venerdì 12 gennaio 2018

L'ANGOLO DELLA RETORICA - Sulla Politica e sulle sue Alternative

Cicerone denuncia Catilina - Cesare Maccari (1880)
L'Angolo della Retorica è una piccola rubrica in cui mi lascio andare a disquisizioni di carattere ornamentale. Consapevole del tedio in cui rischio di farvi sbrodolare con mio sommo compiacimento, ne consiglio vivamente la lettura. In questo articolo l'oggetto della discussione si fonda sulla constatazione che per il cittadino comune è pressoché impossibile imprimere una svolta progressista all'esistente senza "scendere in campo", ossia senza gettarsi nell'agone della politica istituzionale, con tutte le conseguenze del caso. Ciò offre l'occasione per porsi un interrogativo alquanto spiazzante che non mancherà di turbare le vostre notti insonni. Per cui vi auguro una "Bonne lecture" (liberamente tradotto da Google Translate, vero caposaldo della età contemporanea).


L’interrogativo circa “la possibilità di incidere in maniera positiva sulle sorti della società in maniera alternativa alla politica” conduce a sua volta ad un’altra molteplicità di interrogativi, che attengono a dare maggiore chiarezza ai termini da me utilizzati per dissipare i dubbi circa la loro vaghezza e ambiguità. Soltanto al termine si potrà dare una risposta che, come tutte le tesi intorno agli studi sociali, rimarrà limitata nella sua soggettività, cioè legata al sottoscritto. 

Per “incidenza positiva” intendiamo la capacità di imprimere una svolta progressista allo sviluppo delle società umane. S’intende quindi progresso come avanzamento delle capacità umane individuali e collettive in grado di migliorare il benessere dei singoli individui e della “polis” intesa come rete relazionale (comunità, paese, città , nazione) in rapporto armonico con l’ambiente naturale che ci circonda.

Per “alternativa alla politica” intendiamo un campo del sapere umano alternativo alla “praxis” - qui intesa come "agire politico" - in grado di dare quella svolta progressista di cui sopra. Si può pensare al campo della letteratura, a quello delle scienze naturali, all’attivismo in campo sociale, alla filosofia. Gli esempi in merito sono notevoli: in effetti non ci rendiamo neanche conto dell’impatto che hanno avuto
le costruzioni filosofiche dei grandi pensatori del passato sul nostro modo di interpretare il mondo. Ad esempio in filosofia del diritto è assodato che l’elaborazione di un diritto autonomo e separato dalla morale e dalla religione sia un prodotto culturale tipico della tradizione occidentale, più precisamente di stampo greco-romano, e deve la sua scoperta soprattutto alle teorizzazioni culturali dei giuristi di epoca romana. 

Qualcuno ci ha provato ad elaborare un pensiero in grado di svincolarsi dall’attività propriamente politica: ad esempio coloro che si richiamano ad un valore di stampo giusnaturalistico come la natura umana o la razionalità speculativa, dove l'uomo deve semplicemente uniformarsi ad un fondamento oggettivo extra-sociale. In alcune di queste letture si rapporta la nascita della politica con l'inizio della guerra tra gruppi umani, e pertanto se ne auspica un superamento, quasi come se l'ambito politico fosse una degenerazione della naturale inclinazione degli uomini a valori esistenti sul piano ontologico.

Tuttavia la proposizione “alternativa alla politica” è di per sé stessa vaga. Alternativa a quale politica? A quale modo di intendere la politica? E’ riferibile ad un’esperienza soggettiva di attività politica, oppure ne esiste una definizione oggettiva? Come si può osservare, la definizione dev’essere ulteriormente approfondita. Sulla base di una ricostruzione storica, “praxis” vuol dire agire politico, agire umano in assenza di un fondamento oggettivo e assoluto a cui rifarsi. In altri termini la politica è sperimentazione, messa in pratica di ideali e interessi che animano il conscio (e l’inconscio) umano, nonché incessante messa in discussione delle premesse e dei risultati. 

Oggigiorno la concezione moderna di politica è legata a quella di democrazia: l’agire politico si concretizza nella deliberazione collettiva delle leggi, ossia dei comandi generali e astratti a cui l’individuo è sottoposto. La mediazione istituzionale del potere incarnato dal popolo sovrano è quindi un postulato necessario dei regimi democratici, al cui modello noi ci rifacciamo. 

La concretezza della vita quotidiana ci offre i risultati di questa costruzione politico-giuridica, o meglio delle implicazioni dovute alla sua crisi. La maggioranza continua ad essere incanalata nell’alveo degli affari privati, in cui le possibilità di porre in essere l’azione politica volta a dare quello sviluppo in senso progressista mettono a repentaglio la sopravvivenza stessa del singolo individuo, proprio perché sottraggono tempo (e quindi “denaro”) a quegli affari privati posti al centro di tutto dalle norme giuridiche.

L’apparato normativo offre i mezzi e gli strumenti attraverso i quali esercitare “legittimamente” l’attività politica, irrigidendo il più possibile quell’attività istituente sottesa nel fondo della società. Se da un lato le conquiste storiche hanno consentito l’avvento degli Stati costituzionali col portato ineludibile di diritti civili, sociali e politici, dall’altro lato l’azione politica a livello istituzionale si concentra nel limitarne sempre più l’ampiezza. La motivazione di ciò risiede nel disegno di privare la moltitudine dei mezzi materiali e intellettivi e nel frammentare la società in mille pezzi per impedirne un’attività istituente di stampo progressista e finanche rivoluzionario.

L’agire politico è oggi sostanzialmente questo: candidarsi in un partito - concorrere alle elezioni - ricoprire una carica pubblica. Al di fuori di questo circuito l’apparato normativo, istituito, esclude qualsiasi ulteriore possibilità, e in effetti non potrebbe essere altrimenti per un potere che vuole perpetuarsi in quanto tale. E’ pur vero che l’esigenza di stabilità delle elaborazioni umane rimane una caratteristica costante degli individui e delle collettività, e tutti quanti noi sperimentiamo lo sgomento di una condizione di vita precaria e instabile su cui oggi si appioppa il sigillo dell’ineluttabilità (ancora una volta, in nome di un fondamento “oggettivo” e "necessario", “razionale” e quasi “trascendentale”). Ma è proprio la ricerca di stabilità, nella sua relatività storica, l’elemento rivoluzionario. L’agire politico dev’essere alternativo al contesto giuridico in cui oggi è incanalato, ed è questa a mio avviso la premessa per qualsiasi sviluppo in senso progressista della società.

Passando sul piano dell’esperienza soggettiva dell’agire politico, è evidente che il suo impatto si lega al livello di potere ricoperto nella società. I paletti della costruzione giuridica non agiscono soltanto a livello di leggi generali, ma anche (e soprattutto) a livello di norme dal sapore particolaristico, così come si concretizzano negli statuti privati e nelle liturgie dei partiti, dove oggi va incanalata la partecipazione politica. Sia chiaro: nessuno nega l’importanza delle garanzie che le norme sono in grado di offrire, soprattutto se espressione di principi superiori. Pur tuttavia l’apparato normativo non offre sufficienti garanzie di democraticità degli statuti privati dei partiti, ed anzi offre un quadro giuridico favorevole all’autoregolamentazione, che non può sfuggire alle logiche di chi quel potere non vuole perdere. Perché il nocciolo della questione risiede in questo: chi comanda un Paese oggi deve anzitutto comandare nel suo partito, e la partecipazione nel partito è quasi completamente lasciata all’autoregolamentazione privata.

Il risultato complessivo è una enorme congerie di paletti che serviranno a scoraggiare l’individuo dalla partecipazione alla vita pubblica, e a screditare il senso stesso della vita attiva, dell’agire politico, in favore degli affari privati. Eppure quell’interrogativo iniziale rimane sempre aperto, perché è insito nella storia delle società umane l’istinto di autoconservazione del potere, e anche la “gabbia normativa” di cui sopra è comunque il frutto dell’attività politica, per quanto elitaria ed esclusiva.

Per questo, più che in una risposta, l’interrogativo culmina in un invito che si situa nel richiamo collettivo alla volontà destrutturante dell’esistente, dove la praxis, la libera sperimentazione politica priva di un modello preliminare di riferimento, rimane lo strumento privilegiato e immanente per mettere in discussione ciò che esiste, l'istituito, al quale affiancare l'insegnamento dei più svariati campi del sapere (morale, filosofia, storia, scienze naturali, economia) per evitare l’autoreferenzialità delle proprie posizioni.

giovedì 11 gennaio 2018

A Chi Non C'è Più


Ci sono luoghi che richiamano alla memoria fatti passati e persone con cui si è camminato insieme per un certo periodo di tempo. Alcune di queste persone purtroppo non ci sono più: parenti, amici o semplici conoscenti con cui avreste voluto stringere un rapporto più stretto. I miei nonni sono quelli che mi mancano di più. Non nascondo che al loro ricordo mi sono fatto dei pianti che a ripensarci me ne vergogno quasi.

Ultimamente mi capitava una cosa. Poco prima della mezzanotte scendevo di casa e mi mettevo a camminare da solo per le strade di Bagnoli. Al centro del quartiere, in uno di questi stradoni che sembrano tutti uguali, c'è una chiesetta con un piccolo convento annesso. La luce dei lampioni rischiara a malapena la facciata e il portoncino di legno scuro. Qualche volta mi sono fermato, altre volte ho proseguito diritto, comunque mi sono trovato spesso a percorrere la stessa strada. Lo facevo perché vi avvertivo un senso di nostalgia, ma non mi ero mai fermato a ragionarci sopra e a capirne il motivo. Finché un giorno sono riuscito a mettere a fuoco la cosa. E allora ho compreso che quella nostalgia era il ricordo di una persona cara, che per un periodo avevo come rimosso dalla mia mente, perché negli ultimi tempi della sua vita avvertivo che i rapporti tra noi si stavano incrinando, come mi stava accadendo con diverse persone.

Nando Pennone è andato via il 4 gennaio 2016, aveva 56 anni. Lavorava come tecnico informatico Enel, era appassionato di tante cose. Tra noi c'erano più di trent'anni di differenza di età, eppure per me era semplice parlare con lui, nonostante la timidezza e la sociopatia che mi hanno sempre contraddistinto fin dalla più tenera infanzia. Qualche volta mi aveva offerto il passaggio in auto a casa, altre volte mi ero recato con lui a qualche assemblea politica. Avvertivo insomma che nel rapportarmi con lui c'era un confine labile tra l'amicizia e la figura paterna. 

Ci candidammo insieme alle elezioni regionali del 2015, entrambi eravamo dello stesso quartiere, pertanto eravamo strategicamente destinati a pestarci i piedi a vicenda, ma non è che ce ne fregasse più di tanto. Candidarmi per me voleva dire avere il privilegio di vivere da dentro dinamiche che per tanto tempo mi erano rimaste oscure. Da quell'esperienza sono uscito scottato, ma molto più consapevole di prima, libero finalmente da quelle lenti ideologiche che deformavano il mio approccio con la realtà. 
Per Nando, quell'esperienza voleva forse essere l'occasione di poter portare le sue conoscenze e intuizioni, specie in materia informatica e di trasporti pubblici, ad un livello dove avrebbero trovato attuazione politica. 
Invero, nessuno di noi due aveva aspirazioni politiche, ed infatti facemmo cilecca: io fui quartultimo, lui finii terzultimo. Pazienza, inutile lamentarsi delle scorrettezze: è un gioco in cui o si è prede o si è predatori, e i vincitori giammai ne riportano vergogna.

Ma è da quel momento in poi che con Nando iniziai a rompere i rapporti. Il motivo di questa rottura era dato dalle diverse prese di posizione tra loro inconciliabili: io, forte della giovane età, non accettavo la continuità del dialogo con persone che si stavano dimostrando incoerenti e finanche compromesse con un sistema che le stava fagocitando; lui, padre di famiglia e con molta più esperienza di vita alle spalle, aveva probabilmente già vissuto quelle dinamiche e accettava di continuarvi a collaborare pur di vedere i suoi progetti di rilancio della città portati in sede politica. In quel periodo (se non erro) scrisse addirittura una proposta di legge avente ad oggetto il superamento del "digital divide" nelle aree depresse del Paese. Non amava farsi nemici e riusciva ad andare d'accordo con tutti (quasi), ma non era per piaggeria o per interesse: era fatto proprio così.

Se ne andò anche a causa della nostra malasanità: non si sentiva bene e si recò all'ospedale San Paolo a Fuorigrotta per farsi fare delle analisi, ma lo fecero attendere per così tanto tempo che ad un certo punto si stufò e se ne ritornò a casa, dove purtroppo il male peggiorò e in breve morì.

Al funerale parteciparono in tanti. Ricordo che per alcuni la sua commemorazione divenne l'occasione per parlare delle imminenti elezioni comunali. Alcuni miei amici rimasero disgustati da quella mancanza di tatto; io sinceramente rimasi indifferente: nel film "Il Divo", Giulio Andreotti (alias Toni Servillo) afferma che nella vita esiste solo la politica, e per alcuni è senza dubbio così. Di certo lo è stato anche per me per un certo periodo di tempo, ed è stato un balsamo per tanti problemi personali e familiari che negli ultimi tempi hanno iniziato improvvisamente a travolgermi.

Nando era insomma una persona molto intelligente e con una forte sensibilità, ma aveva commesso nella sua vita un errore imperdonabile: era un autodidatta. E chi è autodidatta ha un decreto di condanna sul capo, perché considerato fuori dagli schemi, pericoloso, inconciliabile con una società che vuole imporre percorsi predefiniti per affibbiare patenti di degnità

Qui linko un po' delle cose di cui amava trattare. Se davvero di coloro che ci lasciano non rimane nulla fuorché la memoria, ricordarlo vuol dire farlo tornare un po' tra noi.
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Piazza Italia --> Sito web realizzato a fine anni '90. Contiene poesie, visite guidate a Napoli, giochi e tanto altro
DDL n. 1722 --> Disposizioni per la diminuzione del divario digitale e la gestione dei nodi di interconnessione della rete internet
Progetto "Mobilità obliqua" per Napoli --> Progetto di potenziamento del trasporto su ferro e su gomma, inclusivo di una efficientamento dei nodi d'interscambio
Progetto "Mobilità sostenibile" per Napoli --> Programma politico per la mobilità nel Comune di Napoli

martedì 9 gennaio 2018

Perché Menti?

Fra' Dolcino

Caro mio,

Io mi chiedo e mi domando.

Ma cosa ti costa dire la verità?

Perché non prendere atto che la realtà è diversa da ciò che professi, da ciò che scrivi?

Nessuno è infallibile, tutti possiamo sbagliare.

Ma continuare sullo stesso percorso dopo averti ampiamente dimostrato che questa strada non porterà lontano nessuno, se non ad una riconferma di quegli stessi incarichi e di quelle stesse poltrone che sono fonte di sofferenza per tanta gente, è davvero diabolico.

Possibile che le ragioni di un piccolo potere meschino siano tali da riuscirti a tappare la bocca, ed anzi da farti sproloquiare frasi illogiche e prive di fondamento?

Non vedi che il potere ti saggia e ti abbandona non appena vede in te un interlocutore non affidabile? E inaffidabile lo sei non per una presunta "purezza" morale, ma per l'incapacità di accettare fino in fondo le regole di un gioco da cui non riesci a distaccarti, e che altri hanno dimostrato di saper fare molto meglio di te.

E tutta questa sequela di persone che ti circondano e che vedono nella tua riconferma una speranza per occupare quelle poltrone? La loro cortigianeria è ridicola, eppure speravo tanto fossero persone migliori, di valore, meno insulse e meno isteriche, come invece sono stato costretto a constatare con una dose non lieve di tristezza.

Io non so se le abbia trasformate questo percorso o se il germe della loro insulsaggine covasse fin dall'inizio dentro di loro. Io non lo so davvero, perché so di non essere migliore di loro, o di saperne più di loro. Ma per come questi neo-cortigiani si sono comportati nei miei confronti, ho capito molte cose. Essi non sanno (o sanno?) di essere gli utili idioti che servono ad occultare il ritorno dei gattopardi sotto forma di iene e sciacalletti. E tutto questo non ce lo meritiamo, il Paese non lo merita.

Il punto ora è: tu sei migliore di loro? Io davvero non lo so più. Di una cosa però sono certo. Che quell'essere un uomo importante - io direi in questo caso "sentirsi" - che ti rende irrangiungibile, estraneo, misterioso è davvero un mistero, per così dire, povero di spessore e di sfumature.

E allora, oltre a chiederti "perché menti", ti esorto a fare l'unica cosa che può ristabilire una certa dose di ragionevolezza in un mondo dominato dalla follia. Smettila di dire scempiaggini e racconta, denuncia, restituisci ad un popolo spossessato un po' della verità sulle cose che lo rendono schiavo. Non cambieremo l'umanità né muteremo il destino comune, ma aggiungeremo un tassello in più al patrimonio di conoscenze collettive, a cui i posteri potranno attingere per elaborare nuovi e più efficaci strumenti di liberazione.

Vuoi invece essere artefice di nuove gabbie? Io non credo.

A te la scelta.