venerdì 28 novembre 2025

Marrakech e il Vento d'Occidente


Questo reportage non è altro che un condensato di sensazioni e piccole intuizioni a cui ho provato a dare forma durante un breve viaggio in Marocco, nello specifico a Marrakech, divenuta ormai una delle principali mete del turismo globale.

Marrakech è forse la città imperiale del Marocco più nota al mondo, probabilmente perché è anche quella che più rispecchia le caratteristiche esotiche del popolo marocchino. Per il turista che voglia visitare l'Africa senza rischiare troppo, è una tappa obbligata. Tra spezie d'ogni genere, tessuti, oli e ceramiche; nella sovrabbondanza di merci che riempiono la medina - di cui mi sembra più che lecito sospettare l'origine locale - la porta del continente si ritrova a dover affrontare una serie di cambiamenti irreversibili, molto simili a quelli che sono già avvenuti alle nostre latitudini. 

L'OVERTOURISM - In ossequio ai dettami del turismo esperienziale, piattaforme come Booking e Airbnb offrono al turista una vasta gamma di alloggi all'interno della medina, l'antico centro cittadino famoso per i coloratissimi suq che si dipanano lungo le sue arterie principali. Le strutture ricettive maggiormente sponsorizzate dalle piattaforme ricalcano il modello della tipica riad, la tradizionale abitazione marocchina che si sviluppa su più piani intorno ad un cortile adibito ad ambiente conviviale per gli ospiti. 

La terrazza del riad è solitamente definita rooftop, alla stregua degli ultimi piani all'aperto dei ristoranti cittadini, ed è arredata con tavoli e lettini sui quali è possibile bere il tè alla menta al tiepido sole novembrino, circondati da un non troppo invitante skyline dei tetti rossi sgarrupati, simili ai caseggiati abusivi che si trovano lungo le coste del nostro sud Italia. Il rooftop è anche il punto più alto in cui essere travolti dal fascino (o dall'angoscia) della salmodia del muezzin alle prime luci del mattino. 

Pass. Prince Moulay Rachid al tramonto

Il b&b-riad cerca dunque di coniugare il richiamo piuttosto artato alle tradizioni marocchine con l'esigenza di comfort tipicamente occidentale, dalla cucina (di solito aperta solo quando è presente la governante/host della struttura) ai bagni costruiti con i tipici mattoni di arenaria rossa, da cui sgorga l'acqua il cui utilizzo alimentare è fortemente sconsigliato. Così come accade con i bassi napoletani o con i calli veneziani, anche qui la riconversione delle antiche abitazioni a fini ricettivi sta determinando inflazione e spopolamento del centro storico, un fenomeno globale a cui non si sottrae neanche il Marocco. 

INVADENZA ED ESTRANEITA' – E' tuttavia sufficiente attraversare i vicoli della medina e non farsi irretire da una concezione folkloristica di ciò che si vede – veicolata in buona parte dagli stereotipi occidentali – per rendersi conto di come gran parte degli abitanti di Marrakech debba affrontare una difficile quotidianità, al di là delle apparenze dal gusto esotico che vengono propinate al turista. Te ne accorgi quando tutte le sere, anche ad orario inoltrato, si radunano folle di persone alle fermate degli autobus in attesa di poter tornare nelle loro case; quando incroci lo sguardo degli uomini che debbono trasportare carichi pesantissimi coi loro carretti tirati a mano, facendo lo slalom tra la merce esposta fuori alle botteghe e i tanti turisti che affollano le strade; oppure nel volto delle donne che, nascondendosi dietro al velo, fanno ritorno fra mille acciacchi ai loro doveri domestici. 

Ad un'osservazione più attenta è possibile cogliere le differenze sociali all'interno della stessa medina, dove si alternano aree più degradate ad altre in apparenza più benestanti, probabilmente a seconda dell'entità del giro d'affari che interessa i diversi suq. I vicoli a ridosso della porta di Bab Doukkala ad ovest delle antiche mura, dove si trovava il nostro alloggio, sono probabilmente fra quelli più poveri. Lì vi si trovano officine, falegnamerie, ferramenta; tutto un articolarsi di mestieri che viene in gran parte svolto su strada, dove all'odore acre prodotto dai cibi cotti sul momento, si aggiunge quello degli animali da soma che vi sostano all'esterno. Fra docker che sfrecciano incuranti tra la gente e bambini che si avvicinano per chiedere l'elemosina, il turista occidentale ha un assaggio di cosa debba essere la miseria nel continente africano, pur all'interno di un Paese che cerca di avvicinarsi sempre più agli standard occidentali. 

I colori dei suq di Marrakech

I tanti stranieri sciamano affascinati e un po' intimoriti dall'umanità che rinfocola incessante nelle rue più turbolente della medina, riscoprendo un'ambivalenza determinata dalla duplicità dei ruoli che si trovano a ricoprire: quella di assedianti e quella di assediati

Si è assedianti quando la nostra estraneità e le nostre infime esigenze si calano con violenza in contesti locali anche di estrema povertà, come nel caso di Bab Doukkala. Sia chiaro, non tutta la medina si presenta in tali condizioni: ai vicoli riparati dal sole con l'uso di tendaggi raffazzonati o di lamiere di metallo e amianto, si alternano viuzze più ordinate in cui la luce solare filtra attraverso pregiati legni intarsiati, dove trovano posto botteghe più eleganti e locali notturni che offrono al turista lo spettacolo delle fontane e degli stucchi sbrilluccicanti al chiaror di luna. Luoghi raffinati e improntati a soddisfare la ricerca occidentale all'esoticità del Marocco, ai cui lati può tuttavia scorgersi la miriade di vicoletti sgangherati in cui si celano le ferite di un vivere faticoso, impossibili da occultare. 

Si è invece assediati quando, alzando lo sguardo in alto, verso le arcate argillose della medina, ci si rende conto di essere sotto la costante sorveglianza di vistose telecamere; stesso discorso per quanto ci è capitato di osservare all'interno degli spazi comuni del riad, probabilmente non un caso isolato. Sicurezza certo, al fine di prevenire reati ai danni dei turisti - la monarchia alawide ci tiene allo sviluppo del settore turistico - ma l'occhio elettronico risponde anche a scopi di controllo politico. 

GLI SQUILIBRI SOCIALI - Il nostro arrivo a Marrakech è stato infatti preceduto da giornate di intense manifestazioni di protesta contro il governo, in alcuni casi represse nel sangue. L'onda lunga del malcontento popolare si palesa sui muri di alcune zone della medina prive di telecamere, dove campeggiano i noti acronimi "Acab", "13.12", "Ultras".

Proprio la polizia sembra essere il fulcro attorno la quale ruota la tenuta di una delle pochissime monarchie ancora esistenti in Africa. Le forze dell'ordine marocchine si suddividono in tre tronconi: la Gendarmerie Royale, che è facile incontrare presso le sedi governative e al di fuori della città, e di cui aveva tanto timore il nostro accompagnatore; la Sureté Nationale, armata e presente a Marrakech con funzioni di disciplina del traffico e della sicurezza pubblica; le Forces Auxiliaires, con divisa beige e manganello d'ordinanza, apparentemente non munite di armi da fuoco, dedite al controllo dei mercati e soprattutto della ingovernabile piazza Jamaa el Fna - parzialmente chiusa per lavori - dove l'orgia del commercio raggiunge il suo apice, ospitando variopinti mercanti provenienti da tutto il continente.

La proverbiale insistenza dei mercanti della medina testimonia non soltanto la centralità del commercio per ampie fasce della popolazione locale, quanto le sfuggenti dinamiche sociali che vi sottendono. Più membri della stessa famiglia gestiscono diverse attività commerciali, sostituendosi di volta in volta nel corso della giornata e trasportando freneticamente le merci da un capo all'altro del centro storico; commercianti di tutte le nazionalità cercano di ritagliarsi un proprio spazio nella piazza Jamaa el Fna, dando luogo a frequenti diverbi con le forze dell'ordine che cercano di limitarne la presenza oltre un certo orario. A Marrakech è l'informalità a dominare le modalità in cui si svolgono le transazioni, dalle botteghe ai numerosissimi taxi; bisogna necessariamente contrattare per beneficiare di prezzi convenienti, a volte in maniera davvero ossessiva. Lo scontro (non l'incontro) tra domanda e offerta mette in risalto la scaltrezza e il cercare di fregare il prossimo, doti non particolarmente apprezzabili nell'essere umano. 

TRA RICOSTRUZIONE E I MONDIALI 2030 – Marrakech non è solo l'antica medina e i palazzi imperiali d'epoca medievale, ma è anche la metropoli circostante che si va sviluppando al di fuori delle mura medievali. Accanto a pretenziosi quartieri finanziari e turistici, continua frenetica la crescita edilizia della città, tra gru ed escavatori che spianano senza sosta i terreni ricchi di arenaria, sollevando polveroni d'un sempiterno color rosso ocra, travolgendo la misera campagna che si scorge dai finestrini oscuri del van che ci ha accompagnato dall'aeroporto. 

Un villaggio berbero

Due fattori ne sostengono il caotico sviluppo urbanistico. 
Il devastante terremoto che ha colpito due anni fa il territorio a sud della Città Rossa in direzione delle cascate di Ourika lungo la catena montuosa dell'Alto Atlante, su cui sono abbarbicati come presepi i secolari villaggi berberi, alcuni dei quali sono stati pressoché spianati dal sisma, ed ora sono oggetto di una disordinata quanto iniqua ricostruzione: secondo la ministra dello Sviluppo urbano, Fatima Ezzahra El Mansouri, sono oltre 53mila le nuove abitazioni completate, a fronte di altre 56mila in corso d'opera, sebbene siano ancora 4000 le famiglie che vivono ancora nelle zone considerate a rischio. Tra le strade dissestate dei territori berberi disseminati di tanti punti vendita dedicati ai viaggiatori, i giovani rimasti nei villaggi cercano di riconvertire le tradizioni locali a fini turistici pur di uscire dall'isolamento acuito dal sisma, attraverso la costituzione di cooperative di produzione agricola, affinché si possa offrire allo straniero l'emozione di vivere in prima persona gli usi più antichi delle tribù berbere, dai balli tradizionali all'ebrezza di pigiare con una sorta di mosto le mandorle dell'argania utilizzate per produrre l'olio di Argan, dalle proprietà cosmetiche e terapeutiche. 

Il secondo fattore è dato dall'aggiudicazione del Marocco, insieme a Spagna e Portogallo, delle partite finali della Coppa del Mondo 2030. Come già accaduto in Italia per i mondiali del '90, anche nel Regno di Muhammad VI la crescita edilizia viene trainata dalla politica dei grandi eventi, unitamente al fenomeno dell'overtourism che contribuisce a minare i già fragili equilibri sociali.

La linea politica marocchina sceglie insomma di spingere all'eccesso i folklori locali, affinché il turista ne rimanga incantato, stordito, alla pari dei serpenti ammaestrati al suono del clarinetto, assicurandogli una città su misura per le sue esigenze, rinchiudendo e reprimendo le tante contraddizioni dietro un soffocante paravento di colori e musiche esotiche. Disuguaglianze stridenti che restituiscono ancora una volta lo stesso dato: qualunque siano gli usi, i costumi, la religione e la mentalità dei popoli del pianeta, la vita materiale del proletariato rimane sempre ed ovunque lotta di sopravvivenza

venerdì 28 febbraio 2025

De Profundis Ucraino

Vladimir Putin. Foto di Дмитрий Осипенко da Pixabay

A distanza di tre anni dall'inizio dell'invasione russa, appare fin troppo chiaro che del destino dell'Ucraina in sé e per sé non è mai fregato niente a nessuno. 

Al netto dei rischi geopolitici e di sicurezza globale che una simile partita ha finora comportato, l'apparato militar-industriale occidentale, soprattutto americano, ci ha solo guadagnato dal trasferimento di miliardi di denaro pubblico nelle proprie casse (l'Ucraina infatti riceve i soldi in prestito e poi li reinveste nelle fabbriche di armi americane). 

La guerra è stata dunque un buon affare: oltre agli immensi guadagni, la distruzione di uomini e mezzi sul campo di battaglia ha permesso di mettere alla prova le tattiche militari e ha accelerato lo sviluppo di nuove tecnologie, vedi l'uso dei droni e dell'intelligenza artificiale. 

Oggi che s'intravede un'intesa tra Russia e Usa per il cessate il fuoco, i leader europei corrono ai ripari, e non di certo per la difesa dei valori democratici, ma per due ordini di ragioni ben più materiali.

Il primo risiede nel fatto che l'accordo tra Trump e Putin mina alle fondamenta i piani di ricostruzione post-bellica dell'Ucraina che i capitalisti europei stavano delineando unitamente ai loro partner statunitensi. Negli anni precedenti abbiamo assistito a vere e proprie fiere internazionali in cui si discutevano i piani di spartizione del bottino ucraino: anche l'Italia vi aveva partecipato con una propria delegazione. 

Il voltafaccia americano ha tuttavia cambiato le carte in tavola, in quanto impedisce agli europei di rientrare dall'investimento profuso nello sforzo bellico. Paventando addirittura un accordo tra capitalisti statunitensi e russi che li tagli fuori dallo sfruttamento delle risorse ucraine: immaginate ad esempio BlackRock e Gazprom che gestiscono in partnership i giacimenti minerari nel Donbass, tagliando fuori Shell o Eni. Oltre al danno la beffa.

Il secondo si rinviene nell'incapacità europea di porre una seria difesa sul fianco orientale del continente in assenza dell'ombrello militare di Washington. Sebbene l'ipotesi di una Russia in grado di arrivare fino a Lisbona non è altro che la boutade di un sempre più smarrito Zelensky, bisogna ammettere che nel tragico gioco geopolitico non è tanto (e solo) l'uso delle armi ad essere importante; ancor di più lo è il loro impiego simbolico, la minaccia che se ne fa. E' vero, la spesa militare europea in termini assoluti è maggiore di quella russa e non di poco; ma parliamo di ben 27 Paesi con differenti ed incompatibili sistemi d'arma. E soprattutto nessun Paese occidentale, al di fuori degli Stati Uniti, è oggi in grado di controbattere alle seimila testate atomiche di cui Putin è munito. 

Il paventato disimpegno statunitense dal fianco orientale spinge anche i Paesi dell'Europa orientale ad assumere una postura sempre più aggressiva: negli anni precedenti gli Usa avevano approfittato del loro rancore anti-russo per inglobarli nell'architettura della Nato, con Svezia e Finlandia che hanno aderito da poco a seguito dell'invasione dell'Ucraina. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una progressiva militarizzazione dei Paesi scandinavi, in cui si riaprono bunker, si costruiscono muri e si concepiscono nuovi modelli di mobilitazione della popolazione; la radicalizzazione della Polonia, che sta approntando l'esercito più potente del continente, pronto a reagire alla prima intemerata russa (ma non solo); i Paesi baltici, che da decenni sognano la soppressione dell'exclave di Kaliningrad vissuta come una costante minaccia, i cui rappresentanti siedono oggi ai massimi vertici dell'Unione Europea. Il venir meno del contenimento americano rischia insomma di far scoccare una scintilla di cui non sono prevedibili le conseguenze. 

E poi ci sono le incognite

Siamo davvero, ma davvero sicuri, che la pace tra Paesi europei sia un principio acquisito per sempre? Dinanzi a questa nuova corsa agli armamenti, cosa accadrebbe se venisse meno lo spauracchio russo? 

Come bisogna guardare ad una Germania impoverita dalla guerra e senza il gas russo a buon mercato, che vota in massa estrema destra, in cui il cui neo-cancelliere Merz annuncia un gigantesco piano di riarmo da 200 miliardi di euro? Oppure alla stessa confinante Polonia che assume oggi una postura particolarmente aggressiva? 

E il ritorno della Gran Bretagna, fino a ieri bastione americano in funzione anti-europea con la Brexit, protagonista del sostegno a Kiev "fino alla vittoria", adesso improvvisamente schierata con la Francia dopo le invettive di Trump contro il governo laburista? Gli inglesi sanno che la più vicina minaccia militare può arrivare dal continente europeo, di cui fanno parte geograficamente al netto del loro isolamento: che si tratti di Russia, Germania o della stessa Francia. 

E l'azione irruenta del duo Macron-Starmer nella risposta a Trump, entrambi leader degli unici Paesi europei dotati della bomba atomica, non approfondisce ulteriormente le divisioni interne all'Ue?

Tante domande, nessuna certezza.