venerdì 28 dicembre 2012

Processo Pellini, il pm chiede 231 anni di reclusione


Dal tribunale di Napoli, una delle più grandi inchieste giudiziarie sul traffico dei rifiuti tossici, orchestrato dalla criminalità organizzata con la complicità di pezzi delle istituzioni.



Duecentotrentuno anni di carcere complessivi: è questa la richiesta di condanna presentata dal pm Maria Cristina Ribera nei confronti di 28 imputati nel corso dell'udienza di oggi sull'inchiesta “Carosello – Ultimo Atto”, che riguarda il traffico illecito di rifiuti tossici in Campania. A fronte di numerose ipotesi di reato cadute in prescrizione, vengono contestati a vario titolo i reati di associazione a delinquere, disastro ambientale e concorso esterno in associazione a delinquere. Le richieste di condanna più dure riguardano i tre fratelli Cuono, Giovanni e Salvatore Pellini (quest'ultimo sottufficiale dei carabinieri in forza nella caserma di Acerra): 18 anni di reclusione ciascuno.

 

Inquinamento, devastazione, corruzione, intimidazione. La seconda fase della requisitoria del magistrato Ribera offre uno spaccato raccapricciante di ciò che sarebbe stata una delle holding del traffico illecito di rifiuti più potenti d'Italia, quella dei fratelli Pellini di Acerra. L'inchiesta “Carosello – Ultimo Atto”, aperta nel 2003 dalla Procura di Napoli e chiusa nel 2006 con il rinvio a giudizio di decine di persone, è una delle più grandi e importanti d'Italia nel filone dei reati ambientali. L'inchiesta ha portato alla luce un sistema criminoso in cui per diversi anni imprenditori, malavitosi, forze dell'ordine e funzionari pubblici si sarebbero mossi per smaltire in Campania un milione di tonnellate di rifiuti tossici, prevalentemente dal Nord Italia, con un giro di affari di 27 milioni di euro.

 

Secondo l'accusa, le società riconducibili a vario titolo ai Pellini (tra cui la Pellini srl, Ecotrasporti srl, Ecoimballaggio Pellini, Decoindustria srl, Igemar srl) avrebbero svolto attività di smaltimento e di intermediazione per le grandi aziende che volevano sbarazzarsi dei propri scarti industriali. I flussi di rifiuti provenivano soprattutto dal Nord (tra cui i fanghi di Porto Marghera) e venivano accatastati ad Acerra negli impianti dei fratelli Pellini. Lì subivano quello che in gergo viene chiamato il sistema del “giro bolla”, cioè la sostituzione dei codici CER e il conseguente cambio di tipologia, che da “pericolosi” venivano classificati “non pericolosi” e quindi sversati nelle cave di Acerra, Bacoli, Giugliano e Qualiano. Un caso fra tutti, la cava Lubrano di Bacoli, gestita dalla “Pozzolana Flegrea srl” il cui rappresentante legale è Lubrano Lobianco Vincenzo (per il quale il pm ha chiesto 11 anni di reclusione): gli scarti tossici che dovevano essere indirizzati a discariche autorizzate (e che secondo la classificazione originaria R15, le sostanze ivi contenute non dovevano assolutamente filtrare nelle falde acquifere) venivano caratterizzati come “terra e rocce” e depositati nel sito di via Castello. “In base alle attività di caratterizzazione svolte da Provincia e Arpac congiuntamente con la Pozzolana Flegrea, è risultato che tutti i rifiuti stoccati nel sito di Bacoli sono pericolosi” dichiara il magistrato. Al momento è stato presentato un piano di bonifica da parte della società dei Lubrano, “che però non risponde ai dettami legislativi” e perciò non può essere avviata. “Ma nessuna tra le discariche individuate è stata finora sanata”.


Il Pm Ribera

La requisitoria si è poi concentrata nell'enunciare le coperture di cui i Pellini avrebbero goduto. Oltre alla presenza nella caserma dell'Arma di Acerra del fratello carabiniere Salvatore Pellini, forte collaborazione sarebbe arrivata dal maresciallo Giuseppe Curcio. Agli inizi del 2000 la Procura di Nola apre un'indagine sull'inquinamento dei terreni agricoli in località Lenza-Schiavone e proprio il maresciallo Curcio viene chiamato a svolgere funzioni di polizia giudiziaria. Secondo l'accusa, avrebbe indicato ai tecnici dell'ARPAC i punti in cui dovevano essere effettuati i campionamenti e, così facendo, non sarebbero fuoriusciti risultati significativi dalle loro analisi, inducendo la procura nolana a formulare richiesta di archiviazione dell'indagine. In altra occasione, sempre dal maresciallo Curcio, veniva imbastito un interrogatorio fittizio degli indagati, che veniva però supervisionato dagli stessi Pellini, come dimostrano le intercettazioni telefoniche disposte dal magistrato.


Avere alcune “teste di ponte” nella locale caserma avrebbe garantito l'impunità agli inquisiti. La drammatica conseguenza di questo scellerato accordo si concretava nel mancato seguito delle centinaia di denunce che i contadini, allarmati dagli sversamenti incontrollati, facevano ai carabinieri: anzi, a molti è capitato di ricevere minacce poche ore dopo il deposito della denuncia.
Anche la protocollazione degli atti dei carabinieri subiva delle modifiche. “Abbiamo individuato incongruenze nella numerazione delle pratiche” prosegue il magistrato Ribera. “Il deposito della delega ad indagare firmato dalla Procura di Nola non figura come primo atto, bensì come ultimo atto, mentre invece l'informativa conclusiva delle indagini risulta addirittura essere precedente alla delega. Ciò dimostra come gli atti venissero preconfezionati a qualsiasi procedimento”.

 

Anche sul fronte delle presunte collusioni con funzionari del comune di Acerra (tra i quali Petrella, Di Nardo e Fabiani) si sarebbero verificati numerosi illeciti. In primis, l'ex dirigente dell'ufficio tecnico Petrella avrebbe rilasciato false autorizzazioni alle società dei Pellini, affermando che gli impianti di compostaggio e di smaltimento di loro proprietà erano situati in aree a destinazione industriale mentre invece erano a destinazione agricola. “Quindi le opere edilizie realizzate sono senz'altro abusive, non condonate né condonabili”.

 

Pesante anche il passaggio sulla produzione e commercializzazione di compost contaminato. Negli inadeguati impianti dei Pellini, vennero prodotti e smaltiti 53mila tonnellate di rifiuto tossico spacciato per fertilizzante e utilizzato dai contadini nei terreni dell'agro acerrano. “Abbiamo individuato solo alcuni dei siti in cui questo compost fu effettivamente sversato" aggiunge amareggiata la dottoressa Ribera "gli altri, purtroppo, non sono stati individuati”.

 

Alessandro Cannavacciuolo

 
Pesanti i presunti i legami tra i Pellini e la criminalità organizzata. Durante il processo è stato possibile ascoltare alcune dichiarazioni in teleconferenza di Giuseppe Buttone, titolare di fatto della Ce.Pi., società che si poneva come intermediaria “obbligatoria” per lo smaltimento dei rifiuti e coinvolta insieme alle società dei Pellini nei trasporti illegali. La sorella di Giuseppe Buttone è la consorte di Camillo Belforte, esponente di spicco del clan Belforte di Marcianise. In un'intercettazione carpita tra Camillo Belforte e Paolo Cutillo, altro esponente del clan, viene chiaramente alla luce “la sinergia tra Buttone e i Pellini”. Inoltre, secondo diversi collaboratori di giustizia, e in particolare Pasquale Di Fiore:

 

 

I fratelli Pellini sono legati al potente clan Belforte e questo legame dava loro un potere talmente grande da essere considerati loro stessi un clan, e i clan acerrani non potevano nulla contro di loro per via di questa alleanza. I funzionari pubblici sono facilmente corrompibili, specie nel settore edile, ed io stesso li ho più volte corrotti”.

 

 

E poi:

 

I contadini, disperati, si rivolgevano alla camorra, cioè me, per far cessare lo sversamento di rifiuti nei loro terreni”.

 

 

I contadini infatti, non avendo avuto alcuna risposta alle loro denunce, erano arrivati addirittura a chiedere l'aiuto del clan Di Fiore per fermare gli scarichi illeciti.

 

Un quadro di sistematica corruzione e collusione tra istituzioni e imprese legate ai clan, dove lo Stato è qualcosa di ineffabile e dove la politica si è legata a ben altri interessi da quelli di sua competenza. Lo si comprende nel momento in cui il pubblico ministero formula nel merito l'ipotesi di disastro ambientale: “Il disastro ambientale si perpetua tuttora ed è un pericolo esistente e persistente ai danni della comunità. E rappresentando il pericolo in sé il vero termine di prescrizione del presente reato, fin quando la bonifica non verrà attuata e il pericolo rimosso, il reato non potrà mai prescriversi” (e giù applausi dalle decine di cittadini presenti ad assistere). Una deduzione che, se accolta dal tribunale, potrebbe rappresentare in futuro un importante precedente giurisprudenziale per i reati ambientali.

 

Il pm Ribera conclude la sua requisitoria con una nota amara: “Alcune delle società coinvolte nell'inchiesta risultano tuttora operative e il sequestro ha riguardato soltanto una parte degli impianti usati per gli sversamenti. Il traffico di rifiuti purtroppo è ancora in corso”.

 

Non meno forte l'arringa dell'avvocato difensore della parte civile, il dott. Giovanni Bianco. “Signor Giudice, quello che arriva da queste terre sulle nostre tavole lo mangio io e lo mangiano lei e i suoi figli. Dalle mie parti, ad Acerra, quando si svolgono i funerali e si domanda ai presenti il perché del decesso, la gente ti risponde sempre più spesso “'a malatìa”, la malattia, il tumore”. E poi una dura accusa ai fratelli Pellini: “Hanno sottratto la disponibilità dei beni al risarcimento delle parti civili, sebbene dimostrino una capacità economica tale da permettersi una robusta difesa processuale”. E infine un passaggio dedicato alla famiglia Cannavacciuolo, i pastori acerrani che per primi hanno denunciato (e denunciano tuttora) gli sversamenti: “Sono l'azienda agricola più antica di Acerra: avevano un gregge di 600 pecore, ma queste nel 2003 si ammalano (come dimostra il documentario Biutifùl Cauntri) e vengono abbattute in base ad un'ordinanza sindacale. Col loro abbattimento, viene meno una prova importante della contaminazione di quei territori, contaminazione che ha ucciso anche il capofamiglia dei Cannavacciuolo”.

 

La prossima udienza del processo è stata fissata per il 24 gennaio 2013, aula 116 della VI° sezione penale del tribunale di Napoli, nel corso della quale verranno auditi i difensori degli imputati.

 

Ps. Ha destato perplessità e qualche protesta la presenza dell'assessore al bilancio di Acerra Alessandro D'Iorio nello staff dei penalisti dei fratelli Pellini. In considerazione del fatto che il comune di Acerra non si è costituito parte civile nel processo, qualcuno ha storto il naso...

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