martedì 4 gennaio 2011

La famiglia prima di tutto

 

L’economia permette a poche potenti famiglie di gestire le sorti di un’intera regione o di un intero Paese, a prescindere dalla liceità delle azioni commesse per fare profitto. Inoltre, molto spesso, le attività imprenditoriali più remunerative si svolgono nel silenzio assoluto e ad insaputa dei più. E’ stato ed è il caso di famiglie come i La Marca e i Di Francia, dirette responsabili del disastro ambientale nelle terre campane.

Qualcuno, in Italia, ha la memoria corta. Lo disse in tempi non indifferenti un tal Leonardo Sciascia, lo si ribadisce ancora oggi alla luce degli eventi del Paese. E la maggior parte di questa colpa va addossata ad una buona fetta dell'informazione italiana, occupata a distrarre con una miriade di quiz e teleshow le masse svilite dal lavoro quotidiano oppure a disinformarle apertamente: vere e proprie vetrine olandesi, specie su Rete4 e su Raiuno, vengono offerte a celebri personaggi televisivi per contentare la classe politica di "affiliazione" (non certo ideologica); a questa realtà si contrappone un'altra fetta di informazione che purtroppo rimane inascoltata al grande pubblico.

Alcuni giorni fa Roberto Saviano ha scritto un articolo su Repubblica commentando il massacro di un'intera famiglia di allevatori avvenuta per mano di un'altra famiglia in provincia di Vibo Valentia in Calabria, il cui movente è da ricercare in una serie di invidie e di futili rancori. Secondo lo scrittore eventi del genere sono riconducibili ad un tipo di cultura della prevaricazione e della "roba" insita nella atavica mentalità di ampi strati della popolazione meridionale, grazie alla quale si è sviluppato il terreno fertile per la nascita del fenomeno criminale della 'ndrangheta e, in particolare, per la dimensione "familistica" che queste organizzazioni hanno assunto nell'affermarsi come sistema di potere internazionale.
L'esame di Saviano è, a mio parere, esatto ma non va circoscritto soltanto alle classi popolari, al Mezzogiorno o agli ambienti malavitosi. E' un elemento ricorrente un po' in tutta Italia (il "tengo famiglia" è il vero fattore unitario tra Nord e Sud) e, come tale, si estende nelle più disparate professioni, dalla carpenteria alla avvocatura, fino ad arrivare ai mondi della politica e dell'imprenditoria. Proprio quest'ultima è caratterizzata da una forte componente di trasmissione "familiaristica" delle attività economiche. Nel caso specifico, mi vorrei soffermare su alcune famiglie di imprenditori protagoniste della storia italiana di ieri e di oggi. Occorre però prima fare un riepilogo.

Pochi mesi fa a Terzigno il governo si è arenato su Cava Vitiello, il cui proprietario è stato più volte colpito da un'interdittiva antimafia per poi venire definitivamente arrestato col figliolo con l'accusa di estrazione illecita di pietra dalla cava durante i giorni della protesta. Va chiarito che Cava Vitiello non è stata una scelta del governo, bensì è stata una scelta arbitraria di un gruppo di parlamentari del Pdl campano, che conta tra le sue fila numerosi indagati per camorra; ciò ha dimostrato come Berlusconi non abbia alcun controllo sulle diverse correnti politiche sviluppatesi all'interno del suo partito, soprattutto su alcune di queste che si caratterizzano come nuclei di potere capaci di ricattarlo in ogni momento. Un esempio sono i parlamentari del Pdl Nicola Cosentino, Mario Landolfi e Luigi Cesaro. Tutti e tre hanno dato, nel funesto dì del 14 dicembre, la fiducia al governo, e tutti e tre risultano indagati dalla magistratura per collusioni con la camorra. Indicati dai collaboratori di giustizia come "referenti politici dei clan a livello locale e nazionale", specie nel settore dei rifiuti, essi si sono affermati in campo politico non solo grazie a dubbi appoggi elettorali, ma anche grazie alle attività imprenditoriali delle rispettive famiglie. Ad esempio l'ex latitante Giggin 'a purpetta, ovvero l'onorevole e presidente della provincia di Napoli Luigi Cesaro (che qualcuno giura di vederlo costantemente bazzicare nei centri scommesse poco distanti dal palazzo provinciale) ha due fratelli, Aniello e Raffaele, di professione imprenditori. Settore di interesse è l'edilizia, non senza qualche grattacapo giudiziario. Nick 'o Americano, ovvero l'onorevole Nicola Cosentino nonché coordinatore Pdl in Campania (dunque col potere di collocare persone del partito a lui vicine in società pubbliche e miste pubblico/privato) nasce da una famiglia già economicamente ben avviata grazie alle forniture di gas che il padre conferiva ai militari americani. Settori di interesse sono gli idrocarburi e il mercato immobiliare oltre all'affaire rifiuti; inutile ribadire anche qui la presenza di numerosi grattacapi giudiziari (richieste di arresto formulate perfino dalla Cassazione e bloccate da un Parlamento corrotto fin nel midollo). In quanto membro della XI Commissione Lavoro Pubblico e Privato è cofirmatario della norma sui rifiuti che ha fatto infuriare il ministro Prestigiacomo.

La politica ha portato queste persone a rendere pubbliche le loro vicende giudiziarie. Ma, se si analizza la loro storia, è evidente il forte legame con l'imprenditoria. E sono tantissimi gli imprenditori collusi con le organizzazioni criminali, la cui storia non viene alla luce perché hanno sapientemente deciso di lasciar stare la politica: i migliori affari infatti hanno successo grazie al silenzio.
Bisogna quindi ritornare a Terzigno dove il governo si arena, impedendo (fortunatamente) il rispetto totale della legge 123/09. Accanto a Cava Vitiello ci sono altre cave, tra cui quella pubblica denominata Sari e sorvegliata dall'esercito. La Cava Sari viene costruita, com'è prassi governativa fin dall'inizio dell'emergenza rifiuti, accanto a una vecchia discarica utilizzata dalla camorra fino al 1994, anno in cui tutti gli sversatoi campani vengono requisiti dallo Stato.

Tra gli anni Ottanta e Novanta molte di queste discariche private sono collocate alle pendici del Vesuvio: la Sari di Terzigno, la Fungaia di Monte Somma, la Ammendola-Formisano di Ercolano ecc. Sono anni in cui, specie a Boscoreale e ad Ercolano, la popolazione comincia a protestare, scende in strada, blocca i camion carichi di veleni industriali, organizza sit-in e manifestazioni presso gli ingressi delle discariche, invia denunce agli organi competenti (come si evince in questi articoli di giornale dell'epoca), ma le autorità fanno orecchie da mercante e gli scarichi proseguono indisturbati, fino ad arrivare alla situazione odierna in cui le analisi della provincia accertano la contaminazione delle falde acquifere unitamente all'aumento di patologie tumorali tra gli abitanti.


C'è un unico filo conduttore che unisce molte delle gestioni criminali del territorio campano e i più recenti scandali nazionali. Gli imprenditori sono sempre presenti e sempre gli stessi. Il profitto infatti li rende vincenti e gli permette di proseguire indisturbati gli illeciti. Solo i falliti, i bancarottai, gli indebitati vengono processati e condannati. Calisto Tanzi è stato condannato soltanto perché è finito in bancarotta, altrimenti sarebbe ancora al suo posto libero di continuare a raggirare i piccoli investitori.

Gli imprenditori delle discariche vesuviane sono per lo più di estrazione contadina, popolare, contigui ad un ambiente di spicciola delinquenza camorristica (almeno all'inizio). Sfruttano i terreni di famiglia prima come cave durante il sacco edilizio degli anni '50 a Napoli, poi come discariche. In seguito questi imprenditori si federano e realizzano delle vere e proprie cordate. La SARI srl (Società Agricola Recuperi Industriali), tuttora proprietaria delle cave di Terzigno, risulta composta dagli imprenditori Giuseppe Di Gennaro, Aniello Ammendola, Aniello Picariello, Aniello La Marca e Salvatore La Marca. Aniello Ammendola gestiva la discarica di Ercolano, Salvatore La Marca era proprietario di quella di Somma Vesuviana e di altri sversatoi.

I trascorsi con la NCO di Raffaele Cutolo, 'o professore di Ottaviano, e le parentele con personaggi del clan Fabbrocino si sprecano per queste persone. Tuttavia occorre soffermarsi sulla figura della buon'anima di Salvatore La Marca, padrino del boss Mario Fabbrocino, ex sindaco socialdemocratico di Ottaviano e poi assessore provinciale ai tempi del dominio cutoliano. E' un personaggio intraprendente: grazie a lui la famiglia La Marca e la famiglia Cutolo sono in stretti rapporti, per ammissione dello stesso Salvatore. Con la sua candidatura nel comune di Ottaviano, i socialdemocratici passano dal 4% al 37% delle preferenze. Un successone. E' il momento dell'ascesa di Cutolo a capo della camorra, comincia a stabilirsi un sistema di potere terroristico a Napoli e dintorni dove a pagarne il prezzo sono quelle personalità, anche politiche, che provano ad opporsi: è il caso dell'assassinio del consigliere PSI di Ottaviano Pasquale Cappuccio, trucidato da un commando di killer nel '78 per aver denunciato in consiglio comunale le collusioni tra camorra e politica, e del consigliere PCI Mimmo Beventano nell'80, reo per aver più volte osteggiato la speculazione edilizia nel Parco Nazionale del Vesuvio. Per il primo omicidio, quello di Pasquale Cappuccio, viene indagato nel 1983 come mandante lo stesso Salvatore La Marca, il quale si dà alla latitanza in Germania fino alla assoluzione nel 1987 per "insufficienza di prove". Il PSDI, dopo quell'episodio, espellerà La Marca dal partito, che da allora in poi si dedicherà anima e corpo al mondo degli affari. Grazie al denaro guadagnato nel cemento infatti converte le cave degli anni '50 in discariche per seppellirci i rifiuti tossici di tutta Italia e d'Europa (alcuni fusti arrivavano perfino dalla Romania), costituisce diverse imprese tra Nord e Sud operanti nel campo dei rifiuti, colloca i suoi parenti a guida di queste società, stringe relazioni affaristiche con altri imprenditori del settore.

La "banda La Marca" dunque, così soprannominata, esce dal Vesuvio. Si recano prima nel Comune di Sessa Aurunca per gestirvi l'ennesima immonda discarica, poi in un territorio una volta soprannominato "il giardino di Napoli" per la sua amenità, ovvero a Pianura. Intorno al vecchio casale comincia a svilupparsi negli anni Ottanta, grazie ai fondi della ricostruzione post terremoto, un quartiere completamente abusivo, frutto del cemento dei clan della camorra. A poca distanza dalle nuove case sorge una discarica regionale di rifiuti solidi urbani di proprietà del Comune di Napoli, aperta nel 1954 e collocata in uno dei crateri dei Campi Flegrei, il cratere Senga, sottoposta ad instabilità per via dell'attività vulcanica sottostante. Negli anni '80 i La Marca tramite la ditta Di.Fra.Bi (in seguito Elektrika), rilevano i terreni accanto al Senga e danno inizio nel 1987 alle operazioni di smaltimento a Pianura insieme alla famiglia dei Di Francia. La figura che spicca tra questi ultimi è Giorgio Di Francia detto 'a casella, socio di Francesco La Marca, a sua volta nipote di Salvatore La Marca. Nel 2008 la troupe di Annozero intervista Giorgio Di Francia: i violenti scontri avvenuti nel quartiere in seguito alla paventata riapertura dell'invaso hanno riportato alla ribalta la vicenda della discarica su cui si sperava fosse calato un silenzio tombale. Davanti a Sandro Ruotolo il viso di Giorgio Di Francia assume un'espressione eloquente, il timbro della voce rauco e insicuro, lo sguardo perso e l'agitazione racchiudono in pochi secondi vicende che riempirebbero decine se non centinaia di carte processuali, se vi fosse la volontà istituzionale di indagare fino in fondo.

La gestione delle operazioni nell'invaso di Pianura viene affidata a Salvatore Di Francia, mentre Giorgio Di Francia dirige, in qualità di amministratore delegato della Sistemi Ambientali Srl, la famigerata discarica di Pitelli a La Spezia fino al 1993, tuttora al centro di un processo dalle mille difficoltà. Pitelli negli anni Novanta è un coacervo di crimini impressionante, in cui si incrociano interessi tali da coinvolgere gli apparati della Marina militare. Il porto della città ligure è il punto di partenza di molte delle navi fatte affondare in quel periodo coi loro carichi di veleni nel Mediterraneo.

La Sistemi Ambientali Srl fa entrare di tutto all'interno della discarica, falsificando le bolle e le analisi: l'esatta fotocopia di ciò che avveniva a Pianura negli stessi anni. Infatti, nel periodo che va dal 1987 al 1993, nelle discariche dei Di Francia e dei La Marca vengono dirottati i traffici di rifiuti tossici, e forse radioattivi, dell'Italia intera. L'andazzo è questo fin quando Pianura non viene requisita nel 1994 e affidata all'ENEA, a quei tempi interessata alla gestione delle discariche. L'ENEA effettua delle analisi, le cataloga e raccoglie i risultati in un fascicolo che non vedrà mai la luce. Il 26 dicembre 2007, pochi giorni prima dei violenti scontri avvenuti nel quartiere di Pianura, gli investigatori intercettano una telefonata tra l'ex assessore Giorgio Nugnes, morto suicida l'anno dopo per cause non del tutto chiare, e Giovanni Capuano, in stretti rapporti con l'ex ras della sanità campana Angelo Montemarano. Capuano confida a Nugnes l'esistenza di un fascicolo sulla radioattività del sito, sparito per via degli impressionanti risultati usciti fuori dalle analisi. Come spiegare altrimenti le patologie di cui progressivamente gli abitanti si ammalano, dalla leucemia fino ai 60 casi (quelli esaminati dai carabinieri) del raro linfoma di Hodgkin, lo stesso che colpiva i soldati di ritorno dalle missioni in Kosovo a causa del contatto con l'uranio impoverito. E infatti le analisi eseguite della Procura di Napoli, le cui indagini per il reato di disastro ambientale non sono state archiviate grazie all'impegno dell'associazione Oceanus e dei cittadini, riporterebbero l'elevata radioattività riscontrata nei campioni di percolato oltre i 20 metri di profondità (l'ipotesi di reato di epidemia colposa è già stata archiviata per via dell'impossibilità di dimostrare con documenti ufficiali la correlazione tra agenti inquinanti e patologie tumorali, sebbene sia sotto gli occhi di tutti).

I Di Francia e i La Marca vengono arrestati nel 1993 per associazione a delinquere insieme ad esponenti del clan dei Casalesi nell'ambito dell'inchiesta "discariche d'oro". I fratelli Domenico e Salvatore La Marca vengono condannati sia in primo grado che in Appello, ma non risulta essere arrivato in Cassazione: ad oggi l'unico processo aperto per disastro ambientale è quello della discarica di Pitelli, e forse quello di Pianura se riuscirà a superare i termini di prescrizione delle indagini.

Qualcuno direbbe che queste sono vicende note, vecchie, che al massimo potrebbero rappresentare una memoria storica utile a non ripetere in futuro gli stessi errori. Peccato che il presente veda questi signori tuttora inseriti nel tessuto produttivo italiano. Il presente li vede ancora una volta protagonisti.

I La Marca risultano essere nel 2008, tramite un loro socio nella società Sgb Gevi spa, i fornitori della ditta Simont spa a cui il Commissariato di Governo di Gianni De Gennaro si affidava per l'apertura di diverse discariche, tra cui quella di Pianura e di Marigliano. I loro nomi compaiono anche nell'inchiesta della cosiddetta "loggia P3": le loro società infatti si occupano del settore eolico in Sicilia e in Sardegna; inoltre Cristina La Marca, erede della fortuna del padre, risulta aver installato sulla ex discarica di Tufino in Campania un impianto di sfruttamento del biogas insieme all'Asja Ambiente (sebbene abbia negato alcun coinvolgimento con suddetta azienda).
E i Di Francia? Basta andarsi a vedere la puntata di Annozero del 2008: unitamente all'intervista fatta a Giorgio Di Francia, Sandro Ruotolo si reca a casa di uno degli ex dipendenti, Angelo Giaquinto, il quale rivela chi gestiva in prima persona le operazioni di smaltimento illecito dei rifiuti tossici nella discarica di Pianura. "Ho lavorato per quarant'anni dal signor Di Francia Salvatore, il proprietario della discarica. I rifiuti industriali li portavano invece il signor Luigi Di Francia insieme col signor Di Vicino Salvatore. Loro dicevano che erano autorizzati, ma portavano anche bidoni che non erano autorizzati". I nomi di Luigi Di Francia e di Salvatore Di Vicino compaiono nell'organigramma della società Cosmer di Pignataro Maggiore, rispettivamente come direttore generale e direttore tecnico e commerciale. La Cosmer spa, tanto per non cambiare, si occupa della raccolta e dello smaltimento di rifiuti solidi urbani e di rifiuti speciali anche pericolosi (come si evince dal sito web) e gestisce un impianto di selezione in paese. Nel 2009 la ditta fu colpita da un'interdittiva antimafia, ritirata in un primo momento per ricorso della Cosmer stessa poi per sentenza del Tar, e il sindaco di Pignataro Maggiore Giorgio Magliocca coprì la vicenda definendola un "problema di natura tecnica".

Ovviamente questi signori non avrebbero mai potuto proseguire le proprie attività senza aver ricevuto le adeguate "coperture politiche". Ecco perché, per quanta propaganda possa fare il governo, la cattura dei latitanti e il sequestro (spesso senza confisca) dei beni mafiosi non serve a niente se le persone e le famiglie che gestiscono l'economia del Paese sono sempre le stesse. Insomma un gruppo di famiglie ha traghettato la Campania verso il disastro. Ovviamente col menefreghismo di molte persone e col placet delle istituzioni. Un articolo apparso ieri sul Mattino a firma di Rosaria Capacchione riporta i rapporti intercorsi nel 2006 tra il superlatitante Michele Zagaria, un non identificato "uomo di governo" e un agente dei servizi segreti riguardo la costruzione di un inceneritore nel casertano. Addirittura, in un riquadro dell'articolo, si legge che un finanziere con il telefono cellulare intestato alla presidenza del Consiglio dei ministri avrebbe fatto più volte da autista a Roma alla moglie del latitante Zagaria, proprio nel periodo in cui il boss si rifugiava nella capitale romana per gestire gli affari. Non basta agli italiani pagare le auto blu dei politici, adesso bisogna pagare anche quelle dei familiari dei latitanti. Ma si sa, la motivazione è sempre la stessa e vale anche per i latitanti: tengo famiglia!

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