partito "ribelli", tra i quali si trova chi dissente per coscienza e chi perché non ha avuto nulla in cambio. Tuttavia nel secondo caso il dissenso è merce perché può essere comprato, nel primo caso non lo è, ed è dunque più pericoloso, specie se acquisisce autorevolezza. Per questo i vertici adottano una serie di contromisure atte a minimizzare i rischi, dalla distribuzione di prebende all'affidamento di ruoli di comando a uomini fidati, fino a ricorrere al depotenziamento della base laddove necessario. Questo è uno dei motivi per cui nei partiti politici si produce da un lato il noto fenomeno dello scollamento tra base e vertice, dall'altro si genera la corruzione elevata a strumento di governo, come ho spiegato in quest'altro articolo.

Insomma il partito è quel luogo dove bisogna essere in grado di percepire i disegni che gli amici costruiscono per le motivazioni più disparate. I leader crollano perché non hanno più il sostegno dei propri amici di partito. In effetti gli amici di partito sono più una iattura che una risorsa, in maniera direttamente proporzionale al ruolo di potere conseguito. Ma la politica è partecipazione, quindi amen.

Pertanto, quando vi appelleranno col termine di "amico", drizzate le antenne.

lunedì 20 giugno 2016

Stato e Terzo Settore all'epoca dell'Austerity


Il richiamo continuo alla sfera dell'Etica e della Morale diventa spesso un modo per far accettare ai cittadini misure impopolari che altrimenti non riuscirebbero a riscuotere, se non un consenso aperto, almeno una acquiescenza silenziosa, in una rievocazione delle idee vittoriane di parsimonia che servivano ad ammantare di moralità lo sfruttamento che la classe dominante esercitava nei confronti delle masse operaie durante la rivoluzione industriale inglese.

Questo richiamo di parsimonia (anzi di "austerità") che avviene oggi, diventa ancor più irritante quando appare chiaro a tutti che il sistema produttivo è ormai in grado di assicurare il benessere collettivo. Eppure, nella visione che teorizza la scarsità del Capitale come presupposto della crescita, le norme approvate servono a smantellare il Welfare, ossia la ragione principale per cui si dovrebbe giustificare l'esistenza di uno Stato.

In funzione di questa ideologia, il 18 giugno è stata pubblicata in G.U. la Riforma del Terzo Settore. Si tratta di una legge delega, a cui seguiranno i decreti attuativi del governo.

La riforma mira ad un riordino complessivo della materia nel settore no-profit in funzione di una sua maggiore stabilizzazione, tanto da prevedere una serie di misure di interventismo statale con l'istituzione di un Fondo rotativo presso il MISE e della fondazione Italia Sociale, un ente privato a capitale pubblico che avrà lo scopo di sostenere le nuove imprese sociali mediante l’apporto di risorse finanziarie e di competenze gestionali con cui puntare alla realizzazione e allo sviluppo di interventi innovativi da parte di enti del Terzo settore (art.10). La fondazione è stata ribattezzata "l'IRI del sociale", quasi a sottolineare come la funzione dello Stato di pianificatore pubblico in realtà non sia mai venuta meno, ma abbia semplicemente deviato il proprio obiettivo a favore della progressiva privatizzazione dei servizi pubblici. La legge infatti accentua il ruolo dei privati nell'erogazione di servizi con la previsione di forme di remunerazione del capitale sociale che assicurino la prevalente destinazione degli utili al conseguimento dell’oggetto sociale (art. 6). 

Il disegno dietro alla riforma é quello di sostituire l'elemento della spontaneità insito nel volontariato con quello della stabilità, così da conferire maggiore incidenza ad un mercato che in Italia vede già operanti 300mila enti no-profit per un giro di 64 miliardi di euro, pari al 4,3% del PIL (dati Istat, 2011). Un mercato dell'imprenditoria sociale in grado di fornire un'offerta adeguata alla domanda sempre crescente di persone sofferenti a causa delle politiche di austerity. Con buona pace dello Stato sociale.

Sia chiaro, non si vuole qui denigrare il volontariato come sincera dedizione verso i più deboli né l'apporto dei migliaia di operatori che sopperiscono all'assenza (voluta) degli enti pubblici. Ma il volontariato è uno strumento che serve ad affrontare le conseguenze e non a curare le cause (che è il compito della Politica), il suo è un campo d'azione limitato a risolvere le incombenze più urgenti della vasta categoria dei soggetti spoliati dal Sistema (senzatetto, migranti, minori senza accompagnamento, vittime di tratta ecc.). Il disegno del legislatore è quello di sopperire al programmato svuotamento dello Stato sociale mediante la legittimazione dell'attività privata nell'erogazione dei servizi sociali, cosa che (ribadiamo) deve invece essere la funzione primaria dello Stato. Altrimenti cui prodest la sua stessa esistenza se ridotto a esattore di tasse e strumento di repressione, e soprattutto cui prodest una Politica che non è affermazione di diritti e giustizia sociale?

sabato 18 giugno 2016

La Rivoluzione Culturale e il Potere




Qualcuno tende a derubricare il concetto della lotta di classe come un vecchio reperto archeologico, forse un po’ ingombrante, roba da marxisti-leninisti della prima ora, i quali, rinchiusi in polverosi scantinati, sognano il ritorno di bandiera rossa nelle piazze della grande Madre Russia.
 
Oggi pertanto è divenuto tabù rievocare i concetti di lotta e di coscienza di classe, anche perché l’esperienza storica sembra aver condannato per sempre l’alternativa socialista al capitalismo, col sollievo di tanti in Occidente, perché quelle idee rischiavano seriamente di affermarsi dall’interno nei Paesi satelliti degli USA, minando le basi della politica imperialista americana.
Il crollo del Muro di Berlino e l’avvento del Terzo Millennio ci hanno restituito una società che è cambiata solo all’apparenza, perché le dinamiche dello sfruttamento non sono venute meno, essendosi adattate ai nuovi tempi e al nuovo linguaggio (Spending Review, Jobs Act, bellezza@governo.it). Eppure sono tante le idee di rinnovamento e di “rivoluzione culturale” che fermentano in determinate partizioni della struttura sociale, che provano ad acquistare una certa autorevolezza ai tanti contenitori dello scenario politico, ossia partiti e movimenti istituzionali.
Il problema tuttavia non è la mancanza di idee o di proposte da parte della cittadinanza: dall’economia circolare alla sperimentazione di tecniche di recupero dei rifiuti che li identifichino come risorsa, agli entusiasti sognatori della società a misura d’uomo sfugge sempre un dato di fondo: tali idee, per diventare patrimonio comune, devono attraversare il filtro ideologico, economico, giuridico e culturale costruito dalla classe dominante. Ossia, devono ricevere il bollino del Potere, affinché non diventino “armi” che possano mettere in discussione la posizione di dominio di quella che una volta veniva chiamata la “borghesia”.
Il primo ostacolo è di tipo economico: un’idea innovativa dev’essere profittabile. La profittabilità è la regola aurea di un sistema fondato sulla logica del Capitale. Un’idea, per funzionare regolarmente in questo sistema, deve produrre un profitto. Ciò vuol dire che è fondamentale sfruttare a proprio vantaggio i mezzi necessari a mettere a compimento quell’idea. Che si tratti della “giusta remunerazione dovuta all’impiego del capitale nella produzione” (secondo gli economisti della scuola neoclassica) o dell’”ingiusto sfruttamento della classe lavoratrice da parte dei proprietari dei mezzi di produzione” (secondo gli economisti di scuola marxista), il bisogno del profitto condiziona a monte qualsiasi buona idea, e se questa funzionerà anche nel lungo periodo, si dovrà ricorrere alla produzione di massa (che è quella che abbatte i costi e massimizza il profitto), ossia quella dove operano solo grandi aziende e multinazionali.
Il secondo ostacolo è di tipo culturale e ideologico: chi controlla i gangli vitali della società, in particolare le università e in generale i centri di produzione della cultura, è preposto al vaglio delle idee sulla base dei parametri della propria classe di riferimento. E oggi l’unica classe ad avere una forte coscienza di sé è proprio quella dominante: la quotidianità pullula di convegni accademici, seminari, tavole rotonde, dove v’è perlopiù l’esaltazione dell’autoreferenzialità consapevole. Cerchie ristrette in cui si discute del mondo che verrà, perché sia in questi consessi che in quelli riservati delle grandi aziende e dei cd. think-tank, l’obiettivo non è la produzione della cultura futura (come dicono ipocritamente i loro artefici) ma la produzione dei parametri culturali, ideologici e linguistici, affinché le nuove idee vengano assorbite e diventino ancora strumento di autoconservazione della classe dominante. Si tratta di una sorta di barriere all’ingresso. Nessuna valevole idea diventa patrimonio comune (leggi: non si afferma nel mondo e nel linguaggio dei mass media), se non segue le convenzioni e le “procedure” culturali di quella sterminata pletora di accademici, rettori, docenti e consulenti che sono portatori di interessi di partiti politici, grandi aziende, gruppi di pressione ecc; insomma interessi del cosmo borghese e non del popolo.
Il terzo ostacolo è di tipo giuridico: la forza offerta dall’autorità statuale è piegata agli interessi della classe dominante. Quindi gli uffici che siamo costretti a bussare e le procedure che siamo obbligati a rispettare non sono un destino ineluttabile, ma l’applicazione pratica dell’ideologia di chi è al Potere. Non serve qui dare grandi esempi per chiarire il meccanismo: la burocrazia (insieme ai rapporti di lavoro) è uno degli elementi della quotidianità attraverso il quale la maggioranza delle persone si rende conto che esiste un Potere contro cui ci si scontra, perché è tramite l’apparato repressivo e burocratico che il Re è nudo, nella sua manifesta coercizione, svestito del paravento dell’approvazione democratica e dello sfruttamento buono delle idee in nome dello status quo di chi domina.
Ed è così che le idee diventano strumenti di dominio, invece che di libertà.
Ciò non vuol dire di certo che bisogna spegnere il cervello e ritornare a strisciare lungo il bagnasciuga dei nostri (inquinati) mari come i nostri avi del Cambriano, ma bisogna essere consapevoli che, a certi livelli e nell’attuale sistema, è quasi impossibile che una buona idea non venga manipolata, se è in grado di mettere in discussione gli assetti del potere, della distribuzione dei redditi.

venerdì 11 marzo 2016

Il Gioco dei Potenti tra Libia e Primarie Pd


La Storia insegna che la Politica è anzitutto l'arte del Dominio. Oggi la Politica è soprattutto Informazione, ma anche l'Informazione è Politica, quindi l'Informazione è Dominio. Se assumiamo ciò, possiamo leggere gli ultimi avvenimenti di politica estera e interna sotto una luce diversa, senza avere la presunzione di fornire una versione perfettamente aderente alla realtà, ma verosimile.


Domenica scorsa Renzi si reca da Barbara D'Urso per spiegare agli italiani i successi del suo governo e gli impegni per il futuro. L'intervista dura circa un'ora senza nessuna vera difficoltà per il premier. Un selfie tra i due chiude una memorabile giornata.


Di quella intervista i giornali estrapoleranno una frase tra le tante: "Non invaderemo la Libia". Ed era in effetti ciò che Renzi (o chi per lui) si era prefissato, non per calcolo di convenienza, ma perché si trattava di un passaggio inevitabile dopo l'uccisione dei due connazionali rapiti in Libia. La scelta di recarsi nel salotto tv più soft del già soft panorama giornalistico italiano, presso l'amico Confalonieri, ha quindi consentito al premier di tranquillizzare il pubblico di massa contrario alla guerra (a breve si voteranno referendum e amministrative) e relegare la scabrosa vicenda degli ostaggi ad un pubblico più ristretto. Un "niet" utile anche per tenere tranquillo il governo islamista di Tripoli in rapporti economici con Roma, tanto da essere risultato decisivo nella nomina del collegio sindacale di Finmeccanica voluto dal Ministero dell'Economia (fonte: l'Espresso).

L'ambasciatore John R. Phillips
Le parole di Renzi hanno però clamorosamente smentito quanto dichiarato pochi giorni prima dall'ambasciatore americano a Roma, il quale in un'intervista al Corriere aveva confermato l'impegno militare italiano in Libia, snocciolando addirittura le cifre di questo impegno, pari a cinquemila soldati. Sebbene la promessa politica di un premier sotto pressione vale quanto il due di picche, tuttavia chi ha interesse a scaricare all'Italia la guida della missione occidentale in Libia (e quindi a marchiarci con le stimmate della colpa agli occhi del mondo islamico) non avrà gradito questa mossa. Pertanto era facile attendersi la reazione contro una classe dirigente burbera ma complessivamente ossequiosa alle volontà delle èlite euro-atlantiche.

Valeria Valente
L'occasione è rappresentata dalle primarie del PD. Fanpage rivela il mercimonio del voto a Napoli, in particolare a favore della candidata renziana Valeria Valente: una pratica illecita ma frequente, che passa spesso sotto silenzio (si vedano le elezioni regionali 2015 in Campania), ma che ora diventa utile per essere utilizzata come ritorsione mediatica nei confronti del presidente del consiglio. Come spesso accade in questi casi, il merito di tanto clamore è dovuto ad una velina dell'ANSA uscita proprio il giorno dopo le dichiarazioni di Renzi. L'agenzia rilancia il video di Fanpage, guadagnandosi le prime pagine delle testate online più importanti. E' il caos. Voci di dissenso sorgono sia dalle opposizioni che dalla maggioranza, la magistratura apre un'inchiesta, il PD si spacca, D'Alema risorge dalle ceneri e lo scandalo politico si allarga.

Le voci del dissenso provenienti dal partito di governo vengono amplificate dalla stampa secondo uno schema consolidato: colpire il premier senza dar risalto alle opposizioni parlamentari. Il PD rimane pur sempre il Partito della Nazione attualmente garante degli interessi sovranazionali di stampo euro-atlantico, pertanto il dissenso interno va valorizzato in misura maggiore rispetto al dissenso esterno dei partiti di minoranza.

Questa lettura ci consente di portare alla luce una trama di potere da cui emerge la profonda crisi di sovranità dell'Italia e l'inconsistenza della sua classe politica, preda del ricatto basato sul metodo corruttivo "legalizzato" (ne avevamo parlato qui). Non si tratta di essere complottisti, ma di essere consapevoli che in Italia (e non solo) esiste una lotta tra poteri su cui "vigila" un potere sovranazionale che identifichiamo sommariamente come élite euro-atlantica, pronta a muovere le sue pedine all'interno delle istituzioni più importanti del Paese: banche, partiti, giornali, apparati dello Stato.

Negare tout court l'intervento di tali poteri esterni ed occulti, a nostro avviso vuol dire ignorare la Storia. E se la Storia ci insegna che la Politica è soprattutto Dominio, i fatti politici così interpretati ci dimostrano che a dominarci oggi sono le élite dominanti dei Paesi stranieri, con l'acquiescenza della classe dirigente italiana.

lunedì 7 marzo 2016

Libia, alcune considerazioni


Era il 19 febbraio scorso quando su Sabratha, città libica al confine con la Tunisia, caddero le bombe dei caccia statunitensi. L'obiettivo dell'attacco era Noureddine Chouchane, capo di una cellula dell'Isis, ritenuto la mente degli attentati a Tunisi che costarono la vita a decine di turisti occidentali, tra cui quattro italiani. Il raid Usa provocò 41 vittime.

Sabratha è anche la città dove erano tenuti sotto sequestro i quattro tecnici italiani della Bonatti. È facile ipotizzare che, a seguito di quel raid, vi sia stata un'accelerazione degli eventi che hanno portato alla morte di Salvatore Failla e Fausto Piano. Ed è facile ipotizzare che le trattative per la loro liberazione siano divenute a tal punto febbrili da rendere letale qualsiasi imprevisto, come purtroppo si è verificato. Appare infatti strano che né il governo italiano né il governo americano fossero a conoscenza della presenza degli ostaggi in quella zona, cosí come appare strano che l'Italia non abbia mosso riserve nel momento in cui gli americani li avvisavano dell'attacco (La Stampa), in virtù del nostro ruolo di "guida" della missione militare e della decisione di destinare la regione della Tripolitania al controllo italiano, a dimostrazione di come questo ruolo sia più fittizio che altro. Sul fronte interno, invece, la questione degli ostaggi era semplicemente scomparsa dal dibattito parlamentare.

Dinanzi ai dubbi che si trascineranno nei giorni a seguire, Renzi (o chi per lui) ha deciso di anticiparsi, dichiarando da Barbara d'Urso di non voler invadere la Libia (contrariamente a quanto riferito pochi giorni prima dall'ambasciatore americano a Roma). Una mossa che tranquillizza le masse e relega questa vicenda ad un pubblico più ristretto.

Al netto di queste valutazioni, rimane il silenzio di chi se n'è andato. Il nostro pensiero va alle famiglie dei tecnici morti in Libia. 

giovedì 3 marzo 2016

Le false convinzioni dell'AntiCasta

  
"E' sempre quello che non vedi che ti abbatte."  
Maggiore Thomas B. “Tommy” McGuire 


Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un forte sentimento di repulsione nei confronti delle classi politiche nazionali, in particolar modo in Italia. Tale sentimento si è tradotto in un rifiuto generalizzato della "Casta", percepita come sprecona e corrotta, dedita al saccheggio delle risorse economiche e alla tutela del proprio tornaconto. Una visione che senza dubbio è aderente alla realtà, ma che genera nelle masse popolari due false convinzioni:

a) La classe politica è ignorante e strafalciona
b) La corruzione è solo quella illegale ed è fine a sé stessa

Quanto alla prima convinzione, la rappresentazione macchiettistica che i media danno dei politici ingenera nelle menti di chi ascolta la convinzione che il politico sia una persona meschina e menefreghista. Questo giudizio può essere corretto nei confronti di singoli personaggi del panorama politico, tuttavia la sua generalizzazione comporta una pericolosa sottovalutazione che ci allontana dal comprendere i fini dell'agire politico. Non ci dimentichiamo che se la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, viceversa anche la Politica (con la "P" maiuscola) "è la continuazione della guerra con altri mezzi", e pertanto assume una dimensione di azione, pensiero e strategia propria della cultura militare. In questo campo la vittoria si ottiene con la capacità di reperire le informazioni e anticipare le mosse dell'avversario, ambiti in cui le élite politiche (ma anche finanziarie, religiose ecc.) spadroneggiano grazie all'enorme disponibilità di risorse. E per un politico che voglia dominare, non c'è niente di meglio che essere sottovalutato.

La seconda convinzione è tipicamente italiana e nasce dalla percezione di vivere in un Paese profondamente corrotto (e lo è senza dubbio). Ma esaurire il discorso intorno alla corruzione sul piano morale, etico o addirittura culturale ("l'italiano è imbroglione") ci allontana dalla sua vera funzione. Esiste una corruzione illegale fatta di ruberie, abusi di potere e tangenti, ma esiste anche una corruzione "legale", ossia basata sul do ut des: farai la bella vita se mi voti le leggi in Parlamento, avrai una carriera brillante se esegui le mie direttive sul piano internazionale, etc. La Corruzione (anche questa con la "C" maiuscola) è uno strumento che lega la classe politica ai desideri di una élite dominante. Sotto questo punto di vista, il fenomeno corruttivo non si pone come una distorsione da correggere (vedi il pacchetto di norme anticorruzione, la riforma dell'ANAC con la nomina di Raffaele Cantone, ecc.), bensì come un elemento imprescindibile del sistema di potere in cui tutti siamo immersi. E in Italia il sistema di potere vuol dire soprattutto acquiescenza agli organismi sovranazionali (es. NATO) e alle potenze straniere (USA in primis).

 Ecco perché si rende necessario considerare sotto una luce diversa le dinamiche che accompagnano il fenomeno politico in Italia e all'Estero, al fine di non cadere nei loro stessi tranelli.

mercoledì 2 marzo 2016

  SCHIAVI 2.0    - La Rubrica



Non siamo oggi più civili di ieri. Semplicemente le scoperte tecnologiche ci hanno fornito gli strumenti per la nostra autodistruzione definitiva.


Le migrazioni sono un fenomeno antico della storia: è così che l'umanità ha iniziato il proprio cammino, sia metaforicamente che fisicamente. In tempi sempre più recenti il fenomeno migratorio ha rappresentato la valvola di sfogo attraverso cui i governi si liberano della propria forza lavoro disoccupata (destinata altrimenti a destabilizzare l'ordine pubblico), nonché un importante strumento di ricchezza economica nel momento in cui gli emigrati inviano le loro rimesse ai familiari rimasti a casa.

Oggi però le migrazioni assumono un aspetto diverso. La cronaca quotidiana ci racconta della fuga di centinaia di migliaia di persone provenienti dall'Africa e dal Medio Oriente verso il continente europeo. Crisi economica, guerre, carestie, persecuzioni sono alcune delle cause millenarie di ogni popolo in fuga. Un rapporto di causa-effetto che in passato poteva collegarsi ai fenomeni naturali, ma che oggi, in una società complessa e tecnologicamente avanzata come la nostra, è il frutto di deliberate scelte politiche, non si sa quanto e come ponderate. 

Questa rubrica nasce con l'intento di fornire qualche elemento in più al ragionamento critico intorno all'argomento, prediligendo l'osservazione diretta e la lettura critica degli scritti in materia.

giovedì 11 febbraio 2016

Dalle Strade si presenta



La Strada non offre soluzioni, pone (banalmente) delle domande. L'esercizio di porre domande è il fondamento della ragione.

La Strada non offre pareri, tutt'al più delle impressioni che possono derivare dall'osservazione della realtà. 

La Strada è il ricettacolo di ogni cosa, sta a chi la vive saper compiere i collegamenti più opportuni.