giovedì 11 gennaio 2018

A Chi Non C'è Più


Ci sono luoghi che richiamano alla memoria fatti passati e persone con cui si è camminato insieme per un certo periodo di tempo. Alcune di queste persone purtroppo non ci sono più: parenti, amici o semplici conoscenti con cui avreste voluto stringere un rapporto più stretto. I miei nonni sono quelli che mi mancano di più. Non nascondo che al loro ricordo mi sono fatto dei pianti che a ripensarci me ne vergogno quasi.

Ultimamente mi capitava una cosa. Poco prima della mezzanotte scendevo di casa e mi mettevo a camminare da solo per le strade di Bagnoli. Al centro del quartiere, in uno di questi stradoni che sembrano tutti uguali, c'è una chiesetta con un piccolo convento annesso. La luce dei lampioni rischiara a malapena la facciata e il portoncino di legno scuro. Qualche volta mi sono fermato, altre volte ho proseguito diritto, comunque mi sono trovato spesso a percorrere la stessa strada. Lo facevo perché vi avvertivo un senso di nostalgia, ma non mi ero mai fermato a ragionarci sopra e a capirne il motivo. Finché un giorno sono riuscito a mettere a fuoco la cosa. E allora ho compreso che quella nostalgia era il ricordo di una persona cara, che per un periodo avevo come rimosso dalla mia mente, perché negli ultimi tempi della sua vita avvertivo che i rapporti tra noi si stavano incrinando, come mi stava accadendo con diverse persone.

Nando Pennone è andato via il 4 gennaio 2016, aveva 56 anni. Lavorava come tecnico informatico Enel, era appassionato di tante cose. Tra noi c'erano più di trent'anni di differenza di età, eppure per me era semplice parlare con lui, nonostante la timidezza e la sociopatia che mi hanno sempre contraddistinto fin dalla più tenera infanzia. Qualche volta mi aveva offerto il passaggio in auto a casa, altre volte mi ero recato con lui a qualche assemblea politica. Avvertivo insomma che nel rapportarmi con lui c'era un confine labile tra l'amicizia e la figura paterna. 

Ci candidammo insieme alle elezioni regionali del 2015, entrambi eravamo dello stesso quartiere, pertanto eravamo strategicamente destinati a pestarci i piedi a vicenda, ma non è che ce ne fregasse più di tanto. Candidarmi per me voleva dire avere il privilegio di vivere da dentro dinamiche che per tanto tempo mi erano rimaste oscure. Da quell'esperienza sono uscito scottato, ma molto più consapevole di prima, libero finalmente da quelle lenti ideologiche che deformavano il mio approccio con la realtà. 
Per Nando, quell'esperienza voleva forse essere l'occasione di poter portare le sue conoscenze e intuizioni, specie in materia informatica e di trasporti pubblici, ad un livello dove avrebbero trovato attuazione politica. 
Invero, nessuno di noi due aveva aspirazioni politiche, ed infatti facemmo cilecca: io fui quartultimo, lui finii terzultimo. Pazienza, inutile lamentarsi delle scorrettezze: è un gioco in cui o si è prede o si è predatori, e i vincitori giammai ne riportano vergogna.

Ma è da quel momento in poi che con Nando iniziai a rompere i rapporti. Il motivo di questa rottura era dato dalle diverse prese di posizione tra loro inconciliabili: io, forte della giovane età, non accettavo la continuità del dialogo con persone che si stavano dimostrando incoerenti e finanche compromesse con un sistema che le stava fagocitando; lui, padre di famiglia e con molta più esperienza di vita alle spalle, aveva probabilmente già vissuto quelle dinamiche e accettava di continuarvi a collaborare pur di vedere i suoi progetti di rilancio della città portati in sede politica. In quel periodo (se non erro) scrisse addirittura una proposta di legge avente ad oggetto il superamento del "digital divide" nelle aree depresse del Paese. Non amava farsi nemici e riusciva ad andare d'accordo con tutti (quasi), ma non era per piaggeria o per interesse: era fatto proprio così.

Se ne andò anche a causa della nostra malasanità: non si sentiva bene e si recò all'ospedale San Paolo a Fuorigrotta per farsi fare delle analisi, ma lo fecero attendere per così tanto tempo che ad un certo punto si stufò e se ne ritornò a casa, dove purtroppo il male peggiorò e in breve morì.

Al funerale parteciparono in tanti. Ricordo che per alcuni la sua commemorazione divenne l'occasione per parlare delle imminenti elezioni comunali. Alcuni miei amici rimasero disgustati da quella mancanza di tatto; io sinceramente rimasi indifferente: nel film "Il Divo", Giulio Andreotti (alias Toni Servillo) afferma che nella vita esiste solo la politica, e per alcuni è senza dubbio così. Di certo lo è stato anche per me per un certo periodo di tempo, ed è stato un balsamo per tanti problemi personali e familiari che negli ultimi tempi hanno iniziato improvvisamente a travolgermi.

Nando era insomma una persona molto intelligente e con una forte sensibilità, ma aveva commesso nella sua vita un errore imperdonabile: era un autodidatta. E chi è autodidatta ha un decreto di condanna sul capo, perché considerato fuori dagli schemi, pericoloso, inconciliabile con una società che vuole imporre percorsi predefiniti per affibbiare patenti di degnità

Qui linko un po' delle cose di cui amava trattare. Se davvero di coloro che ci lasciano non rimane nulla fuorché la memoria, ricordarlo vuol dire farlo tornare un po' tra noi.
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