giovedì 17 marzo 2011

Lettera ad un paese non ancora (veramente) unito


In questi giorni si discute sulla necessità,sull’opportunità e sulle modalità di festeggiare i 150 anni dell’unità d’ Italia;c’è chi non festeggia per motivi politici,chi non lo fa per ragioni ideologiche e c’è chi festeggia ricordandosi di essere italiano solo in questo momento.
Io ritengo sia giusto festeggiare. Ma non festeggiare un’unità che non si è ancora realizzata,piuttosto l’inizio di un procedimento di unificazione che non è ancora terminato. Nel 1861 Cavour diceva “abbiamo fatto l’Italia adesso dobbiamo fare gli italiani”. Magari. Molto,anzi tantissimo era stato fatto con la liberazione del territorio nazionale dalle dominazioni straniere e dai “signori” che lo governavano. Sono stati commessi sicuramente molti errori,come in tutte le vicende umane. E pensare però che c’è ancora chi rimpiange i Borbone, non contento di vivere in uno stato libero e democratico,per il quale numerosi patrioti,molti napoletani, hanno combattuto e sono morti. Rimpiangere il Regno delle due Sicilie è come rimpiangere,per certi versi,il fascismo. 


Nel 1861 molto era stato fatto ma non tutto. I figli degli eroi del Risorgimento avrebbero dovuto completare il processo di unificazione e fare realmente l’Italia unita (non solo dal punto di vista amministrativo e politico) e gli Italiani. Molto poco è stato fatto.
L’unità si è fermata a quella formale,siamo stati incapaci di portare a compimento questo lunghissimo e faticosissimo percorso iniziato col Risorgimento.
L’unità sostanziale del paese manca tuttora. Vi è un palese e evidente divario tra Nord e Sud. Pochi dati. Secondo il rapporto SVIMEZ sono “ Ormai otto anni consecutivi che il Sud cresce meno del Centro- Nord, cosa che non è mai successa dal dopoguerra a oggi.” "Nel 2009 nel Mezzogiorno il Pil è stato 17.317 euro, circa il 58,8% del Centro- Nord(29.449 euro)” Un paese che cammina a due velocità. Molti altri possono essere gli esempi di disuguaglianza su base territoriale presenti nel nostro paese.
Riferiamoci ad alcuni articoli della Costituzione. Art.32, “diritto alla salute”,questo diritto è tutelato allo stesso modo in Trentino Alto Adige,regione con la più alta percentuale di raccolta differenziata in Italia e in Campania dove i rifiuti marciscono per le strade? E ancora. Art. 4, “diritto al lavoro”, è questo un diritto garantito in egual maniera in Sicilia e in Sardegna dove la disoccupazione supera il 13%(dati 2009) e in Veneto dove sfiora il 4%? Insomma Regione che vai,Italia che trovi. Qualcuno potrà obiettare che l’unità di una nazione si misura in un altro modo e non con i numeri e le statistiche. Questo è vero solo fino ad un certo punto; se non vi è uguaglianza da un punto di vista economico e sociale,uguaglianza da intendersi come uguaglianza nella possibilità di godere dei diritti previsti in Costituzione non può esserci unità sostanziale. Le disparità economiche e di possibilità di crescita della persona creano inevitabilmente dis-unione. Anche i padri costituenti erano consapevoli che se non vengono rimossi “gli ostacoli economici e sociali” che limitano “di fatto la libertà e l’uguaglianza” si impedisce il “pieno sviluppo della persona umana”. Stessa cosa può essere trasferita a livello statale. Se non si rimuovono gli ostacoli economici non si può arrivare a una unità piena e reale del paese.
Individuare le responsabilità di quella che è stata chiamatala “questione meridionale” alla quale si è affiancata nell’ultimo decennio una “questione settentrionale” è compito degli storici, la “colpa” può essere addossata alla criminalità organizzata,alla mancanza di intraprendenza del meridione,alla classe dirigente del paese che specialmente in un primo momento ha trasferito le ricchezze del sud al nord,alla politica che ha sperperato i fondi necessari per modernizzare il Sud,poco importa. Ciò che conta sono i fatti. Oggi esistono due “ Italie” da un punto di vista economico e sociale,non da un punto di vista culturale. Molti credono che la mancanza di unità sia dovuta a divergenze di carattere culturale,non è così. Pur nella diversità l’Italia ha una storia comune,una lingua comune e una cultura comune. Chiunque cerca di negarlo commette un falso storico.
L’unità sostanziale del paese resta un obiettivo imprescindibile. Il fatto che il processo di unificazione non si sia portato a termine in 150 anni non deve portarci a ritenere che da soli si possa star meglio,come qualcuno pensa. Solo l’unità può permetterci di affrontare le sfide del futuro. Nell’ epoca della globalizzazione è impensabile tornare al periodo dei comuni e delle signorie, con un’Italia divisa in sette stati. L’esempio per tutti noi deve essere quello tedesco;pur con moltissimi sacrifici,basti pensare che il costo della riunificazione è stato stimato in circa 1.200-1.600 miliardi,e con notevoli errori oggi si calcola che tra meno di un decennio l’Est sarà al passo con l’Ovest. Le regioni orientali infatti crescono mediamente più di quelle occidentali. Un processo faticoso,figlio di una precisa volontà politica che è riuscita a dare speranza a una parte di Germania che era stata quasi del tutto cancellata,una speranza che oggi manca in moltissime zone del sud Italia.
Festeggiare il 17 marzo deve significare da un lato ricordare il Risorgimento,con tutti i suoi eroi e i suoi protagonisti,con tutti i suoi errori e le sue disgrazie; dall’altro deve essere questo un momento per meditare su quanto non si è fatto e su quanto si deve ancora fare.
E’ giusto e doveroso festeggiare oggi i 150 anni di unità formale in attesa però di una ugualmente importante e necessaria unità sostanziale.

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